Anche
CL é diventata carina? Una recensione video.
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Il documentario video confezionato da R.Fontolan e
M.Maggioni (due giornalisti di calibro)
in occasione dei 60 anni di vita del Movimento fondato
da don Giussani presenta una serie
di brevi o lunghe testimonianze, alcune veramente
impressionanti per carica umana e sociale
, di persone che partecipano in tante parti del
mondo, e in ogni condizione sociale, alla "strada bella",
come indica felicemente il titolo.
Il valore di alcuni di questi racconti sicuramente
suscita ammirazione e curiosità.
Ma il contrappunto di immagini di natura un
po' "stile santino delle Pie suore di roccasecca"
che circonda l'attuale presidente della Fraternità
Julian Carron e altri momenti ( torrente,
foglie tremule, strade deserte) e di luoghi di
miseria (miseri appunto ma sempre abbastanza carini)
rendono il tutto secondo le ferree leggi del
metodo televisivo, uno zibaldone di frasi e ricordi
in confezione gradevole e scorrevole.
Se lo scopo era un video promozionale in occasione
di uno strano anniversario ( chi mai festeggia
il sessantennale se non per segnalare un nuovo
marchio, o un nuova linea produttiva....) allora
l'intento è riuscito e il consenso, che si potrebbe
riservare pure a un documentario video di bravi
scout o di volenterosi animatori dell'Azione
Cattolica o di Emergency, non mancherà.
Solo certi momenti di alcune testimonianze e
l'irruzione (breve) della voce di don Giussani e
di (solo) due o tre sue immagini danno un colpo
d'ala di frasi meno "confezionate" e un senso
di drammaticità intera, carica di tensione e
simpatia umana.. Il resto fila via liscio. Troppo liscio, t
elevisivo. Carino, appunto.
Ma forse è l'epoca che suggerisce di adeguarsi a
tale gusto o forse lo impone a chi non disponga
di altra estetica - carini ormai sono i leader
politici, i capi delle grande multinazionali hi-tech, i
giornalisti in tv, i programmi musicali.
Insomma, carina la vita a cui ci fanno aspirare
quando il desiderio ( quello del Miguel Manara che
don Giussani leggeva commosso, capace di
incendiare le foreste) è un po' sopito, un po' sistemato
e
gratificato dalla propria vanagloria o dal consenso.
Rimane comunque un documento interessante e
consigliabile a chi voglia comprendere come
il carisma di un uomo probabilmente santo- cioè la
fede vissuta secondo tutta l'autenticità di un
temperamento umano aperto all'azione di Dio- può
muovere la storia e la vita di tanti, e cosa
significa appartenere oggi in luoghi diversi del
mondo a un pezzo di Chiesa viva.
Davide Rondoni
da il clandestino zoom
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venerdì 31 ottobre 2014
UN NUOVO INIZIO?
"INTERVISTE E CONVERSAZIONI CON I GIORNALISTI"DI JORGE MARIO BERGOGLIO - PAPA FRANCESCO
DI ANTONIO SOCCI
Nel Vaticano di papa Bergoglio la
confusione è totale. Ogni giorno ce n’è una. Dopo lo sconcertante caso “Leoncavallo
in Vaticano”, ora, con la firma di “Jorge Mario Bergoglio-Papa Francesco”, la
Libreria editrice vaticana pubblica il volume “Interviste e conversazioni con i
giornalisti”, dove vengono raccolte “le interviste rivolte a papa Francesco,
riconosciute e pubblicate come tali dal giornale della Santa Sede L’Osservatore
romano e da altre testate”.
E’
clamoroso e significativo che fra di esse ci siano anche le due con Eugenio
Scalfari perché finora molti le consideravano controverse. Il fatto creerà imbarazzo.
Ricordiamo i loro contenuti più esplosivi.
“NON ESISTE UN DIO CATTOLICO”
Nell’intervista del 1° ottobre 2013,
a proposito dei “mali più gravi” che “affliggono il mondo”, incredibilmente
Bergoglio non parla della perdita della fede, della cancellazione di Dio o
dell’attacco alle basi della morale e della legge naturale.
No.
Dice: “la disoccupazione dei giovani” e “la solitudine dei vecchi”.
Scalfari, stupito, gli fa presente
che questi sono un “problema politico ed economico” che “riguarda gli Stati, i
governi, i partiti e i sindacati”. Il Papa dovrebbe occuparsi di Dio.
Ma Bergoglio ribatte che quelli da
lui enunciati, anche per la Chiesa, sono “il problema più urgente e più
drammatico”.
Poi il passo più dirompente, dove il
papa afferma: “Ciascuno di noi ha una
sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere
verso quello che lui pensa sia il Bene (…). Ciascuno ha una sua idea del Bene e
del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li
concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo”.
Molti hanno osservato che questo
concetto, che nega l’oggettività del Bene e del Male, contraddice tutto il
magistero della Chiesa ed è molto pericoloso perché potrebbe essere usato
perfino da Stalin e Hitler per autogiustificarsi.
Un altro passaggio bergogliano che
ha creato forte disagio: “i Capi della Chiesa spesso sono stati narcisi,
lusingati e malamente eccitati dai loro cortigiani. La corte è la lebbra del papato” (è stato ricordato a Francesco che
lui più di tutti deve guardarsi dalle lusinghe dei cortigiani).
