Il processo di secolarizzazione,
anche nel Paese più cattolico d’Europa, ha ormai espunto la fede dal dibattito
pubblico
Ha suscitato scandalo la proposta di Salvini di riaprire le
chiese a Pasqua. Non altrettanto scandalo aveva suscitato l’idea di Renzi di
riaprire le librerie, né quella della Confindustria di tenere aperte le
imprese. Il leader della Lega mescola certo con troppa superficialità il
profano della politica con il sacro della preghiera. E le esigenze di
distanziamento sociale rendono evidentemente impossibile ciò che chiede. Ma le reazioni che ha ricevuto, quasi
sdegnate, fanno riflettere. La paradossale verità è che oggi cultura e
industria ci appaiono strumenti di rinascita e riscatto più idonei della
religione.
Il processo di secolarizzazione, anche nel Paese più
cattolico d’Europa, ha ormai espunto la
fede dal dibattito pubblico, come se fosse un sentimento privato, rispettato
sì, ma in definitiva inutile al corpo sociale.
Jhoannes Vermeer, Cristo in casa di Marta e Maria |
Invece il sacro è sempre stato un formidabile strumento di
tenuta e coesione delle società umane, e forse è addirittura nato per questo
scopo. Émile Durkheim, il fondatore della sociologia, definiva la religione
«una cosa eminentemente sociale», il modo con cui le comunità degli uomini,
attraverso credenze e riti, costruivano la propria rappresentazione collettiva.
Non è dunque neanche indispensabile credere per capire
perché, di fronte alla forza della natura maligna, a una catastrofe, a
un’epidemia, gli esseri umani di tutti i tempi si siano sempre raccolti intorno
a un rito religioso, in preda al timore di Dio e sperando nel suo aiuto. Il
caso, o forse la Provvidenza, ci mettono oggi proprio davanti agli occhi la
potente forza simbolica del sacro. La settimana santa e i suoi riti
accompagnano infatti con una singolare corrispondenza cronologica le vicende
della pandemia.
La Quaresima era cominciata insieme con la quarantena: il
governo chiuse Codogno tre giorni prima del Mercoledì delle Ceneri. Possiamo
sperare allora che la fine di questo periodo di penitenza annunci anche
l’inizio della fine della nostra Passione, e che si apra la settimana decisiva
per la discesa della famigerata curva? E si può immaginare una metafora più
calzante della Resurrezione per il nostro disperato bisogno di un nuovo inizio?
Prima ancora di Cristo, ci pensavano del resto le feste pagane a celebrare, a
questo punto dell’anno, il rito primaverile della rinascita della terra; e la
Pasqua ebraica ricorda anch’essa una liberazione: quella del popolo di Dio
dalla prigionia in Egitto.
I miti e i riti servono agli uomini. Anche ai contemporanei,
di solito così sicuri di sé ma oggi
all’improvviso sconvolti dalla scoperta di non essere invincibili, di dover
convivere sulla Terra con specie molto più antiche ed efficienti nel combattere
la battaglia per la sopravvivenza, come i virus. Dunque teniamo pure le chiese
chiuse, se non si può prendere la comunione con la mascherina e scambiarsi il
segno della pace durante la messa. Ma ricordiamo anche che questa è forse la
prima volta dall’editto di Costantino che in Italia si celebrerà la Pasqua a
porte chiuse. Seguiremo la Via Crucis in streaming, invece che nelle mille
processioni popolari del Venerdì Santo. Pregheremo magari «in bagno o in
cucina», come ci suggerisce Fiorello. Ma
ci basta sentire ogni giorno il suono delle campane, di nuovo riconoscibile nel
silenzio assordante delle nostre città, per capire che non sarà la stessa cosa,
perché «ecclesia» vuol dire comunità.
Antonio Polito - Il Corriere
della Sera
6 Aprile 2020
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