sabato 4 aprile 2020

NOVE MARZO DUEMILA VENTI


MARIANGELA GUALTIERI



Sta girando sui social una poesia della cesenate Mariangela Gualtieri – una delle maggiori poetesse italiane contemporanee – dal titolo: Nove marzo duemilaventi.

Un testo piuttosto lungo e denso che ci regala una lettura del dramma della pandemia da coronavirus con uno sguardo che non si sofferma sugli aspetti maggiormente dibattuti, ma che va al cuore dell’umano.

E’ un percorso che parte dalla constatazione che “ci dovevamo fermare, ch’era troppo furioso il nostro fare”. Ci dovevamo fermare, ma non ci riuscivamo! Troppo agitati! Si coglieva da lungo tempo la necessità di fermarci, e di fermarci insieme. Un desiderio recondito, ma necessario. Ed è accaduto qualcosa che ci ha costretti ed ora “siamo a casa”.
E – scrive la Gualtieri – in questo accadimento che ci ha investito “c’è dell’oro, forse ci sono doni. Se ci aiutiamo, un forte richiamo, un comune destino” che ci coinvolge e in un certo senso ci affratella.

E la poetessa si chiede da dove giunga questo segno, per certi versi nefasto, ma anche di forte richiamo a ridestare la domanda esistenziale sul destino: “ se quanto accade, mi chiedo, non sia piena espressione di quella legge che guida l’universo, che governa noi come ogni stella. Non siamo noi che abbiamo fatto il cielo”.

Ci si chiede di stare a casa, come fossimo riportati alle lentezze antiche dei nostri antenati, “ognuno dentro una frenata che ci riporta indietro”.

Un invito a “guardare di più il cielo”, a darci la mano da lontano, convocati come un corpo unico, insieme dentro questa storia.
Alla vera stretta di mano, che ora ci è interdetta, “noi torneremo con una comprensione dilatata. Adesso lo sappiamo quanto è triste stare lontani un metro”.
FRANCO CASADEI

LEGGI  IL TESTO



Nove marzo duemilaventi

Mariangela Gualtieri

Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.

Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.

E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere -
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.

Adesso siamo a casa.

È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.

È potente la terra. Viva per davvero.
Io la sento pensante d’un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede? Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.

Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.

Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.

Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta
il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un’altra mano
sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.
Un organismo solo. Tutta la specie
la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.

A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora -
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
la nostra mano starà dentro il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro.


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