sabato 4 aprile 2020

UNA CULTURA EMPIA


È empio negare cure a chi ha più di ottant'anni
Calcoli economici e scelte selettive che arrivano a distruggere una civiltà

Nell’Eneide Virgilio chiama sempre Enea «il pio», perché? Perché ha salvato suo padre, scappando dalla città di Troia in fiamme s’è caricato il vecchio Anchise sulle spalle, ed è fuggito curvo sotto quel peso. 
Cosa facciamo noi oggi, per salvarci dal virus? Non parlo di noi italiani, ma di noi occidentali, degli ospedali di noi occidentali. Curiamo i giovani e lasciamo perdere gli anziani.
Ho sotto gli occhi un lancio d’agenzia che dice: «La Catalogna sceglie chi intubare e chi no, ultimi gli ultraottantenni». Con la solita aggiunta esplicativa: «Non stiamo scegliendo chi deve vivere e chi no, ma il sistema non può collassare». Scusate, ma non è la stessa cosa? State scegliendo chi vive e chi no. Certo, è una scelta sofferta, ma purtroppo praticata e giustificata anche da medici, infermieri, politici, sociologi. Dalla cultura del momento. Per la stessa ragione per cui Enea è chiamato «pio», sento di poter chiamare questa cultura «empia».
La medicina, i medici, gli ospedali, gli infermieri che giustificano in qualche modo l’abbandono dei vecchi, malati di questo virus, il diniego delle cure, a volte perfino il ricovero, commettono un’empietà. Stabiliscono che c’è una vita che non merita di esser salvata, ed è la vita oltre una certa età. Mentre sto scrivendo questo articolo, ho davanti agli occhi un giornale dove questa età è indicata negli 80 anni. Vedo che la Catalogna adotta la stessa data.
La vita oltre la soglia degli 80 anni non è più un diritto assoluto, va confrontata con altre soglie, e le soglie più giovani prevalgono. Quelle sì vanno protette e salvate, facendo tutto quello che si può, che la scienza può, che il sistema consente. Per gli anziani in troppe società d’Occidente si fa quel che conviene, che non la scienza, non l’etica, non la religione, ma l’amministrazione e l’economia consigliano.
E se in un ospedale retto con questi princìpi arriva un paziente di 80 anni, con i sintomi di questo virus, quindi col bisogno urgente di essere ricoverato nel reparto che ha le macchine adatte, l’amministrazione dell’ospedale lo ricovera in un altro reparto, sprovvisto di quelle macchine, perché potrebbe arrivare un malato più giovane, di 40, 50 o 60 anni, e le macchine giuste devono essere libere per lui. Il vecchio potrà morire, il giovane potrà salvarsi. Salvando il giovane, che ha davanti a sé un più lungo tratto di vita, salvi più vita, hai più interesse.
È un discorso economico. E giustifica la selezione dei viventi. La selezione dei viventi è stata variamente adottata nelle epoche storiche, quando si sopprimevano, cioè, direbbe papa Francesco, si scartavano i meno forti, i meno sani, i meno intelligenti, i meno perfetti, i meno belli, i difettosi. Eran criteri che “cosificavano” l’uomo, cioè lo riducevano a una cosa. Cosa fa oggi l’anzianità, negli ospedali d’Occidente che la usano come metro di selezione? Fa altrettanto.
Un prodotto vecchio vien rottamato e sostituito. Non è un criterio meno crudele di quelli che scelgono in base alla bellezza o all’intelligenza, anzi è più spietato. “Pio” in Virgilio voleva dire anche buono. Il pio Enea fondava una civiltà.
Noi empi la distruggiamo.

Ferdinando Camon
Avvenire venerdì 3 aprile 2020


Nessun commento:

Posta un commento