giovedì 28 febbraio 2013

LA GIOIOSA CERTEZZA

UDIENZA GENERALE DEL 27 FEBBRAIO
 

Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo.

Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera.

Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio.

Cari amici! Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo. Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore. Grazie!

martedì 26 febbraio 2013

RICOMINCIARE DA UNO


Nei momenti critici se ci si mobilita si prende una nuova coscienza di se stessi. È il rischio delle circostanze.

All’epoca del referendum sull’aborto(1981)  Il Sabato di allora fece il famoso titolo “Si ricomincia da trentadue”, che era il 32% di quelli che avevano perso, una bella minoranza, bella, compatta, puri e duri.

E naturalmente Giussani corresse, dicendo: si ricomincia da Uno. Allora il referendum poneva una richiesta storica alla nostra fede, provocata a rischiarsi, e destata a una lotta . E di fronte alla questione dell’aborto era talmente evidente la contraddizione della cosa per cui uno reagiva. Ma c’era come uno scarto tra la vita quotidiana e l’impegno in questi grossi momenti di mobilitazione. Era come se la gente si muovesse o quando la contraddizione è troppo forte o quando immediatamente c’è qualcosa da fare, da organizzare.

Ma questo dinamismo non può essere un fatto eccezionale: ogni circostanza, pone una richiesta storica alla nostra fede. Quel dinamismo deve diventare quotidiano, perché non solo la fede è la consistenza del nostro io, ma è ciò che sostiene la prova, e il più grande servizio che si possa rendere alla fede è quello di non sottrarsi alla prova che ci viene chiesto di affrontare. Si ricomincia da Uno.

Benedetto XVI ci ha ricordato ogni giorno quel che siamo, ci ha dato una strada da seguire oggi, nella vita e in politica. Oggi mentre il cattolicesimo viene intimidito, e lo stesso Benedetto aggredito,  i principi non negoziabili sono diventati per noi, come allora nel 1981,il modo di esprimere il nostro essere uomini, di opporre una resistenza attiva dicendo si alla nostra umanità,  amata nella sua carne e nella sua fragilità, perché assunta dal Cristo. Lo stato e la tecnica vogliono produrre un uomo senza orizzonte, senza poesia, sospettoso e capriccioso, che si crede tanto più libero quanto più si circonda di diritti e di gadget. Ma Dio ha un grande progetto per l’uomo, che non è il “paradiso” tagliato dall’uomo a propria misura. Con questa antropologia non è possibile alcun dialogo.

Mons Crepaldi, arcivescovo di Trieste, ha scritto che serve un nuovo inizio, dovunque, anche in politica.
“Difficile, davanti a ciò che accade, non parlare di grave inadeguatezza dei cattolici italiani in questa ultima fase della vita politica italiana.Questa fase che doveva essere di decantazione della politica e avrebbe dovuto favorire un chiarimento e una convergenza dei cattolici è stata sprecata. Il disorientamento e la delusione esprimono la diffusa percezione di questa occasione perduta. Non rimane che pensare al 26 febbraio, il giorno dopo le elezioni. Bisognerà ricominciare a lavorare in un senso molto diverso.”
IL CROCEVIA

IL METEORITE

Berlusconi è come un meteorite: arriva quando si dice: “Tranquilli, il pericolo è passato”

Un pezzo di specchio così da potersi guardare, come nella canzone di Lucio Dalla. Tutti avrebbero dovuto avere un pezzetto di specchio, ieri pomeriggio, così da poter guardare il proprio stupore. I sorrisi che restano disegnati sulla faccia, mentre gli occhi dicono no, forse mi sono sbagliato, ho letto male. Tutte le certezze, le prevedibilità, il buon senso chiamato a raccolta negli ultimi mesi si è sciolto dentro i numeri che uscivano a poco a poco dalle urne, mandando all’aria i sondaggi e generando un caos beffardo, che ha cominciato a ballare il twist sugli editoriali già scritti e i festeggiamenti immaginati, le nuove ere e i discorsi del re.

Soprattutto i numeri e l’impallidire delle risposte pronte ballavano su quell’addio-per-sempre che è sembrato fino all’ora di pranzo, la certezza e la ricompensa dopo tanto soffrire: niente più paese reale per Silvio Berlusconi, niente più voglia di votare uno che dice di restituire l’Imu di tasca sua (convinto di non vincere).

E invece, come una pioggia di meteoriti, e come tutte le volte, solo un po’ più anziano, un po’ più folle, ecco Berlusconi ovunque. Testa a testa. A trasformare il tutto in niente e il niente in tutto, insieme a Beppe Grillo, a fare suonare le campanelle dell’impazzimento: i commentatori in tivù sbiancavano a turno, a qualcuno scappava un riso vagamente isterico, facce stralunate, inviti alla calma ma caccia coi forconi ai sondaggisti (forse la gente intervistata al telefono si vergognava di dire voto Berlusconi, voto Grillo e lecco anche la matita? forse, dopo avere fatto due volte il giro della scuola in cui si vota, qualcuno, ma non solo qualcuno, proprio tanta gente è entrata nella cabina e ha detto: faccio la controrivoluzione; forse ai seggi alla domanda: per chi hai votato, molti rispondono: fatti gli affari tuoi; forse i sondaggisti intervistano sempre le stesse dieci persone di Roma centro). Ingovernabilità, governabilità? Che cosa diranno all’estero? Angela Merkel? Il New York Times? La commedia dell’arte? Che importa.

Quello che si voleva dire con questo voto diminuito e rabbioso, incazzato ma allegro, è che c’è ancora bisogno di un sogno, di un cappello a sonagli, di una rockstar. Di una sbandata, di una promessa. Di non essere un paese normale. Di ribellarsi ai tecnici, grigi e cupi e sacrificali. E ai giaguari da smacchiare, solo Nanni Moretti ha avuto il coraggio di dire che non era proprio il caso, non era nemmeno buffo, era un disastro.

Le facce stupite, gli svenimenti interiori, il restare lì, compunti ma con la bocca semiaperta a chiedersi: che sta succedendo?, e poi dire: voglio godermi questa sconfitta e capire molto dopo che era una vittoria (il più saggio Enrico Letta, che a un certo punto ha detto: “Meglio mandare in onda Stanlio e Ollio”), non volerci credere, prendersela prima con i sondaggi, poi con le proiezioni, poi con i risultati parziali, poi con la lentezza degli scrutinamenti e infine con se stessi, per non aver capito: che i meteoriti arrivano, soprattutto quando gli esperti dicono che non c’è nessun pericolo e non si avvicineranno mai abbastanza alla terra. E che Berlusconi non incanta più, come si fa a credergli ancora, dopo tutti gli errori e le follie. Quello che le facce sbiancate e incredule forse adesso dicono è che gli errori e le follie sono considerate meno gravi della mancanza di un’avventura memorabile.
dal Foglio di oggi
Annalena Benini

GIUSSANI: LA POLITICA E IL POPOLO


SECONDA PARTE dall'intervista alla "Stampa" del 1966

Lei ha sempre incoraggiato chi vuole esprimere il proprio impegno politico. Oggi quali sono gli errori che suggerirebbe di non commettere?
Qualsiasi lesione programmata o permessa alla libertà della persona oppure il tollerare qualsiasi limite posto alla creatività del singolo o del singolo gruppo o unità di popolo. Il limite inerente a questo è la consapevole e responsabile accettazione del condizionamento in cui storicamente la libertà del singolo è posta dalla libertà degli altri. La libertà tradizionalmente intesa è condizionata dalla categoria del possibile in cui confluisce l'attenzione alle scelte altrui. Questo implica l'etica della democrazia.