Nell’intervista papa Bergoglio si scaglia poi duramente contro il
“liberismo selvaggio”, ma non pronuncia parole di condanna verso il comunismo e
neanche verso la teologia della liberazione (in entrambi i casi elogia
le persone che hanno professato queste ideologie).
Il
papa argentino condanna inoltre il “proselitismo” cattolico (“una solenne
sciocchezza”) dicendo che “il nostro obiettivo non è il proselitismo, ma
l’ascolto dei bisogni, dei desideri, delle delusioni”.
Al contrario di quanto prescrive
Gesù nel Vangelo: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli
battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando
loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate” (Mt 28, 19-20).
In un altro passo stupefacente, papa
Bergoglio diceva: “io credo in
Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio”.
Strane anche le parole
sull’escatologia dove dice che, dopo la fine del mondo, “la luce di Dio
invaderà tutte le anime” e ripete che “tutta la luce sarà in tutte le anime”.
Quel “tutte” apre qualche
interrogativo, soprattutto se si tiene presente che nel magistero ordinario di
Bergoglio è difficile trovare la parola “inferno” (io non l’ho trovata).
IMBARAZZO VATICANO
Questa intervista, uscita il 1°
ottobre su “Repubblica”, fu ristampata l’indomani anche sull’”Osservatore
romano” e fu collocata nel sito internet del Vaticano.
Qualche coraggioso provò a dar voce
allo sconcerto che era di molti cattolici per quelle parole mai pronunciate da
un papa.
Padre Lombardi tentò di arrampicarsi
sugli specchi dicendo che Francesco non aveva rivisto personalmente il testo,
che tuttavia Scalfari aveva inviato prima della pubblicazione.
Non convinse nessuno.
Il fatto poi che non arrivasse
nessuna smentita precisa e incontestabile alle dichiarazioni più sorprendenti
fece crescere lo sconcerto.
Così, dopo un mese e mezzo, il 15
novembre, fu decisa la cancellazione di quell’intervista dal sito ufficiale del
papa e del Vaticano.
Per l’occasione padre Lombardi tornò
ad arrampicarsi sugli specchi spiegando che “l’intervista è attendibile in
senso generale, ma non nelle singole valutazioni: per questo si è ritenuto
di non farne un testo consultabile sul sito della Santa Sede. In sostanza,
togliendola si è fatta una messa a punto della natura di quel testo. C’era
qualche equivoco e dibattito sul suo valore. Lo ha deciso la Segreteria
di Stato”.
A quel punto perfino “Vatican
Insider”, che è la “curva sud” dei tifosi bergogliani, notò che “in effetti
l’articolo conteneva espressioni difficilmente attribuibili a Papa Francesco”.
Sennonché adesso l’intervista viene
ripubblicata addirittura in un libro del papa. Dunque ora cosa diranno?
Non solo. Gli incontri fra Scalfari
e Bergoglio sono proseguiti. E il 13 luglio di quest’anno su “Repubblica” è
uscita un’altra intervista di Scalfari al papa.
L’IRA DEI CARDINALI
Anche stavolta vi si leggono passi
stupefacenti. Per esempio, papa Bergoglio afferma
che “se (una persona) sceglie il male perché è sicura che da esso deriverà un
bene dall’alto dei cieli queste intenzioni e le loro conseguenze saranno
valutate. Non possiamo dire di più perché non sappiamo di più”.
Poi il papa dice che, a proposito
degli ecclesiastici, “il celibato fu stabilito nel X secolo” (notizia che ha
sorpreso gli storici della Chiesa) e che, per quanto riguarda il matrimonio dei
preti, “ci vuole tempo, ma le soluzioni ci sono e le troverò”.
Infine il passo più esplosivo.
Parlando della pedofilia nella Chiesa, il papa dette una percentuale sbagliata
(in eccesso) e aggiunse che fra questi pedofili ci sono “sacerdoti e perfino
vescovi e cardinali”.
La mattina stessa dell’uscita
dell’intervista, il 13 luglio, pur essendo domenica, pare che alcuni importanti
porporati abbiano telefonato usando parole di fuoco. Così il solito padre
Lombardi si precipitò subito a fare una dichiarazione su quel colloquio
“cordiale e molto interessante”.
Disse: “come già in precedenza in
una circostanza analoga, bisogna far notare che ciò che Scalfari attribuisce al
Papa, riferendo ‘fra virgolette’ le sue parole è frutto della sua memoria di
esperto giornalista, ma non di trascrizione precisa di una registrazione e
tantomeno di revisione da parte dell’interessato”.
Quindi “non si può e non si deve
parlare in alcun modo di un’intervista… Se quindi si può ritenere che
nell’insieme l’articolo riporti il senso e lo spirito del colloquio… occorre
ribadire con forza”, come la volta precedente, “che le singole espressioni
riferite, nella formulazione riportata, non possono essere attribuite con
sicurezza al Papa”.
“In particolare” padre Lombardi
smentì due affermazioni che “non sono attribuibili al Papa. Cioè che fra i
pedofili vi siano dei ‘cardinali’, e che il Papa abbia affermato con sicurezza,
a proposito del celibato, ‘le soluzioni le troverò’ ”.
Lombardi notò che in queste due
affermazioni “attribuite al Papa”, Scalfari apriva le virgolette, ma non le
chiudeva: “dimenticanza” si chiedeva il portavoce vaticano “o esplicito
riconoscimento che si sta facendo una manipolazione per i lettori ingenui?”.
