Angelo
Panebianco
Spirito di fazione, tentazione
statalista, burocrazia, panpenalismo, combinandosi, possono costituire un
sudario mortale per qualunque società.
Negli
anni che seguirono la Seconda guerra mondiale, i Paesi sconfitti e che avevano
anche subito le più pesanti distruzioni, Germania, Giappone, Italia, conobbero
uno sviluppo economico più elevato dei vincitori di quella guerra. Si chiama «effetto Fenice»: la mitica creatura che
risorge dalle proprie ceneri. È lecito sperare che alla rapidissima distruzione
del tessuto economico prodotta dal coronavirus segua un’altrettanto rapida
ricostruzione.
Rubens, Prometeo incatenato, Philadelphia |
Ma non ci
sono garanzie: l’«effetto Fenice» potrebbe essere contrastato e al limite
annullato da potenti forze contrarie. Nell’Apocalisse di Giovanni non c’è
soltanto la peste fra i cavalieri di sventura. Nel nostro caso sono almeno quattro le forze che potrebbero mettersi di
traverso e bloccare la rinascita del Paese:
lo spirito di fazione, la tentazione
statalista, la «gabbia d’acciaio» burocratica, il panpenalismo.
È bello
raccontarsi, nei momenti di sventura, che una nuova solidarietà si è affermata
nel Paese ed è consolante vedere quante persone si prodighino, facciano
sacrifici e corrano rischi per aiutare gli altri. Si può anche pensare, in quei
momenti, che lo «spirito comunitario» (qui siamo tutti fratelli) stia
soppiantando il tradizionale spirito di
fazione (qui siamo tutti nemici). Purtroppo lo spirito di fazione non può
essere facilmente sconfitto. Governo e opposizione, in un frangente come
questo, non si scontrerebbero frontalmente se non sapessero che i rispettivi
seguaci, o almeno i più assatanati, non ne vogliono sapere del «volemose bene»,
vogliono le solite risse da saloon. È vero, non siamo certo la sola democrazia
nella quale lo spirito di fazione sia molto forte. Ma qualcosa di speciale lo
abbiamo. Ad esempio, chi sta all’opposizione in Italia (chiunque sia) non ha
remore ad attaccare il governo del proprio Paese nelle sedi internazionali o
sovranazionali in cui sia presente. O ancora, se un giornale tedesco non vuole
che si diano soldi all’Italia perché potrebbero finire in mano alla mafia, non
fa che ripetere quanto in sedi europee hanno detto italiani eccellenti (ivi
compreso il capo del partito del nostro attuale ministro degli Esteri). Molti
italiani però approvano questi comportamenti. È il problema dell’uovo e della
gallina: le élite sono così perché lo sono tanti italiani oppure tanti italiani
sono così perché lo sono le élite? Se lo spirito di fazione prevarrà sullo
spirito comunitario la ricostruzione verrà compromessa.
La seconda forza, il secondo cavaliere,
è la tentazione statalista. Un manifesto redatto dal
professore Carlo Lottieri e firmato da molti intellettuali, professionisti e
imprenditori mette in guardia contro il
rischio che alla pandemia virale faccia seguito una pandemia statalista.
Non lo Stato che indirizza e fa anche gli investimenti essenziali ma lo Stato che, tutte le volte che può, si
sostituisce all’imprenditoria privata, deprimendo così quegli animal
spirits del capitalismo senza i quali non ci può essere alcuna ricostruzione,
alcun «effetto Fenice». Si è potuto constatare che il decreto liquidità, quello
che dovrebbe aiutare le imprese in difficoltà, contiene varie trappole
disseminate qua e là dai nemici
dell’impresa privata, quegli antifascisti tutti di un pezzo che sognano di
ricostruire la fascistissima Iri. Come è stato osservato, d’altra parte,
solo dove l’ideologia statalista è dominante può esserci chi pensa che, anziché
provvedere a una riduzione generalizzata delle tasse, per favorire la
ricostruzione occorra accrescere la pressione fiscale (nello specifico,
colpendo i ceti medi).
Il terzo grande ostacolo è la burocrazia. Siamo, da molto tempo ormai, come tanti insetti catturati da una ragnatela
appiccicosa. Siamo oppressi da una caterva di norme che impedisce o è in grado
di ritardare al massimo ogni possibile innovazione, gestita da
un’amministrazione efficientissima quando si tratta di imbrigliare le forze più
dinamiche della società.
Da ultimo c’è il panpenalismo, la
debordante e soffocante presenza del diritto penale in tutti gli ambiti della
vita sociale ed economica, a sua volta riflesso della peculiare posizione di
forza assunta dalla magistratura inquirente in Italia. Immaginate cosa sarebbe successo in Europa se, quando arrivarono gli aiuti
del piano Marshall, tante procure in giro per il vecchio Continente fossero
state lì a scaldare i muscoli, pronte a scattare e a bloccare ogni iniziativa
anche solo in presenza di qualche vago sospetto di cattivo uso del denaro
pubblico. Quasi sicuramente, alla fine, per la maggior parte dei tanti
inquisiti/imputati sarebbe arrivata l’assoluzione ma, nel frattempo, non ci
sarebbe stata alcuna ricostruzione economica. Né credo che in Italia sarebbe
stato possibile, ad esempio, fare l’autostrada del Sole o tutto quanto favorì
il boom economico degli anni Sessanta se il virus panpenalista fosse stato
allora così diffuso come lo è oggi.
Spirito di fazione, tentazione statalista, burocrazia, panpenalismo,
combinandosi, possono costituire un sudario mortale per qualunque società. La speranza è che, in tempi così perigliosi, emergano tante intelligenze
individuali a tal punto vitali, energiche e assertive da riuscire a sconfiggere
la diffusa mentalità che alimenta i quattro suddetti cavalieri di sventura.
Buona ricostruzione a tutti.
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