Lei, quando pensa alla politica, insiste sull'idea di popolo. Perché, cos'è il «popolo» per lei?
Un popolo nasce da un avvenimento, si costituisce come realtà che vuole affermarsi in difesa della sua tipica vita contro chi la minaccia. Immaginiamo due famiglie su palafitte in mezzo a un fiume che si ingrossa. L'unità di queste due famiglie, e poi di cinque, di dieci famiglie, man mano che si ingrossa la generazione, è una lotta per la sopravvivenza e, ultimamente, una lotta per affermare la vita. Senza volerlo, affermano un ideale che è la vita. Così la gente che dice di riferirsi a un popolo reputa inesorabilmente positiva la vita. Per la conoscenza razionalmente impegnata che ho della vita del singolo e della società, queste condizioni dell'idea di popolo toccano il vertice di concezione e di attuazione nell'annuncio del Fatto cristiano, nel quale per noi si compie quello che ha qualificato in tutta la sua storia il grande ethos del popolo ebraico e la sua tensione a cambiare la Terra. Il rabbino capo di Roma Toaff nel suo ultimo libro dice che i cristiani vogliono portare l'uomo in Cielo, gli ebrei vogliono portare Dio in Terra. Ma proprio per questo li sentiamo fratelli. Mi permetto di dire così, perché è lo stesso termine che ha usato Paul Elkann in un suo biglietto di ringraziamento per un telegramma di condoglianze da noi fatte al Premier israeliano per l'uccisione di Rabin.

Con la fine del comunismo, la Chiesa ha accentuato le sue critiche al modello «edonista» e «materialista» dell'Occidente. Ma l'anticomunismo, la critica del totalitarismo politico, non è stato forse uno dei cavalli di battaglia di Cl?
Il totalitarismo politico può assumere tante formule: anche quella di certa democrazia liberale o del capitalismo senza regole o dell'intransigenza rivoluzionaria, a stento camuffata di ogni tipo di manipolazione arbitraria della parola popolo, ciò che certo sindacalismo fa. In ogni caso il totalitarismo politico deve essere colto nella sua derivazione da un dogmatismo culturale.

Il nostro continua a definirsi un "Paese cristiano". Cl insiste nell'affermare che in Italia i cattolici siano una "minoranza"?
Cattolici veri, reali, autentici sono esigua minoranza. Parlo di quelli che pongono l'essenziale contributo della Tradizione a principio sintetico della vita e dei rapporti sociali, soprattutto nell'identificare lo scopo ultimo di tutta la storia (che viene prima dell'Apocalisse) nella costruzione nella storia stessa della gloria umana di Cristo attraverso non egemonie ricercate ad ogni costo, ma la potenza enigmatica di Dio. Il problema è di chi guida. Però una esposizione limpida della Tradizione trova l'opposizione sistematica del mondo culturale e del potere.

Ma non crede che le recenti disavventure elettorali in Polonia e in Irlanda nascano dalla percezione che le Chiese di quei due Paesi si fossero trasformate in instrumentum regni?
Non credo. Nel suo contenuto originale di proposta la Chiesa non subisce mai sconfitte. Infatti essa è il luogo di un Avvenimento di salvezza che nessun potere umano potrà eliminare o alterare sostanzialmente. Eliot chiama la Chiesa «la Straniera», proprio per la sua irriducibilità agli schemi del mondo. Certo, la Chiesa può essere castigata e colpita. Ma la sua forza, diversamente da ogni ideologia o utopia, è che è un dato incancellabile che porta la pretesa di incidere nella Storia. Forse ciò che sta accadendo richiama i cristiani alla necessità di essere fedeli alla natura autentica della Chiesa. Questo, d'altra parte, è ciò che appassiona e che dovrebbe entusiasmare ogni cristiano autentico: in tutto quello che si fa, servire la Chiesa di questo Papa, e basta. No, non basta. C'è una cosa da esigere dal politico che sia rimasto onesto: la libertà di espressione e quindi di educazione per una coscienza religiosa di un singolo o di un popolo. Dal primo anno in cui ho insegnato religione al Liceo Berchet, ho chiesto ai giovani: «Fateci andare nudi per le strade, ma siete obbligati a lasciarci liberi di esprimere e realizzare la nostra fede. Diversamente sareste semplicemente contro la civiltà».

PREGHIAMO PER L'ITALIA IN PERICOLO


COSA DISSE DON GIUSSANI NEL 1996
IN UNA INTERVISTA ALLA "STAMPA"

Ma lei si sente più garantito da un «cristiano» al governo?
No. Il problema è la sincera dedizione al bene comune e una competenza reale e adeguata. Ci può essere un cristiano ingolfato nei problemi ecclesiastici la cui onestà naturale e la cui competenza possono lasciare dubbi. Preferisco che non sia così. Come, secondo me, non è così per De Gasperi, La Pira, Moro e Andreotti.

Lei usa frequentemente termini come «umanità» e «giustizia». Perché, le pare forse che stiamo procedendo verso un mondo più umano e più giusto?
Il nostro punto di vista è di offrire il metodo per la risposta. Ma nessun metodo può affrontare le due parole - umanità e giustizia - con significativa approssimazione di verità. Per incominciare a comprendere parole che sovranamente sono indice di quel che c'è di più dignitoso nell'esperienza della natura a livello dell'io e quindi della società, occorre partecipare a un avvenimento. In tale avvenimento il significato di queste parole si gioca in modo drammaticamente scoperto, con un brivido di solitudine e dentro un orizzonte sempre inadeguato. Tutto calcolato, manca sempre qualcosa di definitivamente illuminante ed importante: manca sempre un di più per cui più si ricordano le esigenze sintetizzanti queste parole, più l'avvenimento da indagare e da ascoltare corrisponde a un "imprevisto" di cui parla Montale. Il contenuto dell'avvenimento è un incontro - nel senso banalmente reale del termine - con una realtà integralmente umana, come si incontra per la strada l'antico maestro che dica frasi buone: frasi buone su umanità e giustizia. Deve accadere quello che il popolo ebraico in tutta la sua storia ha atteso e che solo una esigua minoranza avrebbe riconosciuto quando è accaduto. Ed è per questo che noi viviamo un dolore per il popolo ebraico prima ancora che una forma di gratitudine per quanto è avvenuto.

«Giustizia». In Italia, però, questa parola è quasi diventata sinonimo di «rivoluzione giudiziaria». Quali conseguenze derivano da questa sovrapposizione?
Una parte esigua di tutto il popolo si erige a maestro illuminato e a giudice di tutti. È il concetto caratteristico di qualsiasi tentativo rivoluzionario. Da questa pretesa deriva la sovrapposizione di una "classe" a tutto il popolo, l'esasperazione di un particolare che crea nel popolo l'immagine del magistrato come il "puro" per natura, come accadde tra i maestri catari e albigesi. È la fanatizzazione di un particolare, per cui facilmente si trascurano le leggi che il progresso della civiltà ha pensato proprio per salvare l'azione di questo particolare in rapporto all'utilità del tutto. Ma l'esaltazione di un particolare fa dimenticare le regole; si annullano diritti della persona e quasi ogni sentimento di pietà, assicurando una idolatria agli attori in scena. No. Tutto questo non annulla la necessità di indagare e punire i colpevoli. L'avere assolto, sia pure in modo manomesso, questo compito, è l'apporto di utilità realizzato dagli esponenti di questa "rivoluzione".

