La pandemia ci ha insegnato alcune cose, di cui naturalmente non faremo
tesoro.
1. Costruire un regime autoritario in
Italia è facilissimo. Con la lodevole eccezione di Sabino
Cassese, nessun giurista o intellettuale o opinionista ha battuto ciglio al
cospetto della sospensione drastica delle libertà costituzionali; il Parlamento
non si riunisce mentre il governo emette decreti a raffica e insulta
l’opposizione; le forze dell’ordine sono libere di fermare, intimidire, multare
chiunque; i media, anziché vigilare sui diritti dei cittadini, incitano alla
caccia all’uomo; i vicini di casa denunciano i vicini di casa e la delazione è
diventata una virtù; la retorica della guerra e il nazionalismo straccione
alimentano i sentimenti peggiori diffondendo panico e autocommiserazione;
l’arbitrio è la misura di tutte le cose.
2. Non avremo tuttavia un regime
autoritario, perché in Italia lo Stato non esiste. Il
governo crea commissari e commissioni, emana decreti e norme, ma non è in grado
di produrre e distribuire neppure le mascherine; l’opposizione urla e strilla
senza costrutto alcuno; esperti e scienziati si moltiplicano e si contraddicono
ogni giorno; molte Regioni del Nord e del Sud hanno di fatto proclamato la
secessione senza che nessuno obietti nulla; ogni norma è modificata più volte
e, una volta approvata, è cambiata o annullata da questa o quella Regione, da
questo o quel Comune, secondo il capriccio del feudatario locale; non c’è
nessuna linea di comando visibile e, di conseguenza, non c’è nessuno che si
assuma la responsabilità di ciò che accade.
3. Il pensiero unico antieuropeo,
amplificato ogni giorno dai media di ogni parte, è ormai
la narrazione comune a maggioranza e opposizione: noi abbiamo il diritto di
avere dall’Europa tutti i soldi che vogliamo, ma l’Europa non ha il diritto di
chiedere come li spenderemo e quando li restituiremo. Aver sperperato per
decenni le finanze pubbliche, essersi indebitati fino al collo, avere il più
alto tasso di evasione fiscale e di lavoro nero, aver lasciato alle mafie il
controllo indiscusso di intere aree del Paese, bruciare ogni anno miliardi di
euro in un apparato statale inefficiente e corrotto, sperperare altri miliardi
per mandare in pensione i sessantenni o dare la paghetta ai bamboccioni – tutto
ciò non conta nulla: ma se paesi più virtuosi, più educati e più seri di noi si
permettono anche soltanto di sollevare un dubbio o di chiedere una garanzia, ci
mettiamo a frignare e a scalciare e a puntare il nostro ditino contro l’orrida
Europa che, poverina, ha il solo torto di essere un posto normale.
4. In Italia non esiste più alcuna cultura
del lavoro, cioè del benessere e del progresso. Siamo il Paese che ha chiuso
per primo, e saremo l’ultimo a riaprire: e a nessuno viene in mente che, se non
lavoriamo, tanto e subito, non potremo mai risollevarci. La più grande
preoccupazione del sindacato, nel dopoguerra, è stata la riapertura delle fabbriche,
perché senza lavoro non c’è il pane, e senza il pane non ci sono neanche le
rose: oggi il sindacato ha come unica
missione quella di impedire alla gente di lavorare. Tutto il mondo – tutto
il mondo! – muove dal presupposto che bisogna ripartire, e poi si chiede come
farlo nelle condizioni di sicurezza migliori; in Italia si muove dal
presupposto che non bisogna fare niente, e poi magari si concede alle librerie
di riaprire (a proposito: il 60% degli italiani non ha mai letto un libro e
appena il 14% ne legge uno al mese).
5. Qualunque
cosa succederà nei prossimi mesi, sarà una catastrofe.
TRATTO DAL BLOG DI FABRIZIO RONDOLINO
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