mercoledì 29 aprile 2020

NON SI POSSONO SOSPENDERE I DIRITTI FONDAMENTALI



MARTA CARTABIA

Marta Cartabia, presidente della Corte Costituzionale , ha presentato la relazione annuale sull'attività della Consulta nel 2019. Si tratta di un documento importante che mostra l'evoluzione del diritto nel nostro paese e lo stato di salute della nostra legge fondamentale, il rapporto tra le istituzioni chiamate a far rispettare il dettato della Carta, interpretarlo e rinnovarlo con la giurisprudenza. Cartabia mette in evidenza un principio che pare essere stato accantonato dal governo durante la crisi: "Non ci sono diritti speciali che possano limitare i diritti fondamentali durante la gestione dell'emergenza: la Costituzione non li prevede". Ecco alcuni passaggi importanti della relazione a riguardo dello "stato d'eccezione" creato dalla crisi del coronavirus.
  • Il nuovo anno è stato aperto da una contingenza davvero inedita e imprevedibile, contrassegnata dall’emergenza, dall’urgenza di assicurare una tutela prioritaria alla vita, alla integrità fisica e alla salute delle persone anche con il necessario temporaneo sacrificio di altri diritti. 
  • La nostra Costituzione non contempla un diritto speciale per lo stato di emergenza sul modello dell’art. 48 della Costituzione di Weimar o dell’art. 16 della Costituzione francese, dell’art. 116 della Costituzione spagnola o dell’art. 48 della Costituzione ungherese. Si tratta di una scelta consapevole. Nella Carta costituzionale non si rinvengono clausole di sospensione dei diritti fondamentali da attivarsi nei tempi eccezionali, né previsioni che in tempi di crisi consentano alterazioni nell’assetto dei poteri. 
  • La Costituzione, peraltro, non è insensibile al variare delle contingenze, all’eventualità che dirompano situazioni di emergenza, di crisi, o di straordinaria necessità e urgenza, come recita l’articolo 77 della Costituzione, in materia di decreti-legge. La Repubblica ha attraversato varie situazioni di emergenza e di crisi – dagli anni della lotta armata a quelli più recenti della crisi economica e finanziaria – che sono stati affrontati senza mai sospendere l’ordine costituzionale, ma ravvisando al suo interno gli strumenti idonei a modulare i principi costituzionali in base alle specifiche contingenze: necessità, proporzionalità, bilanciamento, giustiziabilità e temporaneità sono i criteri con cui, secondo la giurisprudenza costituzionale, in ogni tempo deve attuarsi la tutela «sistemica e non frazionata» dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, ponderando la tutela di ciascuno di essi con i relativi limiti.
  • Anche nel tempo presente, dunque, ancora una volta è la Carta costituzionale così com’è – con il suo equilibrato complesso di principi, poteri, limiti e garanzie, diritti, doveri e responsabilità – a offrire alle Istituzioni e ai cittadini la bussola necessaria a navigare «per l’alto mare aperto» dell’emergenza e del dopo-emergenza che ci attende.
  • In un tale frangente, se c’è un principio costituzionale che merita particolare enfasi e particolare attenzione è proprio quello della «leale collaborazione» - il risvolto istituzionale della solidarietà - su cui anche la giurisprudenza della Corte costituzionale non si stanca di ritornare, affinché l’azione e le energie di tutta la comunità nazionale convergano verso un unico, condiviso obiettivo. 
Con questa relazione della presidente della Corte Costituzionale, se le parole devono avere delle conseguenze, l'era dei decreti del presidente del Consiglio dei ministri dovrà terminare rapidamente

martedì 28 aprile 2020

“QUESTO GOVERNO NON RISPETTA LA CHIESA”


L’affondo di Mons. MASSIMO CAMISASCA vescovo di Reggio Emilia. "Vietare le messe? Decisione arbitraria, i cristiani non sono stati ascoltati"

Monsignore, è più deluso o arrabbiato per il nuovo decreto della presidenza del consiglio che prolunga il divieto di celebrare messe con la partecipazione dei fedeli?
«Arrabbiato è una parola estranea al mio vocabolario, deluso lo sono certamente, ma soprattutto mi sento rattristato per il fatto che non si sia tenuto conto dei sentimenti e delle attese del popolo cristiano – dosa le parole Massimo Camisasca, 73 anni, vescovo di Reggio Emilia e fondatore della Fraternità sacerdotale di San Carlo Borromeo –. In queste settimane di clausura la Chiesa ha vissuto una totale e sincera obbedienza alle indicazioni provenienti dal governo nel convincimento, espresso e sostenuto dai vescovi, che la celebrazione della messa senza la partecipazione dei fedeli, pur rappresentando per noi un sacrificio e una sofferenza enormi, fosse un atto dovuto di carità verso tutti».