Eppure lei ha lasciato intendere che la «rivoluzione giudiziaria» sia foriera di gravi sciagure. Perché Cl ha invitato a pregare la Madonna di Loreto e i Santi Patroni per la salvezza del nostro Paese?
La situazione è grave per lo smarrimento totale di un punto di riferimento naturale oggettivo per la coscienza del popolo, per cui il popolo stesso venga spinto a ricercare le cause reali del malessere e a salvarsi così dagli idoli.
Questo smarrimento comporta una inevitabile, se non progettata, distruzione dello stato di benessere, che risulta così totalmente minato nella tranquillità del suo farsi. Perché riprendere, bisogna pur riprendere!

Lei ritiene che questo sentimento sia condiviso dai giovani a contatto dei quali lei, sin dai tempi dei «giovani del Berchet», continuamente vive?
I giovani di oggi provengono da una traiettoria storica in cui la cultura è più omologata come rivoluzione che come più approfondito discernimento delle cause delle cose. Perciò si trovano più deboli di fronte allo scenario degli avvenimenti: sono più umanamente insicuri. Il bisogno della verità risulta invece fugacemente acuito. Come le masse dei bambini bosniaci e jugoslavi in ricerca della dimora. E i giovani di oggi non sanno che cosa sia la verità, perché nessuno glielo dice e nessuno li coinvolge in un cammino positivamente finalizzato. Il ritirato credito alla educazione per cui scetticismo, ironia negativa e non sufficiente fiducia rendono «polvere al vento», come dice il salmo 1, l'attività più appassionatamente umana che si possa concepire, cioè l'educazione.

PARTE PRIMA

sabato 23 febbraio 2013

PAOLO FOSCHINI:IL DESIDERIO LA POLITICA LA LIBERTA'


Nella politica, come in tutte le sfere dell’attività umana, occorre il tempo, la pazienza, l’attesa del sole e della pioggia, il lungo preparare, il persistente lavorio, per poi, infine, arrivare a raccoglierne i frutti.” Don Sturzo
ll clima di generale incertezza e sfiducia colpisce innanzitutto il sistema dei partiti e la rappresentanza politica nel suo insieme, colpevole – nella migliore delle ipotesi – di non aver saputo far fronte alla grave situazione di crisi o, peggio, di esserne la causa.

Nessuno è immune da questo punto di vista.

Ciò favorisce naturalmente le formazioni che si richiamano “fuori” dal sistema, quelle che cavalcano i sentimenti dell’antipolitica o radicalizzano posizioni estreme.

L’impegno in politica oggi ha senso  solo se è orientato alla costruzione del bene comune.

Dunque, perché la disaffezione non vinca anche sulla nostra storia e la nostra tradizione, voglio, insieme a tanti amici, ricreare attraverso il Pdl quel legame – che tanti stanno contribuendo a logorare – tra popolo e politica.

La degenerazione del sistema partitico che ha caratterizzato la nostra vita democratica, con lo strascico di clientelismo che ben sappiamo, è figlia di una concezione centralista e statalista del potere politico che ha radice nella sinistra di Bersani e Vendola.

La tradizione dei partiti popolari europei da sempre si erge contro questa concezione, affermando il primato della società e delle iniziative sorte dal basso sullo Stato e sull'apparato pubblico.

L’Italia ha bisogno di tornare a crescere dopo un anno di governo tecnico che non ha rispettato la promessa di riduzione del debito pubblico, pur aumentando le tasse dirette ed indirette in modo insopportabile, colpendo le persone più deboli, il sistema della imprese e il terzo settore.

L’Emilia Romagna e Bologna hanno bisogno di rialzarsi dalla mediocrità nella quale sono scivolate.

 Per farlo occorre ripartire da chi è impegnato seriamente a vivere, da chi non smette di desiderare e di costruire per il bene di tutti, particolarmente oggi davanti alle tre emergenze che ci attendono: emergenza etica, emergenza economica, emergenza istituzionale.

Credo che questa competizione elettorale sia l’occasione per tornare a proporre credibilmente il programma di riforme liberali e l'affermazione del principio di sussidiarietà che fanno parte del dna del PDL e per portare avanti in Parlamento la difesa del primato della vita, della famiglia e della libertà sullo Stato, che è tale per diritto naturale e non per graziosa concessione di chi detiene il potere. Non mancherà il mio impegno per affermare il valore insostituibile della libera iniziativa economica e per difendere la libertà dei genitori di scegliere il tipo di educazione per i propri figli.

Questi sono i contenuti che qualificano la mia presenza nella lista del PDL per la Camera dei Deputati.

Per Passione e non per Mestiere: Ti chiedo di condividere e di sostenere la mia candidatura votando per il PDL sulla scheda elettorale.

 

Un abbraccio,

Paolo Foschini

UN'AVVENTURA ESALTANTE

UNA LETTERA DALLA CAMPAGNA ELETTORALE
 
 
Carissimi amici, 

Siamo alla corsa finale. Tra pochi giorni si vota. E possiamo sin d'ora dirvi che, nonostante tutte le ipocrisie e gli scontri inaccettabili che vediamo ogni giorno, per noi è stata - grazie anche a voi - un'avventura esaltante.
E' stata un'immersione tra la gente e nella concretezza dei problemi reali, nonostante un sistema elettorale che porta a tutt'altro, al solo scontro mediatico, ignorando fuori dalla campagna elettorale il contatto costante con persone e realtà sociali. 
Il poco tempo rimasto da qui al voto costringe a saltare passaggi e ad andare al nocciolo della posta in gioco. Gli ultimi sondaggi danno al Pdl una rimonta inaspettata e anche il traguardo di far entrare in Parlamento Paolo Foschini, qui dall'Emilia-Romagna, non è poi così lontano come si poteva all'inizio pensare. Serve un ultimo sforzo, da Piacenza a Riccione, votando il Pdl sulla scheda della Camera Deputati.

Evidentemente c'è, nel popolo, chi ritiene, e non sono pochi, che debba esserci comunque un argine al rischio di un ritorno drammatico di statalismo e autoritarismo, che è ciò che abbiamo visto nell'ultimo anno e mezzo. E lo statalismo, interpretato programmaticamente da alcuni soggetti politici, è il male, non la cura, di questo Paese.
Se questa è la posta in gioco - e noi riteniamo che sia esattamente questa -  non va disperso il voto, va concentrato su un soggetto politico che, pur con tutti i suoi limiti, rappresenti più di altri, anche se fosse per approssimazione, questo messaggio: no allo statalismo, no all'erosione dei valori fondanti della nostra società, sì alla sussidiarietà, sì alla famiglia  e alla libertà scolastica che sono le leve con le quali guarire la crisi antropologica ed educativa nella quale siamo immersi.
Servono uomini e donne che non perdano speranze e sappiano creare lavoro, solidarietà, educazione e fare figli. Un voto che si disperda su realtà minoritarie, ancorché idealmente accettabili, che non possono però raggiungere nemmeno l'obiettivo di una presenza parlamentare, fallisce il suo stesso intento di dire qualcosa alla società e alla politica. Nel Pdl ci sono invece voci, non minoritarie, che parlano esattamente la nostra stessa lingua, quella di Paolo, che credo sia anche la vostra. Ed è un linguaggio di libertà, di priorità della vita e della persona, di priorità della società civile.
Buon voto.
In amicizia,

Valentina Castaldini
Consigliere comunale Bologna

venerdì 22 febbraio 2013

LA QUESTIONE MORALE


«Messa da parte la giustizia, cosa sono i regimi politici se non dei grandi latrocini?», così scrive il grande Agostino, quasi 1.600 anni fa. Non dovrebbe quindi meravigliare che i politici e i candidati al Parlamento facciano riferimento alla moralità, alla legalità e invochino la questione morale. Senza alcuna pretesa di essere esaustivo, ma solo a titolo di esempio cito alcuni candidati.