E’ curioso che una parola così
pesante (“manipolazione”) venga usata verso un giornalista che il papa ha
continuato a ricevere più volte. Curioso pure che la smentita sia stata precisa
e dura su punti scottanti, come quello relativo ai cardinali e la pedofilia, ma
non sulle affermazioni di contenuto dottrinale, che sarebbero anche più
importanti.
E ORA ?
Infine, che valore ha questa smentita
di luglio, pur riportata, senza commenti, nell’introduzione del libro firmata
da don Giuseppe Costa, dal momento che adesso il papa ripubblica quelle due
interviste integrali, tali e quali, in un libro con la sua firma?
Può un papa seminare questa confusione
fra i fedeli?
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martedì 28 ottobre 2014
FRANCESCO E IL BIG BANG
Marco Bersanelli da Il susidiarionet
martedì 28 ottobre 2014
Sono limpide e liberanti le parole che Papa Francesco
ha rivolto ieri alla Sessione plenaria della Pontificia Accademia delle
Scienze, riunita in questi giorni per discutere sul tema "L'evoluzione del concetto di natura". La tematica
sottostante è tra le più delicate e affascinanti, ovvero il rapporto tra
Creazione e evoluzione. Con un tocco di sapiente ironia il Papa ha invitato
innanzitutto a liberarci da un'immagine sempre in qualche modo latente nel
pensiero comune quando si parla dell'atto della creazione narrato dal libro
della Genesi: "rischiamo di immaginare che Dio sia stato un mago, con
tanto di bacchetta magica in grado di fare tutte le cose". E poi ha insistito che Dio non è un
"demiurgo" che agisce su un "caos che deve ad altro la sua
origine". Egli è invece Colui che "ha creato gli esseri e li ha
lasciati sviluppare secondo le leggi interne che Lui ha dato ad ognuno, perché
si sviluppassero, perché arrivassero alla propria pienezza".
E' importante non perdere la portata di queste parole.
Il Creatore non è un essere fra gli altri esseri con dei poteri speciali (non è
un mago, appunto), Egli è invece la fonte stessa dell'essere. Tutto ciò che
esiste ha in Lui la radice ultima. Così fa parte della creazione la capacità
delle cose naturali di evolvere nel tempo, di compiere la propria natura. Il
divenire delle cose, l'evoluzione dell'universo fisico è una storia che la
scienza pian piano tenta di decifrare, uno straordinario racconto che si
dispiega nel tempo. Ma il tempo stesso, come diceva Sant'Agostino già nel IV
secolo, è Sua creatura. Non esiste un istante di tempo che non sia creato da
Lui. Così come sono Sue le leggi di natura, quelle misteriosissime "leggi
interne che Lui ha dato a ogni essere", grazie alle quali l'universo
fisico è mutato nel tempo secondo una evidente direzione di sempre maggiore
complessità e ricchezza, perché le cose "si sviluppassero, perché
arrivassero alla propria pienezza".
Non vi è perciò contraddizione tra creazione ed
evoluzione, come già avevano chiarito san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI;
non vi sono conflitti tra la legge fisica che "spiega"
scientificamente certi fenomeni e il fatto che quei fenomeni (così come quella
legge che li "spiega") sono creati: "L'evoluzione nella natura non contrasta con la nozione di
Creazione, perché l'evoluzione presuppone la creazione degli esseri che si
evolvono", ha detto in splendida sintesi Papa Francesco. Allora ogni
istante della storia cosmica assume il suo umile e alto significato: "la
creazione è andata avanti per secoli e secoli, millenni e millenni finché è
diventata quella che conosciamo oggi". E in effetti sono davvero tanti i
millenni di quella storia, visto che misuriamo l'età dell'universo in 13,8
miliardi di anni! Ma, come ha detto Francesco in una recente omelia anticipando
questi temi, Egli è «il Signore della storia» e anche della «pazienza»…
C'è dunque una necessaria distinzione tra la creatura
e il creatore, un distacco che però non è affatto estraneità ma è piuttosto la
condizione dell'abbraccio: "Egli ha
dato l'autonomia agli esseri dell'universo al tempo stesso in cui ha assicurato
loro la Sua presenza continua". Coincidono questa
"autonomia" che Dio lascia alla creatura e il dono della Sua
presenza, piena di trepidazione per il destino e il compimento di tutto. Come
ha suggerito Dante, il rapporto di Dio con la sua creazione è uno sguardo
amoroso e instancabile, Egli "dentro a sé l'ama / tanto che mai da lei
l'occhio non parte". E' come una madre che osserva con discrezione il suo
figlio, gli dona continuamente la propria presenza, ama il suo destino, desidera
per lui tutto il bene possibile, ma non si sostituisce a lui.
Se il Creatore "dà l'essere a tutti gli
enti" — ai sassi e alle stelle, ai fiori e agli animali, e a ogni momento
del tempo della storia dell'universo — Egli dà l'essere anche alla nostra
povera esistenza in questo istante. E nel darci il respiro e la vita fisica, ci
dà anche quel desiderio di amare, quella sete inestinguibile di conoscere che
sono nel cuore di ogni uomo: "Quando,
al sesto giorno del racconto della Genesi, arriva la creazione dell'uomo, Dio
dà all'essere umano un'altra autonomia, un'autonomia diversa da quella della
natura, che è la libertà". E in effetti la libertà ci dà un'altra
autonomia perché ci svincola dalle leggi di natura, pur essendovi sottoposti in
quanto esseri corporali, perché a differenza dei sassi e delle stelle non siamo
determinati solamente da esse.