Il comunicato della Conferenza episcopale italiana denuncia una «compromissione della libertà di culto». Il rapporto fra potere spirituale e autorità civile è compromesso?
«La decisione dell’esecutivo esprime un’arbitraria violazione della libertà religiosa, sancita dalla Costituzione. Un importante docente di diritto ecclesiastico, quale il professor Cesare Mirabelli, sostiene che il dpcm determini una lesione del Concordato che regola i rapporti fra Stato e Santa sede. Sono valutazioni che andranno ponderate una volta usciti dalla pandemia. A questo punto, però, la Chiesa esige di poter riprendere la sua azione pastorale con l’autonomia che le spetta a norma di legge. Anche perché non si capisce l’apertura doverosa d’importanti attività produttive, mentre resta preclusa la celebrazione dell’Eucarestia col popolo di Dio».

Il governo ha comunque dato il via libera ai funerali: i defunti, per Covid e non, potranno finalmente tornare ad avere un degno, ultimo saluto.
«In totale onestà, non riesco davvero a comprendere come mai si sia acconsentito allo svolgimento delle esequie, pur se con solo quindici partecipanti, e si sia, invece, esclusa la celebrazione dell’Eucarestia. Deve essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio dei bisognosi, profuso dalla Chiesa in questi mesi attraverso l’assistenza capillare ai malati e agli anziani, scaturisce da una fede che deve potersi nutrire in particolare dei sacramenti».

Per il comitato tecnico scientifico non sussistono le condizioni per garantire durante la liturgia la sicurezza dei fedeli. L’episcopato non rischia di sottovalutare i pericoli sanitari?
«Assolutamente no, non vogliamo certo che fedeli possano infettarsi nel corso delle celebrazioni. Per questo quasi quotidianamente nelle scorse settimane rappresentanti della Cei si sono incontrati con esponenti del governo per sottoporre loro e discutere insieme orientamenti e buone prassi per il ritorno in sicurezza allo svolgimento della messa con il popolo di Dio».

Che cosa avete proposto?
«Alcune diocesi, compresa quella di Reggio Emilia, hanno presentato alla Cei delle soluzioni. Si i è ipotizzata la distribuzione di mascherine ai presenti, l’installazione di scanner per misurare la febbre all’ingresso e la messa in funzione di un sistema di prenotazioni per partecipare alle sante messe in modo da scongiurare sia una presenza eccessiva all’interno delle chiese, sia assembramenti all’esterno».

E per il momento più delicato, quello della distribuzione della Comunione?
«La soluzione sottoposta al governo è stata quella di far sì che fosse il celebrante, dotato di guanti e mascherine, a scendere dall’altare per distribuire ai fedeli, seduti sulle panche distanziati fra loro, la particola consacrata esclusivamente sulla mano. Anche questa proposta è stata accolta con favore dagli alti vertici dell’esecutivo. Poi, però, l’interlocuzione col governo si è interrotta e non è chiaro il motivo».

Vi sentite traditi?
«C’è stata una parte del comitato tecnico scientifico che si è opposta alle messe partecipate. So che esponenti del governo, così come i capigruppo del Pd e parlamentari dei 5Stelle, oltre alle opposizioni, chiedono il ritorno alla messa col popolo. Mi auguro che pertanto il premier torni sui suoi passi quanto prima».

 di GIOVANNI PANETTIERE
da ilrestodelcarlino


sabato 25 aprile 2020

DELL’AMICIZIA


DIALOGO FRA ENZO PICCININI E DON GIUSSANI 

Comunione, comunità, amicizia


Racconta Piccinini: «A Forlì salgo in macchina con don Giussani, dovevo andare a fare un’assemblea per il movimento a Bologna e lui mi dice: “Allora come va a Bologna? Cosa devo venire a fare, a dire?”. Beh, a Bologna va bene, stiamo pure crescendo, siamo sempre di più, però… “Però cosa?”. Però sono pochi quelli veramente amici.» Allora Giussani continuando a leggere il giornale dice: «Cos’è che hai detto?!» e Piccinini risponde: «Ho detto che mi preoccupa che il nostro problema a Bologna è che sono pochi quelli veramente amici!».
Giussani incalza: «E che problema è?» e Piccinini, un po’ incredulo, ribatte: «Come che problema è? Non dobbiamo diventare tutti amici nel movimento?! Tu hai sempre detto che dobbiamo diventare tutti amici!». 

Giussani allora risponde: «Tu non hai capito niente! Veramente tu sei un ex brigatista che vuole imporre d’autorità anche l’amicizia, ma sei matto?!
Io ho sempre detto tre cose: che tra noi
 la comunione è un dono di Cristo che ci mette assieme e ci lega con la fede e col sacramento.
 La comunità o la compagnia è un compito che dobbiamo costruire noi dando la vita.  
L’amicizia, infine, è una grazia molto rara in una comunità cristiana. 

Capita ogni tanto a qualcuno, e se la godono pure! Le amicizie di una comunità, le amicizie belle, piacevoli, le simpatie, le preferenze ecco, le preferenze, sono molto rare in una comunità, sono quasi impossibili. Enzo, pensaci,  
come si diventa amici?» e Piccinini risponde: «Per una preferenza» 
e Giussani: «Appunto! Come per la moglie, c’è quella che preferisci! Hai un po’ di amici perché tu preferisci loro e loro preferiscono te. Quando finisce la preferenza te vai via. Tu perché stai nella comunità a Bologna, li preferisci?». «No, no! Non li sopporto! E loro mi odiano, mi ammazzerebbero!!». «E allora perché state insieme?». «Il Signore mi ha chiamato qui, lavoro all’ospedale Sant’Orsola, mi sono stati dati!». «Ma tu li preferisci?». «No». «E chi li preferisce?». «Ah, è Cristo che li preferisce, è Lui che me li dà!». 