Bersani dice testualmente: «Abbiamo scelto di mettere due parole, moralità e lavoro, davanti alla legislatura e la legalità come priorità assoluta per il nostro Paese e ho chiesto a Pietro Grasso se era possibile darci una mano in questa riscossa».
Ingroia: «La questione morale è la questione centrale da cui far ripartire questo Paese. Noi siamo convinti che vada affrontata con misure straordinarie. Anche per contrastare il pensiero unico secondo cui gli investitori non vengono in Italia perché i lavoratori sono tutelati. Il problema è che sanno che oltre alle tasse già alte dovranno pagare il prezzo della corruzione e affidarsi a una giustizia lenta».

Anche Monti in occasione della sua candidatura il 4 gennaio dichiarò: «Mi rendo conto che la mia natura sta mutando, ma si è posta una questione morale». Così, davanti all’emergere periodico e quasi concertato di truffe e corruttele, di frodi e scandali i nostri candidati invocano una “nuova tangentopoli”, esigono da tutti moralità e indicono la “questione morale”. Ma c’è una grande differenza tra la constatazione impietosa e seria di Agostino e la questione morale invocata dai nostri candidati.

Agostino fa riferimento alla giustizia intesa come quella virtù che rende la volontà umana pronta e costante nel riconoscere ogni diritto dell’altro. Ogni diritto altrui a partire dal suo bene fondamentale, cioè l’esistenza fisica, poi il suo bene relazionale primario, cioè a vivere nella propria famiglia, quindi il suo bene intellettuale, che è l’aspirazione a conoscere il vero e a ricevere un’educazione adeguata.

I nostri candidati invocano la questione morale davanti a fenomeni di corruzione, abuso di potere, frodi o truffe – e fin qui ottimo – ma proprio qui la questione morale si ferma. Questi sono gli unici ambiti in cui la domanda di moralità ha senso ed è legittima, secondo la loro opinione.
La domanda di moralità non è invocata sempre e in ogni occasione, tanto meno davanti ai seguenti casi: quando un adulto ha il diritto di vita e di morte su chi adulto non è (è il caso dell’aborto o interruzione volontaria di gravidanza); quando un cittadino convivente con uno del suo stesso sesso pretende di avere gli stessi diritti del coniuge (è il caso delle unioni tra persone omosessuali, che aspirano all’equiparazione con i coniugi. Ma il principio di uguaglianza è: parità di trattamento a parità di condizioni e disparità di trattamento a disparità di condizioni. Ora, il diritto si occupa degli sposi non per assicurare loro la felicità, ma solo per garantire la successione ordinata delle generazioni umane. La condizione dei due conviventi dello stesso sesso è oggettivamente diversa dalla condizione di due sposi: i primi non possono generare, i secondi sono potenzialmente fertili. Perciò il diritto si occupa solo dei secondi in ragione delle generazioni future); oppure quando i genitori si vedono di fatto impossibilitati a esercitare il diritto di libertà di educazione a beneficio dei propri figli (è il caso della riduzione o cancellazione dei sussidi pubblici alle scuole private).

Limitando l’ambito della domanda morale, i nostri politici arrivano così a questo paradosso: gridano con veemenza la questione morale per sottrarre Caio dalla spirale di corruzione, ma in silenzio consentono che il figlio di Caio sia soppresso con l’aborto legale.
Eppure se andiamo ai classici della nostra cultura la domanda di moralità è tanto vasta quanto è ampio l’agire volontario dell’uomo.
Per Tommaso d’Aquino il bene o il male morale si estendono a tutte le azioni libere e volontarie dell’uomo: tutte, nessuna esclusa, è valutabile in termini di buona o cattiva, lodevole o biasimabile, ammissibile o inammissibile a seconda che sia conforme o meno alla dignità umana.

I nostri politici, chissà se per pigrizia mentale, miopia intellettuale o convenienza elettorale, riducono l’ambito delle esigenze di moralità alla sola giustizia sociale. Così facendo tralasciano molti aspetti della giustizia, che precedono e fondano la giustizia sociale, come i diritti umani fondamentali alla vita, alla libertà di pensiero e di educazione, e la relazione strutturale esistente tra giustizia e realtà, relazione che si chiama verità, e in particolare verità sull’uomo.

Perciò, parafrasando il grande Agostino, possiamo concludere: «Messa da parte la giustizia integrale e la verità sull’uomo, cosa sono i regimi politici se non una banda di ladri e briganti?».
Mi auguro e prego che questa campagna elettorale sia l’affermazione decisa e chiara di quattro principi non negoziabili: 1. la vita corporea di ogni uomo è un bene non disponibile; 2. il matrimonio monogamico tra un uomo e una donna è il fondamento della vita familiare e sociale; 3. i genitori sono i primi responsabili dell’educazione dei figli; 4. la vita associata e le sue istituzioni hanno senso se perseguono la ricerca e la realizzazione del bene comune di tutti i membri della società.

di Giorgio Maria Carbone21-02-2013
da LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA (www.lanuovabqt.it)
 

LEGGI ANCHE
LA QUESTIONE MORALE E LA POLITICA ITALIANA
DI MONS. PENNISI
http://crocevia-adhoc.blogspot.it/search/label/PENNISI

L'IDEOLOGIA DELLA MORALE

Da un articolo di Antonio Socci (2009)

......... La Chiesa è, ad immagine di Maria, “refugium peccatorum”.

E’ il paradosso che si riflette poeticamente nei più grandi scrittori cristiani. Non a caso “la creazione più alta in cui si incarna, nei romanzi di Dostoevskij, la santità è paradossalmente una prostituta”, nota don Barsotti. Cioè Sonja di “Delitto e castigo”. Non il santo monaco Zosima, ma Sonja.

Il fariseo pretende sempre di accusare di incoerenza i peccatori che si affidano a Dio. Ma non si crede in Gesù Salvatore perché noi siamo perfetti, si crede perché lui è perfetto. Tanto più si ha il diritto di gettarsi fra le braccia del Salvatore quanto più noi siamo dei disgraziati.

Un personaggio della “Sposa bella” di Bruce Marshall, uno che mostra di apprezzare la bellezza femminile e si dice cattolico, risponde al moralista che lo contesta: “E’ proprio qui che ti sbagli… Quasi tutti pensano che i loro peccati li abbiano privati del diritto di credere. Ma questo equivarrebbe a dire che la rivelazione cristiana è vera in maniera inversamente proporzionale ai propri vizi.

Nel Medioevo, la gente era cristiana anche nel peccato: il timore di essere accusata di incoerenza non la faceva cadere nell’errore di credere nella propria virtù”.

Credere nella propria virtù, pronti a lapidare il peccatore, è quanto c’è di più anticristiano, mentre le ferite del peccato facilmente diventano le feritoie attraverso cui Dio, che non si rassegna a perdere nessuno dei suoi figli, ci raggiunge con il suo abbraccio.