Il miracolo dell'innestarsi della libertà
nell'universo attraverso la creatura umana, significa anche una grande,
vertiginosa responsabilità. Nel creare l'essere umano libero, Dio "lo
rende responsabile della creazione, anche perché domini il Creato, perché lo
sviluppi e così fino alla fine dei tempi". Lo scienziato, in particolare,
è chiamato a "interrogarsi sull'avvenire dell'umanità e della terra"
e a "costruire un mondo umano per tutti gli esseri umani e non per un
gruppo o una classe di privilegiati".
Siamo insomma invitati a collaborare alla creazione,
per il bene della persona umana, sempre aperti a rinvenire nuovi tesori che il
Mistero ha messo nelle pieghe del mondo che ci ha donato. Papa Francesco ha
infatti incoraggiato gli scienziati ad essere mossi "dalla fiducia che la
natura nasconda, nei suoi meccanismi evolutivi, delle potenzialità che spetta
all'intelligenza e alla libertà scoprire e attuare per arrivare allo sviluppo
che è nel disegno del Creatore". Difficile immaginare un compito più
affascinante di questo.
LA TOMBA DEL CRISTIANESIMO POLITICO
di
Robi Ronza da "lanuovabussola" 28-10-2014
È evidente che Matteo Renzi sta puntando
a una radicale riorganizzazione del sistema politico italiano, ed è anche
evidente che, piaccia o non piaccia, ci sta riuscendo. Il “dopo-Leopolda” che
ora inizia ce lo confermerà sin dalla corrente settimana.
Benché avesse subito un gigantesco
scossone con il passaggio dalla prima alla seconda
repubblica, in fin dei conti sino a poco tempo fa tale sistema era ancora
quello uscito dalle elezioni del 1948, e poi riassestato con la nascita nel
1962 del “centro-sinistra”. Non c’erano più la Dc (con il Psi, suo principale
alleato) e il Pci. Restava però, al di là dei nomi e dei leader, la sostanza
del sistema con Forza Italia, poi PdL, che aveva raccolto l’eredità della Dc e
del Psi, e il Pd per così dire “storico” che aveva raccolto l’eredità del Pci.
Ciascuno dei due nuovi partiti capo-fila aveva ereditato il grosso del
personale politico dei partiti di cui era erede, nonché i loro rispettivi
rapporti di prossimità con questa o quella grande organizzazione di
rappresentanza, dai sindacati alle Camere di commercio, dalla Confindustria
alle cooperative, dalle associazioni degli artigiani a quelle degli
agricoltori.
Con l’iniziativa politica che Renzi ha
preso, convocando all’ex stazione Leopolda di Firenze, gli
stati generali dei suoi amici, in concomitanza con la manifestazione indetta
contro il suo governo a Roma dalla Cgil, il rimescolamento delle carte comincia
a diventare irreversibile. L’alleanza tipica e fondamentale tra Pci e poi Pd da
un lato e Cgil dall’altro è stato rotta irreparabilmente. Il nuovo Pd di Renzi
corre verso il centro, togliendo sempre più spazio a Berlusconi e ai suoi
alleati. E lo fa senza temere di ricuperare persino una parola e un concetto,
che dal 1945 erano catastroficamente scomparsi dalla scena politica italiana,
insieme a Mussolini: quello di Nazione.
Il premier ha infatti annunciato l’alba
nientemeno che di un “partito della Nazione”. E pur di costruirlo non esita a
indicare la porta alla vecchia sinistra del Pd. Per salvare il salvabile,
Berlusconi si riscopre sempre più erede, come d’altronde è, del Psi di Bettino
Craxi e anche del Partito Radicale di Marco Pannella. Uscendo dal PdL Angelino
Alfano e dei suoi amici si sono infatti portati (nel fosso) con sé tutto il
poco che ancora restava della sensibilità di Berlusconi per la visione del
mondo cristiana.
Per parte sua Matteo Renzi -
la cui fede personale ovviamente non è in discussione - in quanto leader
politico e uomo di governo, è un prodotto tipico dello scoutismo (come peraltro
anche diversi altri membri del suo governo).
Il cristianesimo come morale e
come osservanza liturgica; e la cultura “laica” per tutto il resto: questo
dualismo ben intenzionato, che da De Gasperi ad oggi non ha mai smesso di fare
dei danni all’esperienza cristiana in Italia, ha due distinte origini.
1. Una
deriva dalla cultura idealistica di matrice tedesca, poi magari rivisitata in
forza di una certa interpretazione del pensiero di Maritain (come fu ad esempio
il caso di Lazzati).
2. La seconda invece deriva dal pensiero umanitario
anglosassone, e quindi dallo scoutismo, che ne è una tipica espressione.
