Che
cosa c’è dietro alla sciacallaggio statalista che accusa la regione.
La
politica regionale
sotto accusa per i suoi errori.
Ma “presentare il conto” di tipo ideologico è pericoloso
per l’Italia
di Maurizio Crippa
Milano. Esiste la politica ed
esiste il sistema. Politica nel senso del governo, e sistema nel senso dell’organizzazione
sociale ed economica espressa da un territorio (può essere stato, Land,
regione) in relazione ad altri pezzi di territorio. La Lombardia è l’epicentro
del cataclisma sanitario, economico e a breve forse anche sociale. Ed è da più
parti messa sotto accusa non solo per quello che ha fatto o non ha fatto, ma
per quello che è (sistema).
Prima però di mettere in fila
qualche riflessione
sul “sistema Lombardia” e sul momento tragico che attraversa, va detta qualcosa
sulla sua politica. E’ purtroppo evidente
che l’attuale governo lombardo abbia sbagliato molte cose e non si sia
dimostrato all’altezza
della sua leggenda smart ed efficiente. Il numero dei morti e dei malati
è eloquente, e ancor di più l’incapacità (negazione?) delle autorità regionali
che presiedono alla Sanità di dare una spiegazione di quanto sta accadendo.
C’è un’ipotesi sui contagi
giornalieri, a parte “si fanno più tamponi”? C’è un sistema sanitario che si è rivelato
inadatto, soprattutto dopo l’ultima riforma targata Lega, che ha indebolito le
strutture di base. Non esisteva (stava in un cassetto) un piano per una
possibile pandemia. Anche i comuni, Milano in primis, hanno cincischiato sulle
prime misure urgenti. Ci sono state scelte discutibili (ospedale Fiera), una colpevole
incertezza tra chiudere e riaprire (la mancata zona rossa) e uno scaricabarile
con il governo
centrale non giustificato,
oltre un certo segno. Anche il nuovo piano di riapertura varato da Attilio Fontana
si sta dimostrando zoppicante, ed è stato giocato in chiave propagandistica
(salviniana) per cercare di allontanare il fuoco delle critiche.
I governanti della Lombardia, ad
ogni livello, forse usciranno assolti nelle prossime scadenze elettorali (e
sarebbe auspicabile che a deciderlo non siano altri tribunali)
ma non possono essere assolti sul
piano della gestione politica. Dall’altro lato c’è la campagna attuata da una
sinistra non proprio innocente (quella dei “non si chiude” di cui il solo Beppe
Sala si è scusato) e che da Roma ha fatto poco, e che ha un obiettivo politico
della cui utilità, in questo momento, si può dubitare.
Poi
c’è il sistema. Contro il quale si sta scatenando una pericolosa e strumentale
tempesta. Si possono tranquillamente sorvolare le critiche più
sguaiate. Roberto Saviano ha detto sul Monde: “E’ accaduto inItalia che proprio
la regione ritenuta più forte, la più efficiente, la più ricca fosse quella
meno pronta a fronteggiare la pandemia”. Basterebbe quel “meno pronta” per
dimostrare che Saviano, ma non è una
novità, non afferra i concetti. La
Lombardia non è stata la meno pronta: è stata la più colpita. O Saviano forse
ritiene che in altre regioni, a parità di epidemia, sarebbe andato tutto bene.
Di Michele Serra e del suo insulto ai lombardi in quanto tali (“lavoro lavoro
lavoro, il resto è solamente un impiccio”, il cielo “una palude di smog” e “i
conti devono farli loro, e tra di loro”) non mette conto parlare. E’ un suo tic
ricorrente che per una volta si può liquidare come radical chic.
Ma c’è una più
diffusa insofferenza che inconsciamente o esplicitamente mette
sotto accusa una società, la sua economia, il suo modello di sviluppo. Per
usare le parole di un critico
particolarmente annebbiato, il ministro per gli Affari regionali
Francesco Boccia, un modello “annebbiato dal dio denaro”. La colpa è del
sistema produttivo, il castigo è meritato. Un sentimento con radici precise, ne
ha scritto ieri sul Corriere della Sera Marco Imarisio: “L’insofferenza per la
regione simbolo”. La si avverte a pelle, lo notano persone tra loro assai diverse.
Andrea Minuz, che è romano, ha twittato: “In fila al mercato vanno forte le
letture à la Report: ‘A Milano è andata così perché è inquinata’, ‘perché
pensano solo a lavora’, perché ‘c’è un sacco di gente che
si muove sempre’. E quando essere
la città più viva d’Italia inizia a essere una colpa allora è finita per tutti”.