Così Charles Péguy, un grande convertito del Novecento, memore delle pagine evangeliche sul pubblicano e il fariseo (e delle polemiche di Paolo e Agostino sulla Legge), scrive queste pagine provocatorie: “Le persone morali non si lasciano bagnare dalla grazia. Ciò che si chiama la morale è una crosta che rende l’uomo impermeabile alla grazia. Si spiega così il fatto che la grazia operi sui più grandi criminali e risollevi i più miserabili peccatori”.

Infatti sul Calvario si convertì il “ladrone” (un brigante), mentre scribi e farisei, osservanti di tutti i 600 precetti della Legge, additavano Gesù come un maledetto da Dio.

“E’ per questo” prosegue Péguy “che niente è più contrario a ciò che si chiama … la religione, come ciò che si chiama la morale. E niente è così idiota che confondere così insieme la morale e la religione”.

Attenzione, Péguy – col suo linguaggio poetico – non sta facendo l’elogio dell’immoralità. Ma condanna l’ideologia della morale, cioè il giacobinismo, il moralismo farisaico e la pretesa di salvarsi da sé. Non è che Gesù fosse indifferente al peccato che anzi gli faceva una tristezza infinita. Ne aveva orrore, ma si struggeva di compassione per i peccatori. Era venuto per loro. Letteralmente.

Nel Vangelo Gesù mostra una pietà infinita per i più miserabili peccatori, li perdona sempre, li risolleva sempre (li considera i più poveri), mentre sfodera parole di fuoco solo contro i “giusti”, i rigoristi, i moralisti e gli “onesti” del suo tempo.

I peccatori umiliati (resi umili dalla propria scandalosa debolezza) si salvano, dice una sua parabola, mentre i “giusti”, insuperbiti dalla loro presunta rettitudine, no.

Scrive don Divo Barsotti: “è il tuo peccato che lo chiama; nulla più efficacemente della tua miseria lo attrae, purché tu gliela doni… In un istante i tuoi peccati sono distrutti, non sono più. Egli solo è”.

Per Gesù l’unico peccato che non si può perdonare è quello contro lo Spirito Santo, cioè quello dell’ideologia o dell’opposizione lucida e teorizzata contro Dio. Il peccato del pensiero oggi dominante che si erge deliberatamente contro Dio. Com’è stato, nel recente passato, il comunismo. Perciò Pio XI nella Divini Redemptoris (citata dal Concilio) proclamava: “Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso”.

Gilbert K. Chesterton in una pagina memorabile fa dire a un suo personaggio (evidente simbolo della Chiesa): “Noi sosteniamo che i delinquenti più pericolosi sono proprio quelli dotati di cultura, che il furfante più temibile è il filosofo moderno assolutamente privo di principi. Al suo confronto, bigami e tagliaborse sono esseri essenzialmente morali e il mio cuore palpita per loro. Essi non rinnegano il vero ideale dell’uomo, lo cercano in modo sbagliato, ecco tutto”.

Invece i “filosofi”, gli ideologi pretendono di teorizzare e trasformare il Male in Bene e viceversa.

Da duemila anni, la Chiesa è – per volontà del suo Maestro e Signore – la casa del peccatori, l’abbraccio del loro Padre misericordioso. Tutto nella Chiesa è fatto per i peccatori. Le grandi Cattedrali e il sublime gregoriano, le immense tele di Caravaggio e l’Agnus Dei di Mozart, la grandiosa teologia di Tommaso d’Aquino e il Giudizio universale di Michelangelo.

Quello che c’è di più sacro sulla terra, cioè i sacramenti, sono fatti per i peccatori. Sono per loro. Infatti sono i gesti fisici (legati sempre a segni fisici) della presenza di Gesù che abbraccia, risolleva, cura, medica, consola, rafforza, chiama. Il Concilio ripete che la Chiesa è il primo, grande sacramento della salvezza. La Chiesa è la casa dei peccatori perché gli esseri umani sono i figli del Re. Anche quando sono in catene (nel peccato) sono i figli del Re, possono invocarlo e vengono da lui soccorsi. E gli angeli sono a loro servizio.

Chi invece contesta la regalità di Dio, quello non è figlio. Non può essere perdonato, perché non vuole l’abbraccio del Padre, ma lo odia e ne combatte lucidamente la presenza, le opere, la volontà, la bontà.

Invece – come spiega Agostino nelle “Confessioni” – nella debolezza del peccare talvolta si manifesta proprio la sete che ogni creatura ha di Dio. Spesso il peccato nasce dalla solitudine, dalla paura della morte, dall’incertezza di esistere che induce ad aggrapparsi alle creature, alla loro effimera bellezza creata. E così inconsapevolmente l’uomo mostra quanto ha sete e fame di Dio, la fonte della Bellezza, la vera Felicità, la vera Vita.

Un altro grande convertito del nostro tempo, Olivier Clément, osservando la generazione della “rivoluzione sessuale”, negli anni Settanta, scriveva: “Nel peccato, e soprattutto nel peccato in quanto ricerca dell’innocenza mediante l’inferno, si delinea tutto il paradosso dell’uomo… Dovremmo essere in grado di discernervi la sete dell’infinito, la nostalgia della libertà e della comunione, (…) la sofferenza di colui che cerca l’assoluto nelle realtà della terra, quelle realtà che non possono salvare, ma che attendono di essere salvate”.

Clément parla di uomini in cerca di “un’eterna adolescenza” e conclude: “Nella grande e spesso folle prova della libertà dobbiamo distinguere la persona nel suo trasalimento ancora cieco e nel suo destino insaziabile, con la certezza che nella parte più profonda dell’inferno Cristo – per sempre vincitore di esso – attende colui che l’Apocalisse chiama ‘l’uomo di desiderio’ ”. Perché Cristo è il solo medico della nostra malattia mortale.

giovedì 21 febbraio 2013

STATO MINIMO E VALORI DELLA PERSONA


Silvio Berlusconi, intervistato dal settimanale Tempi, riassume in uno slogan il programma del Popolo della Libertà: «Stato minimo e valori della persona». In un’intervista concessa al direttore di Tempi, Luigi Amicone, Berlusconi parla della campagna elettorale, dei suoi avversari Pier Luigi Bersani e Mario Monti, di tasse, Imu, crescita e valori non negoziabili. Nega la possibilità di accordi post voto con il centro e la sinistra e apre, con cautela, a una nuova Bicamerale per le riforme. Annuncia che nel suo governo ci sarà «un ministro per le Riforme».
L’intervista uscirà sul settimanale
Tempi in edicola da domani. Qui ne riportiamo ampi stralci.


RIMONTA. Berlusconi dice che «la sinistra di Bersani e Vendola, che pensava di avere già vinto le elezioni, ora è terrorizzata dalla nostra rimonta. Mi dispiace che una norma insensata mi vieti di parlare di sondaggi, ma tutti sanno benissimo che la rimonta è compiuta e l’esito delle elezioni è apertissimo». Il leader del Pdl dice di volere «ridare agli italiani la capacità di credere nel loro futuro. Io ho grande fiducia nel nostro popolo: sono convinto che in fondo gli italiani vadano soltanto lasciati lavorare, senza opprimerli di tasse e di burocrazia, offrendo delle ragionevoli condizioni di contesto, come infrastrutture e sicurezza, e il nostro paese dalla crisi è perfettamente in grado di uscire. Certo, la situazione oggi è grave, ma proprio per questo, se di paura dobbiamo proprio parlare, io lo farei per chi, come Monti, ha tramortito la nostra economia e di chi, come Bersani e Vendola, continuerebbe e anzi aggraverebbe la strada delle tasse e della spesa facile».