Sia in
una prospettiva che nell’altra, siamo all’irrilevanza politica (e
all’irrilevanza pubblica, in genere) della cultura di matrice cristiana. In
questo quadro, allo stato attuale delle cose, sulla scena politica italiana non
c’è più spazio per una presenza cristiana di qualche rilievo. Si pone quindi
per i cristiani in Italia, quindi per i cattolici, il problema di come
ricostituirla, e nel frattempo di come costruire nella società civile punti di
forte interlocuzione nei confronti di chi è al potere.
sabato 25 ottobre 2014
LA RINUNCIA ALLA VERITA’ E’ LETALE PER LA FEDE
21 ottobre 2014, in
occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Urbaniana di
Roma, l’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, ha dato
lettura di un messaggio scritto dal Papa emerito. Di seguito il testo del
messaggio che è stato pubblicato dal portale kath.net
MESSAGGIO DEL PAPA EMERITO BENEDETTO XVI
PER L’INTITOLAZIONE DELL’AULA MAGNA
PONTIFICIA UNIVERSITA’ URBANIANA – 21 OTTOBRE 2014
Vorrei in primo luogo esprimere il
mio più cordiale ringraziamento al Rettore Magnifico e alle autorità
accademiche della Pontificia Università Urbaniana, agli Ufficiali Maggiori e ai
Rappresentanti degli Studenti, per la loro proposta di intitolare al mio nome
l’Aula Magna ristrutturata. Vorrei ringraziare in modo del tutto particolare il
Gran Cancelliere dell’Università, il Cardinale Fernando Filoni, per avere
accolto questa iniziativa. È motivo di grande gioia per me poter essere così
sempre presente al lavoro della Pontificia Università Urbaniana.
Nel corso delle diverse visite che
ho potuto fare come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede,
sono rimasto sempre colpito dall’atmosfera di universalità che si respira in
questa Università, nella quale giovani provenienti praticamente da tutti i
Paesi della Terra si preparano per il servizio al Vangelo nel mondo di oggi.
Anche oggi, vedo interiormente di fronte a me, in quest’aula, una comunità
formata da tanti giovani, che ci fanno percepire in modo vivo la stupenda
realtà della Chiesa cattolica.
“Cattolica”: questa definizione
della Chiesa, che appartiene alla professione di fede sin dai tempi più
antichi, porta in sé qualcosa della Pentecoste. Ci ricorda che la Chiesa di
Gesù Cristo non ha mai riguardato un solo popolo o una sola cultura, ma che sin
dall’inizio era destinata all’umanità. Le ultime parole che Gesù disse ai suoi
discepoli furono: “Fate miei discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19). E al momento
della Pentecoste gli Apostoli parlarono in tutte le lingue, potendo così
manifestare, per la forza dello Spirito Santo, tutta l’ampiezza della loro
fede.
Da allora la Chiesa è realmente
cresciuta in tutti i Continenti. La vostra presenza, care studentesse e cari
studenti, rispecchia il volto universale della Chiesa. Il profeta Zaccaria
aveva annunciato un regno messianico che sarebbe andato da mare a mare e
sarebbe stato un regno di pace (Zc 9,9s.). E infatti, dovunque viene celebrata
l’Eucaristia e gli uomini, a partire dal Signore, diventano tra loro un solo
corpo, è presente qualcosa di quella pace che Gesù Cristo aveva promesso di
dare ai suoi discepoli. Voi, cari amici, siate cooperatori di questa pace che,
in un mondo dilaniato e violento, diventa sempre più urgente edificare e
custodire. Per questo è così importante il lavoro della vostra Università,
nella quale volete imparare a conoscere più da vicino Gesù Cristo per poter
diventare suoi testimoni.
Il Signore Risorto incaricò i suoi
Apostoli, e tramite loro i discepoli di tutti i tempi, di portare la sua parola
sino ai confini della terra e di fare suoi discepoli gli uomini. Il Concilio
Vaticano II, riprendendo, nel decreto “Ad gentes”, una tradizione costante, ha
messo in luce le profonde ragioni di questo compito missionario e lo ha così
assegnato con forza rinnovata alla Chiesa di oggi.
Ma vale davvero ancora? – si chiedono in molti, oggi, dentro e fuori la
Chiesa – davvero la missione è ancora attuale? Non sarebbe più appropriato
incontrarsi nel dialogo tra le religioni e servire insieme la causa della pace
nel mondo? La contro-domanda è: il dialogo può sostituire la missione? Oggi in
molti, in effetti, sono dell’idea che le religioni dovrebbero rispettarsi a
vicenda e, nel dialogo tra loro, divenire una comune forza di pace. In questo modo
di pensare, il più delle volte si dà per presupposto che le diverse religioni
siano varianti di un’unica e medesima realtà; che “religione” sia il genere
comune, che assume forme differenti a secondo delle differenti culture, ma
esprime comunque una medesima realtà. La questione della verità, quella che in
origine mosse i cristiani più di tutto il resto, qui viene messa tra parentesi.
Si presuppone che l’autentica verità su Dio, in ultima analisi, sia
irraggiungibile e che tutt’al più si possa rendere presente ciò che è
ineffabile solo con una varietà di simboli. Questa rinuncia alla verità sembra
realistica e utile alla pace fra le religioni nel mondo.
E tuttavia essa è letale per la fede. Infatti, la fede perde il suo
carattere vincolante e la sua serietà, se tutto si riduce a simboli in fondo
interscambiabili, capaci di rimandare solo da lontano all’inaccessibile mistero
del divino.