L’editorialista del Corriere Antonio Polito, non un lumbard di nascita, ha
twittato il punto: “Non so voi, ma la Schadenfreude nei confronti dei lombardi è
una delle cose più rivoltanti che abbia mai visto nella mia vita”. Scrive
Schadenfreude perché è un liberal di cultura, ma la traduzione sarebbe sciacallaggio.
Ci sono alcune motivazioni “di sistema” da
cogliere.
Non per difendere campanilisticamente
la Lombardia (del suo governo si è detto), ma perché se la Lombardia non
guarisce, se non riapre presto e non riparte, e ancora peggio se invece di
essere aiutata a guarire e ripartire verrà accusata, punita, smontata,
ingabbiata anziché fatta respirare, il prezzo sarà molto salato. Non solo per i
lombardi ma per tutto il paese.
Invece i problemi della Lombardia diventano “quasi
un pretesto ideologico
per presentare il conto” (Imarisio).
Il primo punto, macroscopico, è
che il sistema lombardo vale oltre il 20 per cento del pil nazionale. Senza, l’Italia
si blocca e questo lo dovrebbero sapere anche coloro che fingono di non
ricordare che senza gli oltre 50 miliardi di residuo fiscale annuo della
Lombardia affonderebbero i servizi di quasi tutte le altre regioni. Leggere, come si è letto, che se l’Italia
non riparte “è colpa” della Lombardia, nascondendo che se la Lombardia non
riparte ci sarà ben poca Italia da far ripartire, è una menzogna ideologica.
Molto si sta tornando a discutere – ovviamente
anche con aspetti condivisibili – di un futuro ridimensionamento delle competenze
regionali. Posto che basterebbe fare una riforma costituzionale, invece di aver
votato il famigerato Titolo V, bisogna invece riconoscere che un sistema come
quello lombardo – se deve tornare a correre come quello della Baviera o dell’Île-de-France,
per il bene dell’Italia – ha bisogno di una velocità decisionale, uno snellimento
burocratico all’altezza di quelli della Baviera o dell’Île-de-France. Montagne di
studi lo dimostrano. Si insiste che ci sono troppi infetti e morti nel
triangolo Milano-Bergamo-Brescia (troppi è evidente: ma le letture dei dati
epidemici nelle grandi aree metropolitane sono contraddittorie) dimenticando
che è una delle aree a più alta densità demografica d’Europa. La “macroregione”
milanese – 4 milioni di abitanti, metà del reddito lombardo – è considerata
dagli studiosi una megalopoli. Come tale, avrebbe bisogno di maggiori capacità
operative, di più investimenti infrastrutturali, persino di leggi speciali, e
di essere aiutata a trasformare – perché ora sarà necessario – il suo sistema
sanitario e di prevenzione.
Tradotto: dovranno esserle riconosciuti contributi maggiori, e più rapidi, per
soluzioni in
grado
di reggere i rischi di una megalopoli, non di una comunità montana. Ci
sono, ovviamente, anche molte cose da rivedere. Ad esempio è evidente uno
sbilanciamento tipicamente lombardo verso il privato (non solo o non tanto della
Sanità, che è, a conti fatti, un sistema dove il pubblico vale circa il 70 per cento
mentre quella gestita dai privati è il 30 circa). Sia la regione che la
capitale Milano hanno optato per una sorta di laissez-faire per il quale si è
demandato moltissimo al privato, che però non ha sempre risposte adeguate. Per rimanere a
Milano, basta pensare allo sviluppo immobiliare garantito da capitali esteri
privati, ma sugli investimenti pubblici rimane poco. E’ una delle debolezze del
sistema. Ma persino nel settore del collocamento del lavoro, il privato, molto
forte in Lombardia, funziona. O vogliamo affidarci ai navigator?
Per tornare alla politica: una campagna di
sole accuse al sistema, non alla politica,
una Schadenfreude con marchio statalista, difficilmente
avvicinerà l’elettorato lombardo alla sinistra. Che se da decenni non governa
al nord, nonostante le molte pecche del centro-destra, lo deve al suo antico pregiudizio
verso il lavoro, il profitto, e persino la società del benessere.
Ma
un conto è mettere sotto accusa un governo della politica per le sue
responsabilità, un conto è cannoneggiare un sistema per pregiudizio ideologico,
rischiando di andare a fondo tutti.
Tratto
da ILFOGLIO
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