VITA, FAMIGLIA, MATRIMONIO. Come si può riassumere il programma del Popolo della Libertà? Berlusconi lo sintetizza in poche parole: «Stato minimo e valori della persona». Secondo il Cavaliere «nessun’altra coalizione può vantare la propria coerenza con questi princìpi, neppure i cosiddetti centristi».
Berlusconi ricorda che «ci siamo sempre opposti ad ogni deriva laicista e relativista, abbiamo fatto tutto il possibile, anche scontrandoci con il capo dello Stato, come nel caso Englaro, per difendere la vita in ogni suo momento, la famiglia naturale, la libertà di scelta educativa. Se l’Italia oggi non ha l’eutanasia legale, il matrimonio gay, la fecondazione eterologa, come avviene in tanti paesi europei, il merito è nostro, è della linea che coerentemente in parlamento e al governo abbiamo mantenuto in questi anni».
Berlusconi ha ribadito di essere «per la massima estensione dei diritti individuali per ogni cittadino quali che siano le sue scelte e i suoi orientamenti nella vita privata», ma, ha aggiunto, «senza toccare la vita, il matrimonio e la famiglia, che sono valori sociali e culturali, non soltanto scelte private».

TAGLIO DELLE TASSE. Se fosse eletto, cosa farebbe nei primi cento giorni? «È molto semplice – dice Berlusconi -: taglieremo subito le tasse. È questa la chiave di tutta la nostra politica economica. Partiremo dalla più odiosa delle imposte, l’Imu, che colpisce il bene più prezioso degli italiani, la casa. Abbiamo detto – e lo considero il più solenne impegno di questa campagna elettorale – che restituiremo l’Imu sulla prima casa già pagata nel 2012. È un gesto insieme simbolico e concreto».
Ma Berlusconi aggiunge che «nel giro dei cinque anni della prossima legislatura ridurremo gradualmente l’Irap per le aziende fino a cancellarla completamente. Un’altra strada che adotteremo per far ripartire l’occupazione è poi quella della detassazione dei nuovi contratti: un’azienda che assumerà un disoccupato a tempo indeterminato sarà esentata per diversi anni dal pagare su quel contratto sia le imposte che i contributi. In Italia ci sono circa quattro milioni di aziende. Se ognuna per ipotesi assumesse un solo dipendente a condizioni così favorevoli, avremmo una spinta enorme per l’occupazione». A tutto questo, spiega, «deve accompagnarsi un serio e severo taglio delle spese, in quasi tutti i settori, escludendo la formazione e la sicurezza. Io mi impegno a tagliare almeno il 2 per cento di spesa pubblica l’anno per i prossimi cinque anni, senza toccare lo Stato sociale per i più deboli. I margini per farlo ci sono, le sacche di spreco e di malcostume da eliminare sono vastissime».

NO A GOVERNO DI LARGHE INTESE. Se dopo il voto, chiede il direttore di Tempi Luigi Amicone, ci si ritrovasse in una situazione di ingovernabilità, è possibile che lei, come fece nel 2006 con Romano Prodi, tenda una mano alla coppia Bersani-Monti? «Non si ripeteranno le condizioni del 2006 – risponde Berlusconi -, perché gli italiani non lo permetteranno. Io sono convinto, e non solo dai sondaggi, che possiamo vincere in entrambi i rami del Parlamento. Comunque non ci sono le condizioni per un nuovo governo di larghe intese dopo le elezioni. Ci abbiamo provato, con il governo Monti, e avete visto com’è andata a finire. Non ripeteremo quello che – con il senno del poi – forse è stato un errore. D’altronde come potremmo collaborare con Monti e Bersani, con Vendola e Fini, persone che in materia fiscale come sui temi etici hanno un’opinione opposta alla nostra?».

RIFORME COSTITUZIONALI. Il Cavaliere si dice convinto che «il nostro paese ha un drammatico bisogno di riforme costituzionali». Cita le difficoltà di governo per un presidente del Consiglio e il fatto che «Camera e Senato fanno lo stesso identico lavoro, raddoppiando i tempi e i costi». «Sono tutte cose che dobbiamo cambiare», spiega. «Per questo chiedo agli italiani una maggioranza ampia che mi dia la forza per cambiare le regole. Su questo comunque, ma solo su questo, sono pronto a collaborare nel prossimo Parlamento con tutte le altre forze politiche disponibili. C’è da ridurre il numero dei parlamentari, da tagliare i costi della politica, da cancellare il finanziamento ai partiti. Per fare tutte queste cose la strada del referendum propositivo sarebbe forse quella giusta, ma la Costituzione la rende oggi impraticabile. Dovremmo prima cambiare la Costituzione stessa, e questo sarebbe lunghissimo e macchinoso».

BICAMERALE PER LE RIFORME. Infine, una cauta apertura a una Bicamerale per le riforme: «Non ho nulla in contrario a una nuova Bicamerale per le riforme, purché con un mandato preciso e dei limiti altrettanto precisi di tempo e di metodo. Mi va bene a patto che non sia la solita occasione per annegare nelle parole bellissimi progetti destinati a rimanere solo sulla carta. Quanto al ministro per le Riforme, certamente nel mio governo ci sarà, visto che sarà una delle nostre priorità assolute».

LA LAPIDE DI PRODI A PIAZZA DUOMO


L’apparizione a sorpresa di Romano Prodi alla grande manifestazione milanese del Pd – talmente grande da meritare l’apertura di Repubblica – mi ha profondamente rattristato. Parlo di quel tipo di tristezza che ti prende quando, nonostante tu in fondo ti augurassi il contrario, sta accadendo esattamente ciò che a malincuore avevi previsto. Prodi odora di sconfitta lontano un miglio, e vederlo come guest star della rancorosa macchina da guerra equivale a contemplarne l’imminente disfatta politica (non per forza elettorale: vedremo).
La lapide di Prodi in piazza Duomo consegna l’agglomerato bersaniano al suo destino, identico negli anni e nei decenni. I prodiani sostengono che il Professore è stato l’unico a sconfiggere il Cavaliere nelle urne. Giusto: ma la prima volta è accaduto perché la Lega correva da sola, e la seconda senza maggioranza al Senato. Ma il punto, naturalmente, è un altro: i governi Prodi – i fantastici, incredibili governi dell’Ulivo e poi dell’Unione che correvano da Bertinotti a Dini, da Diliberto a Mastella – sono rovinosamente crollati sotto il peso dell’incoerenza politica, programmatica, ideale e persino umana. E hanno riaperto le porte alla destra trionfante di Berlusconi
Prodi lascia in bocca il sapore della disillusione, delle speranze fallite, del trasformismo e dell’opportunismo, della fatica di sopravvivere, dell’inevitabile caduta. E Prodi che grida Non sarà come l’altra volta! non fa che moltiplicare, amplificare, dilatare in modo devastante quel sapore e quel messaggio.
E infatti così andrà a finire: nella migliore delle ipotesi, Bersani riuscirà a rabberciare un governo con Monti, Vendola, Fini e Casini, destinato a galleggiare per un po’ di mesi. Proprio come accadeva con Prodi. Nessuno in nessuna campagna elettorale conosciuta ha saputo mettere in scena così trionfalmente la propria sconfitta.
da "thefrontpage.it"