Cari amici, vedete che la
questione della missione ci pone non solo di fronte alle domande fondamentali
della fede ma anche di fronte a quella di cosa sia l’uomo. Nell’ambito di un
breve indirizzo di saluto, evidentemente non posso tentare di analizzare in
modo esaustivo questa problematica che oggi riguarda profondamente tutti noi.
Vorrei, comunque, almeno accennare alla direzione che dovrebbe imboccare il
nostro pensiero. Lo faccio muovendo da due diversi punti di partenza.
HANS KUNG, LA CHIESA NELLA TEMPESTA
Il teologo svizzero Hans Küng, nella sua lunga vicenda umana e
intellettuale, non ha mai dismesso il suo “abito di scena”, che è quello del
“cattivo maestro” in polemica con il magistero autentico della Chiesa
cattolica. I suoi temi prediletti sono quelli che ieri venivano riproposti
dall’arcivescovo di Milano, cardinale Carlo Maria Martini, e oggi vengono
volgarizzati dalla letteratura pseudo-profetica di Enzo Bianchi.
W. Turner, Snow storm 1842 |
Sono la riforma della Chiesa, l’abolizione del primato pontificio, una
“nuova” morale indirizzata ad attuare la “rivoluzione sessuale” sessantottina —
di stampo freudiano-marxista —, la concessione del sacerdozio alle donne,
l’eutanasia. Ultimamente Küng, ammalato di Parkinson, è giunto ad
annunciare l’intenzione di ricorrere egli stesso al suicidio assistito, a
imitazione del cardinal Martini.
Küng rappresenta l’inventore degli schemi concettuali che reggono le tante
proposte rivoluzionarie avanzate in questi mesi da teologi ed esponenti
dell’episcopato mondiale in occasione del Sinodo straordinario sulla famiglia
indetto da Papa Francesco. Tale ideologia pervade oggi, come sottofondo ben
identificabile a un’attenta analisi concettuale, la maggior parte delle
proposte, dottrinali o pastorali, dei teologi cattolici più in vista, a
cominciare da Karl Rahner, che lo stesso Hans Küng considera un maestro e un
modello.
Molti teologi cattolici vicini a Kung, alcuni dei quali sono diventati
vescovi, esercitarono una ben documentata influenza sui lavori del Vaticano II,
per poi assumere il ruolo (arbitrario) degli unici interpreti autorevoli dello "Spirito del Concilio" nel successivo cinquantennio, fino ad arrivare, oggi, alla preparazione
e allo svolgimento dei lavori del duplice Sinodo sulle possibili modifiche
della prassi pastorale in relazione ai problemi delle famiglie.
Figura di spicco di questa corrente
teologica è il cardinale Walter Kasper, sostenuto da gran parte dell’episcopato
tedesco e in Italia da altri teologi divenuti cardinali come Dionigi Tettamanzi
e Gianfranco Ravasi. La sua tesi più caratteristica, in linea con le proposte
teologico-morali di Hans Küng, è la necessità di accelerare il processo di
riforma della Chiesa con un più deciso adattamento alla coscienza morale degli
«uomini del nostro tempo» e l’allineamento con la prassi delle comunità
ecclesiali protestanti e ortodosse. Nel suoi discorsi il Leitmotiv è la necessità di de-dogmatizzare la Chiesa
cattolica, cominciando da una nuova pastorale della famiglia separata e
indipendente dalla dottrina sui sacramenti, provvisoriamente non abolita ma
tenuta in disparte .
A questo proposito il cardinale Müller, Prefetto della Congregazione per la
Dottrina della Fede, ha detto con grande precisione teologica: «Un semplice
“adattamento” della realtà del matrimonio alle attese del mondo non dà alcun
frutto, anzi risulta controproducente: la Chiesa non può rispondere alle sfide
del mondo attuale con un adattamento pragmatico”.
Il pragmatismo è infatti la versione
“performativa” (ossia, operativa) del relativismo, sotto la cui dittatura
viviamo ufficialmente dai tempi di papa Benedetto
XVI, che la denunciò vigorosamente. L’«adattamento pragmatico» di cui parla
Müller consiste nell’adattare la Chiesa alle (presunte) nuove istanze dei
fedeli, e anche degli infedeli, ai quali si vuol apparire dialoganti sempre e a
ogni costo.
Ciò implica la decisione di
mettere in soffitta il dogma, appellandosi alle sole (presunte) esigenze
di azione pastorale nella liturgia, nella catechesi, nell’amministrazione dei
sacramenti. Si dice infatti e si ripete che «la dottrina non viene toccata ma
si affrontano le sfide della società di oggi». In altri termini, la dottrina da
una parte e la pastorale dall’altra. Qualcosa come “i commenti separati dalle
notizie”, come dicevano i settimanali politici di un tempo. Ma frasi di questo genere non hanno di per
sé alcun senso.
In effetti, la pastorale è un
insieme di decisioni, di iniziative, di scelte,
insomma di azioni, i cui soggetti sono persone consapevoli e (si spera)
responsabili. Ora, qualunque azione umana, sia di un singolo come privato sia
di un singolo come rappresentante di un’istituzione, è regolata intrinsecamente
– a rigor di logica, e dalla logica non si scappa – da un’intenzione, da un criterio, quindi in definitiva da dei principi,
dunque da una dottrina. Di conseguenza, quando certi teologi e anche certi
ecclesiastici con autorità episcopale dicono che cercano soluzioni “pastorali”
diverse da quelle che la Chiesa ha adottato finora, e aggiungono che però non
intendono cambiare la dottrina, dicono
una cosa assolutamente illogica, una cosa che essi vorrebbero fosse presa
per buona (ossia, come un’ipotesi plausibile) da parte del pubblico al quale si
rivolgono, ma che loro per primi sanno che non ha alcun senso. In realtà quelle frasi sono mera retorica,
una cortina fumogena che serva a nascondere i veri obiettivi, i fini reali dei
cambiamenti che si vogliono attuare.
