MARIANGELA GUALTIERI
Sta girando sui social una poesia della cesenate Mariangela Gualtieri –
una delle maggiori poetesse italiane contemporanee – dal titolo: Nove marzo duemilaventi.
Un testo piuttosto lungo e denso che ci regala una lettura del dramma
della pandemia da coronavirus con uno sguardo che non si sofferma sugli aspetti
maggiormente dibattuti, ma che va al cuore dell’umano.
E’ un percorso che parte dalla constatazione che “ci dovevamo fermare, ch’era troppo furioso il nostro fare”. Ci
dovevamo fermare, ma non ci riuscivamo! Troppo agitati! Si coglieva da lungo
tempo la necessità di fermarci, e di fermarci insieme. Un desiderio recondito,
ma necessario. Ed è accaduto qualcosa che ci ha costretti ed ora “siamo a casa”.
E – scrive la Gualtieri – in questo accadimento che ci ha investito “c’è dell’oro, forse ci sono doni. Se ci
aiutiamo, un forte richiamo, un comune destino” che ci coinvolge e in un certo senso ci affratella.
E la poetessa si chiede da dove giunga questo segno, per certi versi
nefasto, ma anche di forte richiamo a ridestare la domanda esistenziale sul
destino: “ se quanto accade, mi chiedo,
non sia piena espressione di quella legge che guida l’universo, che governa noi
come ogni stella. Non siamo noi che abbiamo fatto il cielo”.
Ci si chiede di stare a casa, come fossimo riportati alle lentezze
antiche dei nostri antenati, “ognuno
dentro una frenata che ci riporta indietro”.
Un invito a “guardare di più il
cielo”, a darci la mano da lontano, convocati come un corpo unico, insieme
dentro questa storia.
Alla vera stretta di mano, che ora ci è interdetta, “noi torneremo con una comprensione dilatata. Adesso lo sappiamo
quanto è triste stare lontani un metro”.
FRANCO CASADEI
LEGGI IL TESTO
Nove marzo duemilaventi
Mariangela Gualtieri
Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le
cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla
fruttare.
Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.
E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere -
forse la specie nostra ha
ubbidito
slacciato le catene che tengono
blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato
un salto
di specie – dal pipistrello a
noi.
Qualcosa in noi ha voluto
spalancare.
Forse, non so.
Adesso siamo a casa.
È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo
tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci
aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie
adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune
destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non
troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.
È potente la terra. Viva per
davvero.
Io la sento pensante d’un
pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede?
Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto
accade mi chiedo
non sia piena espressione di
quella legge
che governa anche noi – proprio
come
ogni stella – ogni particella di
cosmo.
Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un
ardore
di vita, con la spazzina morte
che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al
posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.
Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come
bambini
che l’hanno fatta grossa, senza
sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno
abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse
nelle lentezze
delle antiche antenate, delle
madri.
Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto. Fare per
la prima volta
il pane. Guardare bene una
faccia. Cantare
piano piano perché un bambino
dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un’altra
mano
sentire forte l’intesa. Che siamo
insieme.
Un organismo solo. Tutta la
specie
la portiamo in noi. Dentro noi la
salviamo.
A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è
interdetto ora -
noi torneremo con una
comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo.
Più delicata
la nostra mano starà dentro il
fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è
triste
stare lontani un metro.
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