«Appunto! In una comunità non ci si entra per una preferenza, ma si entra per una preferenza di Cristo, che tocca il cuore a te, lo tocca a lei e ti mette con gente che tu non hai scelto! Che tu non preferisci! E quindi che ti stanno fondamentalmente antipatici. La loro stessa presenza ti ferisce perché tu non li hai scelti e loro non hanno scelto te, quindi è impossibile che siate amici. Siete in comunione perché c’è Cristo risorto presente. Alla comunità dovete dare la vita, è il compito dare la vita, il compito è fare il movimento. Che poi su mille persone, cinque o sei diventino pure amici è una grazia che Dio fa a loro, che se la godono a servizio di tutti. Ma guai a te se pretendi che tutti siano amici in comunità!». 

Enzo rimane interdetto per circa mezzo minuto e Giussani entra a gamba tesa e gli dice: «E poi ti aggiungo un’altra cosa: che la pedagogia di CL è un’autentica pedagogia cristiana, non favorisce le amicizie. Io non ho come scopo che la gente della comunità vada d’accordo, ho come scopo che ognuno vada d’accordo con se stesso, col proprio cuore e con Cristo, non con gli altri»

Io non dirò mai: «Carletto cerca di essere un bravo ciellino, un bravo prete, o peggio un bravo prete di CL. Sii te stesso! Stacci col tuo carattere! Facci vedere che cosa Dio ti ha messo dentro quando s’è inventato uno scomposto come te! Facci vedere chi sei tu, perché Dio t’ha fatto diverso da tutti gli altri. Io tiro su delle personalità molto caratterizzate, che hanno il gusto di dire “Io son fatto così, m’ha fatto Dio e che ci posso fare? Non ho bisogno di cambiare per stara qua!”». 

"Voglio dei luoghi in cui ognuno possa dire: «Io son fatto così e son contento di come Dio m’ha fatto!»  Ti tiro su personalità spigolose, tendenzialmente conflittuali con gli altri, che costringono tutti i giorni a dire: «Ma chi me l’ha fatto fare?! Ma perché io  sto con te?» E quando ci dicono che noi ciellini litighiamo con tutti, dico: «Benissimo, anche tra di noi!» Perché io non ho come scopo che siate amici, ma che ognuno sia se stesso. Preferisco un alto tasso di conflittualità, ma che si respiri aria pura. Quindi la moglie spigolosa è una fortuna!"

NON BASTA DIRE “ANDRA’ TUTTO BENE”


VACLAV HAVEL
 


Cara Olga, la cosa più importante di tutte per te è non perdere la fede e la speranza. 
Quando parlo di fede e di speranza non ho in mente l’ottimismo nel senso convenzionale del termine, con il quale di solito si esprime la convinzione che “tutto andrà bene”. Non condivido un simile principio, lo considero – se espresso in modo così generico – un’illusione pericolosa. Non so come “tutto” andrà e perciò devo accettare anche la possibilità che tutto, o perlomeno la maggior parte delle cose, vada male. 
La speranza non è sicuramente la stessa cosa dell'ottimismo. La speranza  non è la  convinzione che qualcosa possa riuscire bene ma la certezza che qualcosa abbia senso, indipendentemente dalla sua riuscita
L’ottimismo (per come lo intendo io qui) non è quindi qualcosa di univocamente positivo ma è, piuttosto, il contrario: nella vita ho incontrato molte persone che, quando avevano la sensazione che tutto sarebbe andato bene, erano piene di euforia e brio, ma quando, pensando al futuro passavano all’opinione opposta, di solito alla prima occasione, sprofondavano di colpo in un cupo scetticismo.
Il loro scetticismo (che spesso si esprimeva in forma di visioni catastrofiche) era, ovviamente, altrettanto emotivo, superficiale e selettivo del loro precedente entusiasmo: si trattava soltanto di due facce della stessa medaglia. Quando qualcuno ha bisogno dell’illusione per vivere, ciò non è un’espressione di forza, ma di debolezza, e lo dimostrano le ripercussioni su una vita siffatta.
Una fede autentica è qualcosa di incomparabilmente più profondo e misterioso di qualche emozione ottimistica (o pessimistica), e non dipende da come in un dato momento la realtà appare effettivamente. Ed è anche per tale ragione che soltanto l’uomo di fede, nel senso più profondo del termine, è in grado di vedere le cose per come sono veramente, e di non distorcerle, non avendo egli ragioni né personali, né emotive per farlo.
L’uomo privo di fede si preoccupa semplicemente di sopravvivere, per quanto possibile, comodamente e senza dolore ed è indifferente a tutto il resto.
Baci da Vašek
7 gennaio 1981
da "Lettere a Olga"