Obiettivi che
costituiscono comunque una minaccia grave per la fede cattolica: l’intenzione di lasciare la dottrina della
Chiesa così com’è, senza introdurre cambiamenti formali ma senza nemmeno
applicarla alla vita della Chiesa, il che significa cominciare (o continuare)
ad agire nella prassi pastorale secondo altri principi e altri criteri: altri
principi e altri criteri, che allora sarebbero non-dottrinali, estranei cioè al
dogma, quindi indipendenti da quello che Dio ha rivelato come verità salvifiche
e che ogni fedele è tenuto a credere nel proprio cuore, a professare
esteriormente e a vivere personalmente. Quindi non si tratterebbe di criteri
teologici ma di criteri umani, sostanzialmente politici, come si deduce dal
linguaggio usato nei loro messaggi e dai mezzi adoperati per diffonderlo
nell’opinione pubblica.
Da alcuni articoli di Antonio Livi
UN TRAVISAMENTO DELLA REALTÀ DELLA FAMIGLIA
L'ARCIVESCOVO
DI TRIESTE GIAMPAOLO CREPALDI, GIUSEPPE PELLEGRINI, VESCOVO DI
CONCORDIA-PORDENONE, ANDREA BRUNO MAZZOCATO, ARCIVESCOVO DI UDINE, PRENDONO
POSIZIONE CONTRO I SINDACI CHE HANNO APERTO ALLE COPPIE GAY.
«Nelle nostre Diocesi abbiamo splendide famiglie
cristiane che hanno fondato il loro amore sulla grazia del sacramento e, confidando in Dio, si conservano indissolubilmente fedeli e aperte a generare nuove
creature. Esse sono un Vangelo vivente che diffonde la speranza
che è possibile superare la diffusa fragilità affettiva e maturare la forza di
donarsi reciprocamente per tutta la vita (Relatio Synodi, 10). Queste famiglie
ci impegneremo ad amare e a sostenere in ogni modo perché sono, da tutti i
punti di vista, un patrimonio
per la Chiesa e per tutta la società».
«In
questo contesto non possiamo nascondere la sofferenza per certi travisamenti della realtà della
famiglia e del matrimonio recentemente sostenuti da
rappresentanti di istituzioni pubbliche. Ci riferiamo, in particolare, ai sindaci di alcuni comuni italiani
che hanno dato vita ad iniziative
non rispettose degli ambiti del loro potere, finalizzate alla
trascrizione nel registro dello stato civile di un matrimonio tra persone dello
stesso sesso celebrato
all’estero. Tali iniziative hanno lo scopo di forzare la legislazione nazionale sui temi relativi ai cosiddetti “nuovi
diritti” e l’intento di condizionare l’opinione pubblica. Nei giorni scorsi un
simile orientamento è stato concordato anche dai comuni di Pordenone, Udine e
Trieste. Da più parti è già stato messo in luce che i provvedimenti di
un’amministrazione comunale non possono debordare l’ambito loro proprio e porsi
in contrasto con le leggi vigenti. Come Vescovi delle Diocesi in cui sono
presenti i comuni sopra citati, più che per gli aspetti tecnici che lasciamo
valutare prudentemente ad altri, siamo preoccupati per le questioni di
sostanza. La legalità, di cui una
comunità ordinata vive, ha molti aspetti che riguardano il bene comune. La pace
è sempre tranquillitas ordinis, la tranquillità dell’ordine. Nel disordine non
c’è pace e non c’è bene comune. Chi ha dei ruoli pubblici, come è il caso dei
sindaci, ha in ciò una responsabilità maggiore di altri, proprio in quanto
investito di un potere pubblico in ordine al bene comune. Il potere deve essere
sempre responsabile se vuole essere autorevole e non arbitrario».
«Non si può, poi, in nome
della difesa dei diritti di qualche cittadino snaturare il concetto di famiglia accolto nella Costituzione italiana. I diritti fondamentali della
persona vanno indubbiamente rispettati, ma senza estendere la legislazione
familiare e matrimoniale a relazioni
affettive e sessuali che, per natura loro, famiglia e matrimonio non sono.
Su un tema tanto delicato e decisivo per il futuro della società, ci sembra che
le argomentazioni addotte dai responsabili delle amministrazioni comunali
interessate, siano superficiali
e ambigue».
«Ci
permettiamo, inoltre, di farci interpreti di tante famiglie che continuano a
lottare contro una pesante
precarietà economica e lavorativa. Grazie alla loro forza di
coesione e di solidarietà esse stanno dando a tutta la società un decisivo contributo
per reggere in questa prolungata crisi. Aggiungiamo, poi, che “i fattori di
ordine economico esercitano un peso talvolta determinante contribuendo al forte calo della natalità che indebolisce il tessuto sociale,
compromette il rapporto tra generazioni e rende incerto lo sguardo sul futuro”
(Relatio Synodi, 57). È sotto gli occhi di tutti quanto la denatalità sia una
delle più preoccupanti emergenze
anche dei nostri territori. Per questi motivi le esigenze delle
famiglie dovrebbero essere collocate tra i primi posti dell’agenda
dei nostri amministratori nei quali vorremmo vedere maggiore convinzione nel
promuovere politiche più incisive a favore della famiglia».
