Sta vincendo una pseudocultura politica intollerante e autoritaria che, dove è
andata al potere, ha sempre proibito ogni manifestazione pubblica della fede,
sostituendo le liturgie, le gerarchie, le speranze religiose con altre
liturgie, gerarchie, speranze.
Nei giorni scorsi Matteo Salvini è stato duramente attaccato per aver
chiesto che, pur con tutte le cautele necessarie, le chiese vengano riaperte ai
fedeli per la messa di Pasqua. Quello che ha disturbato di più, non è il
rischio contagio che si potrebbe innescare, quanto il fatto che il Capitano,
come ha già fatto altre volte, si faccia portavoce
di un tradizionalismo religioso inviso a tutta la cultura progressista e anche
a molti vescovi. Salvini è tacciato, in sostanza, di strumentalizzare la
fede per fini meramente elettorali.
Non ci sono dubbi che la separazione
tra la sfera politica e quella religiosa sia uno dei contributi più
rilevanti del cristianesimo alla civiltà occidentale (Date a Cesare quel che è
di Cesare e a Dio quel che è di Dio) e che la riduzione della fede a instrumentum
regni sia una delle tentazioni più subdole del potere politico, come insegna la
storia della chiesa e come conferma l'attuale integralismo islamico.
Ma queste accuse oggi vengono da
una cultura politica che, dove è andata al potere, ha sempre proibito ogni
manifestazione pubblica della fede, sostituendo le liturgie, le gerarchie, le
speranze religiose con altre liturgie, gerarchie, speranze.
La fede è stata al massimo
tollerata come forma di sentimentalismo individuale. Ma tutti i
tentativi fatti finora per sradicare il senso religioso sono storicamente
falliti, perché l'uomo non può fare a meno di interrogarsi sul senso del suo
vivere, del suo soffrire, del suo morire e queste risposte non arrivano dalla
scienza.
Il tema del rapporto tra fede e politica, pur essendo delicato e complesso,
ha infiammato per secoli il dibattito pubblico: se è vero che la prima
invocazione del Padre nostro, sia santificato il Tuo nome, chiede proprio di
purificare il rapporto con Dio da ogni secondo fine (e tra questi il più
pericoloso è proprio la ricerca del potere), è altrettanto vero che la fede cristiana non è riducibile a un'ascesi
individuale e non può non incarnarsi in una comunità, con tutto quello che
ne consegue in termini di creazione di codici etici e giuridici, gerarchie,
liturgie.
Possibile che non si riesca a trovare il modo per consentire a chi vuole di
partecipare alla messa, almeno a Pasqua, senza mettere a rischio la salute
pubblica, come si fa al supermercato?
Marino Longoni
Da Italia Oggi
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