CONCEDI AL TUO SERVO UN CUORE DOCILE


Mi si consenta di cominciare le mie riflessioni sui fondamenti del diritto con una piccola narrazione tratta dalla Sacra Scrittura. Nel Primo Libro dei Re si racconta che al giovane re Salomone, in occasione della sua intronizzazione, Dio concesse di avanzare una richiesta. Che cosa chiederà il giovane sovrano in questo momento importante? Successo, ricchezza, una lunga vita, l’eliminazione dei nemici? Nulla di tutto questo egli chiede. Domanda invece: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male” (1Re 3,9). Con questo racconto la Bibbia vuole indicarci che cosa, in definitiva, deve essere importante per un politico. Il suo criterio ultimo e la motivazione per il suo lavoro come politico non deve essere il successo e tanto meno il profitto materiale. La politica deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace. Naturalmente un politico cercherà il successo che di per sé gli apre la possibilità dell’azione politica effettiva. Ma il successo è subordinato al criterio della giustizia, alla volontà di attuare il diritto e all’intelligenza del diritto. Il successo può essere anche una seduzione e così può aprire la strada alla contraffazione del diritto, alla distruzione della giustizia. “Togli il diritto – e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?” ha sentenziato una volta sant’Agostino. Noi tedeschi sappiamo per nostra esperienza che queste parole non sono un vuoto spauracchio. Noi abbiamo sperimentato il separarsi del potere dal diritto, il porsi del potere contro il diritto, il suo calpestare il diritto, così che lo Stato era diventato lo strumento per la distruzione del diritto – era diventato una banda di briganti molto ben organizzata, che poteva minacciare il mondo intero e spingerlo sull’orlo del precipizio. Servire il diritto e combattere il dominio dell’ingiustizia è e rimane il compito fondamentale del politico. In un momento storico in cui l’uomo ha acquistato un potere finora inimmaginabile, questo compito diventa particolarmente urgente. L’uomo è in grado di distruggere il mondo. Può manipolare se stesso. Può, per così dire, creare esseri umani ed escludere altri esseri umani dall’essere uomini. Come riconosciamo che cosa è giusto? Come possiamo distinguere tra il bene e il male, tra il vero diritto e il diritto solo apparente? La richiesta salomonica resta la questione decisiva davanti alla quale l’uomo politico e la politica si trovano anche oggi.

Bendetto XVI, Discorso al Bundestag

FOLGORATO

MARIO MAURO SULLA VIA DI SANT'EGIDIO


Mario Mauro, europarlamentare e candidato al Senato per la lista Monti, all’agenzia AGI ha dichiarato:

"Ci sono tante personalità che si possono indicare per la carica di presidente della Repubblica e la proposta di nominare una donna va benissimo. A mio avviso però un'ottima candidatura sarebbe quella di Andrea Riccardi, ministro dell'Integrazione nel governo Monti e apprezzata figura istituzionale, nonché uomo del dialogo tra varie religioni, culture e forze partitiche, storico delle persecuzioni cristiane e uomo di frontiera, vicino ai sofferenti e ai poveri con il suo impegno nella comunità di Sant'Egidio".

MA COSA FUMANO QUELLI DI "SCELTA CIVICA"?

NOTA BENE
dall'intervento di Crepaldi (post precedente) a proposito dei "cattolici"in politica oggi:
"Comportamenti sorprendenti
Abbiamo assistito ad una vasta gamma di comportamenti sorprendenti: chi si è candidato in partiti che contengono nel loro programma punti indubbiamente lesivi della legge morale naturale e della stessa salvaguardia della identità della persona; chi ha utilizzato gli incontri di Todi per ritagliarsi una posizione politica personale; chi ha immediatamente messo da parte i principi non negoziabili non appena ha visto la possibilità di aggregarsi ad un contenitore ove erano presenti anche forze laiche o laiciste con cui bisognava combinarsi; chi ha iniziato una lotta contro altri cattolici presenti nel suo stesso partito; chi ha utilizzato l’appartenenza a movimenti ecclesiali per lanciarsi in politica dentro raggruppamenti che avrebbero portato avanti istanze contrarie all’ispirazione del movimento ecclesiale originario".


Riccardi rientra in quasi tutti questi comportamenti che hanno disorientato i cattolici

mercoledì 20 febbraio 2013

FORMIDABILE CREPALDI


Ricominciamo dal 26 febbraio

di Giampaolo Crepaldi*20-02-2013

 

Un diffuso malessere
Davanti all’impegno civico, morale ed anche religioso del voto elettorale alle prossime elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013 molti cattolici provano sentimenti di confusione e di sconforto. Mai come in queste elezioni l’elettore cattolico, consapevole della posta in gioco e desideroso di applicare gli insegnamenti della Chiesa, si è trovato smarrito davanti ad un quadro politico che non lo soddisfa e nel quale i principi che egli ritiene fondamentali rischiano di smarrirsi. Lo sconforto è un sentimento umano che in certe situazioni è comprensibile, ma che deve essere vinto dalla fede, dalla speranza e dalla carità cristiane. Vogliamo fare alcune considerazioni sia per prendere atto dei motivi profondi di questo sconforto, sia per indicare una ripresa da attuare a cominciare dal 26 febbraio prossimo.

Con l’inizio del governo tecnico presieduto da Mario Monti nel novembre 2011 poteva iniziare oggettivamente un periodo di decantazione politica. Poteva essere il momento giusto per iniziare un’opera di chiarimento dottrinale e di riorganizzazione pratica dentro il mondo cattolico, in modo tale da affrontare le successive elezioni politiche di fine legislatura con una prospettiva praticabile e non disorientante.
L’urgenza di un simile percorso era resa evidente da due dinamiche di ampia portata. Da un lato l’acutizzarsi della crisi finanziaria ed economica, che era all’origine del governo Monti stesso e della inusitata prassi istituzionale che lo aveva costituito, la quale richiedeva da parte della cultura cattolica che si rifà in modo convinto alla Dottrina sociale della Chiesa uno sforzo originale di riflessione. Dall’altro la chiara percezione, suffragata da ingenti pronunciamenti del Magistero, che la crisi era antropologica e richiedeva di insistere sulla centralità dei principi non negoziabili. Sul piano culturale era un’occasione molto opportuna per disporre una proposta culturale organica incentrata sui principi non negoziabili di cui bisognava dimostrare anche la capacità di illuminare gli aspetti di politica economica e sociale necessari per affrontare la grave emergenza della recessione e della disoccupazione.
Questo, purtroppo, non è stato fatto e tale carenza è all’origine del disorientamento e della delusione di molti cattolici.

Non sono mancati gli orientamenti del magistero
Bisogna chiedersi se siano mancati gli orientamenti magisteriali e di pensiero necessari a farlo, se siano mancate invece le occasioni, o se sia mancata la volontà. Bisogna riconoscere che non sono mancati né gli orientamenti magisteriali né le occasioni. Le occasioni sono state sprecate dentro logiche tattiche limitate.
Con la convocazione di Todi 1 (17 ottobre 2011) era iniziato, forse non nel migliore dei modi, ma era iniziato un percorso di riflessione, che è poi continuato con Todi 2 (21-22 ottobre 2012) ed infine si è concluso piuttosto miseramente con l’annullamento del previsto Todi 3. Le occasioni, come si vede, ci sono state.
Quanto al magistero, oltre al grandioso patrimonio del più recente magistero pontificio, in questa difficile fase non sono mancate le precise indicazioni del cardinale Bagnasco, presidente dei Vescovi italiani. Proprio a Todi 1 egli aveva tenuto un discorso formidabile che, anche da solo, avrebbe potuto costituire la base di partenza per un cammino comune di chiarimento finalizzato alle elezioni di fine legislatura.

Tra le altre cose il cardinale Bagnasco aveva detto che il bene comune non è un mucchio di valori e di principi senza un loro ordine intrinseco. Ce ne sono alcuni di primaria importanza, che servono a dare luce a tutti gli altri dato il loro carattere architettonico. Questi principi sono i cosiddetti “principi non negoziabili”. Bisogna riconoscere che questo importante discorso del Cardinale non è stato assunto come punto di partenza e di riferimento per il lavoro successivo e le stesse conclusioni di Todi 1 si sono concentrate sui problemi politici del momento, in particolare sul passaggio al nuovo governo tecnico. Un lavoro più approfondito è stato fatto a Todi 2, da cui era emerso il manifesto “Una buona politica per tornare a crescere” che aveva avuto importanti adesioni.

Ma a Todi 2 il quadro era già compromesso in quanto erano risultati evidenti due limiti, che poi emersero con sempre maggior forza man mano che la situazione politica declinava verso le elezioni. I cosiddetti principi non negoziabili non vennero assunti come “principi” ma come “valori” e collocati, quindi, in un paniere allo stesso titolo di altri valori da perseguire politicamente. In questo modo essi perdevano la loro capacità di illuminare l’intero progetto politico e, soprattutto, perdevano il loro valore discriminante e di demarcazione tra un impegno politico che si potesse chiamare cattolico e uno no, si riducevano a valori che potevano esserci o anche non esserci e che potevano essere combinati o scambiati con altri valori. Non essendo stato precisato il quadro teorico, mentre le tensioni politiche si facevano più aspre, anche il quadro delle adesioni al percorso di Todi cominciò ad incrinarsi, fino a dissolversi in prossimità di Todi 3.

Che le indicazioni magisteriali non siano mancate in questa fase che va dal giuramento del governo Monti alle elezioni di fine legislatura, nemmeno nella più recente fase preelettorale, è dimostrato dall’alto valore del discorso del Cardinale Bagnasco al Consiglio permanente della CEI del 28 gennaio 2013. Qui il cardinale non solo ribadisce la dottrina dei principi non negoziabili, ma ne propone anche una articolazione etico-politica molto utile a chiarire le urgenze del momento. Leggendo però questo discorso non si può evitare di notare la sua lontananza dalla concreta prassi di molti uomini politici cattolici, che ormai si erano allocati politicamente in modo anche decisamente difforme rispetto alle indicazioni del cardinale Bagnasco.

Comportamenti sorprendenti
Abbiamo assistito ad una vasta gamma di comportamenti sorprendenti: chi si è candidato in partiti che contengono nel loro programma punti indubbiamente lesivi della legge morale naturale e della stessa salvaguardia della identità della persona; chi ha utilizzato gli incontri di Todi per ritagliarsi una posizione politica personale; chi ha immediatamente messo da parte i principi non negoziabili non appena ha visto la possibilità di aggregarsi ad un contenitore ove erano presenti anche forze laiche o laiciste con cui bisognava combinarsi; chi ha iniziato una lotta contro altri cattolici presenti nel suo stesso partito; chi ha utilizzato l’appartenenza a movimenti ecclesiali per lanciarsi in politica dentro raggruppamenti che avrebbero portato avanti istanze contrarie all’ispirazione del movimento ecclesiale originario. Ne è conseguito un quadro disorientante e deludente.

Sul piano teorico c’è stato chi ha detto che i principi non negoziabili sono importanti ma non urgenti, chi ha affermato che essi non devono essere presenti in un programma di governo ma devono essere affrontati in Parlamento, chi ha negato che esista una “dottrina” dei principi non negoziabili, chi ha messo in dubbio che esista un elenco preciso di tali principi, chi ha continuato a chiamarli “valori”, chi ne ha aggiunto altri di proprio conio a quelli elencati da Benedetto XVI, chi ha sostenuto che essi limitano l’autonomia dei laici in politica e quindi sarebbero addirittura contrari al Vaticano II, chi ha detto che non rispettano la laicità della politica, chi ha detto che non esistono principi non negoziabili in quanto l’annuncio cristiano è da farsi sempre dentro una situazione, chi ha detto che al massimo essi servono ad una convergenza dei cattolici in Parlamento ma non sono discriminanti per la scelta del partito di appartenenza e così via.

Si sono ripercossi su questo tema i soliti grandi temi teologici che stanno dividendo da tempo il mondo cattolico, che il magistero pontificio ha già chiarito ma i cui chiarimenti stentano a filtrare nel corpo ecclesiale a causa di una sorda opposizione. Gli strumenti di informazione cattolica, come per esempio i Settimanali diocesani, hanno spesso dato voce a tutte le posizioni, oppure si sono astenuti limitandosi a sottolineare il dovere del voto o ha chiedere “dialogo, condivisione e sobrietà” e in questo modo hanno accentuato il disorientamento dei fedeli.

Un grave pericolo
In questi ultimi mesi numerosi Stati si sono decisamente incamminati sulla strada di leggi tragicamente lesive della dignità della persona, del matrimonio e della famiglia. Il riconoscimento giuridico del “matrimonio omosessuale” è un fatto dirompente dato che apre alla possibilità della filiazione, non solo tramite adozione ma soprattutto tramite inseminazione artificiale. Coloro che usufruiranno di queste leggi saranno una minoranza ma il cambiamento culturale sarà travolgente: si va incontro al rischio di perdere il senso della paternità e della maternità e di considerare la filiazione un fatto tecnico che apre la strada a forme di violenza inaudita. Ebbene, mentre questa valanga travolgente si abbatte sulla natura umana, i cattolici italiani si sono divisi sulle tattiche di piccolo cabotaggio, hanno messo da parte le indicazioni del magistero, non hanno saputo individuare le vere emergenze e hanno escogitato i più sottili sofismi.

Esiste la concreta possibilità che nel prossimo Parlamento i cattolici siano pochi e divisi e che venga a mancare un pur piccolo nucleo che possa essere punto di riferimento riconoscibile per la difesa dei principi connessi con la natura umana. C’è la concreta possibilità che nel giro di pochi mesi, nella prossima legislatura, vengano approvate a raffica leggi che importino anche in Italia la devastata situazione dell’Inghilterra o della Francia: che il limite dei tre embrioni previsto dalla legge 40 venga sfondato, che diventi possibile divorziare con una mail; che la pillola abortiva RU486 sia data in mano alle ragazzine come l’aspirina; che un bimbo possa avere 6 genitori, che sia possibile partorire a pagamento per conto terzi, che il giudice decida di affidare un bimbo a due omosessuali e così via.

Serve un nuovo inizio
Difficile, davanti a questo quadro possibile, non parlare di grave inadeguatezza dei cattolici italiani in questa ultima fase della vita politica italiana.
Questa fase che doveva essere di decantazione della politica e avrebbe dovuto favorire un chiarimento e una convergenza dei cattolici è stata sprecata. Il disorientamento e la delusione esprimono la diffusa percezione di questa occasione perduta. Non rimane che pensare al 26 febbraio, il giorno dopo le elezioni. Bisognerà ricominciare a lavorare in un senso molto diverso. Per questo ci siamo attardati sull’analisi di questo ultimo periodo, perché possa scaturire dal 26 febbraio qualcosa di veramente nuovo. Il nostro Osservatorio è a disposizione a collaborare con chiunque voglia unirsi a noi in questo sforzo.


*Arcivescovo di Trieste e presidente dell'Osservatorio Cardinale Van Thuân