«Siamo
coscienti che i punti toccati esigerebbero più approfondite argomentazioni, non
compatibili con questo breve messaggio. Tuttavia, li offriamo come stimolo a
promuovere una pastorale familiare sempre più convinta e ricca nelle nostre
Chiese diocesane. Con questo Messaggio - conclude il comunicato - intendiamo,
inoltre, rinnovare la nostra piena disponibilità a confrontarci con tutti sulla
base dell’onestà intellettuale e del principio intangibile del rispetto della
persona nella sua identità naturale. Non possiamo rassegnarci perché troppo decisivi e preziosi sono la
famiglia e il matrimonio anche
nei nostri contesti umani, culturali e sociali e vivi restano nelle autentiche
aspirazioni dei giovani. Mentre vi assicuriamo la nostra preghiera, a tutti
vogliamo far giungere la nostra benedizione».
SE QUESTO E' UN PRETE
“Quando ci troviamo di fronte a realtà che esistono non possiamo
soltanto appellarci al principio astratto (il matrimonio). Quello lo
ribadiamo, lo professiamo, lo difendiamo, ma difronte alle situazioni noi
chiudiamo gli occhi opponendo la Verità ai Diritti e alla dignità delle
persone”. Mons. Domenico Mogavero, Ballarò 21 ottobre)
L’eccellentissimo monsignor Domenico Mogavero, vescovo di
Mazara del Vallo e in lizza per la ben più
prestigiosa cattedra episcopale di Palermo, “deve aver confuso Gesù Cristo con
Stefano Rodotà”, visto
che
“è quest’ultimo che parla di diritti, mentre Gesù si preoccupava di predicare verità
e carità”.
Basta
leggere i quattro santi Evangeli, dopotutto. La bioeticista Assuntina Morresi si dice scandalizzata
dallaperformance del vescovo siciliano in diretta tv, martedì sera su RaiTre, a
“Ballarò”. In studio, una coppia
omosessuale cattolica con tre figli registrata dal sindaco di Roma Ignazio
Marino prima che il prefetto Pecoraro gli ordinasse di fare di quel faldone un bel
falò.
Ma
dov’è il problema, qual è la novità?, si domanda Morresi: “La chiesa ha sempre
accolto tutti, ha sempre avuto parole di misericordia per tutti, anche per chi aveva
commesso il male più estremo, omicidio compreso. A maggior ragione, ha sempre predicato
accoglienza e misericordia per chi è caduto in peccati come questo, dove si ha
a che fare con la carne, con il desiderio”.
Ma
mons. Mogavero dice che non si può parlare di queste coppie come di peccatori.
Dice,
il pastore di Mazara del Vallo, di seguire pienamente la linea del beato Paolo
VI, di san Giovanni
Paolo
II e perfino dell’emerito Papa teologo Benedetto XVI, ché dopotutto un vescovo deve
adeguarsi al Magistero del vicario di Cristo in terra, chiunque esso sia.
Eccezion fatta, ça va sans dire, per quella volta che su giornali e televisioni disse che Papa
Ratzinger“avrebbe dovuto consultare la chiesa prima di prendere alcune
decisioni”, a cominciare dal Summorum Pontificum che
riabilitava nel 2007 la messa antica di san Pio
V.
Era un motu proprio papale, ma Mogavero lo collegò subito ai “petulanti orientamenti
neotradizionalisti” della curia romana a guida ratzingeriana.
Sarà
pure in continuità, osserva Morresi, ma “parla
di matrimonio come di un principio astratto. Io, come sposa cattolica e
madre, mi sento scandalizzata. Ho forse seguito un principio astratto per pochi
matti? Io
pensavo
– e sono contenta d’averlo fatto – di aver seguito il magistero della chiesa,
anche nei momenti di difficoltà. Se era solo un ‘principio astratto’ dovevano
dirmelo prima.
Cosa
dirò io agli incontri di preparazione al matrimonio per le giovani coppie che
vogliono sposarsi in chiesa? Che loro si stanno impegnando per inseguire un
qualcosa d’astratto?
Se
è così, lo scrivano sul Catechismo, lo aggiornino. Ci dicano se quel che
sostiene sua eccellenza Mogavero è presente nel Catechismo. Chi si sposa mette
in gioco la propria vita, altro che principio astratto”.
“Io
sono felice quando Papa Francesco dice che non bisogna mai scordarsi di
chiedere perdono. Si tratta di parole che danno conforto e ristoro all’anima.
Ma la misericordia c’è solo quando c’è il peccato. Sulla base
di quale passo evangelico il vescovo dice che non
possiamo chiudere gli occhi opponendo la verità ai diritti? Quando mai Cristo ha parlato di diritti?”.
Per
la nostra interlocutrice, questo è un “lessico che indica solo cedevolezza all’andazzo
comune, al mainstream mondano”, come quando non si ha la forza per pronunciare
una parola sulla pratica dell’utero in affitto, “pratica per cui molte donne
cedono il proprio utero a coppie ricche, non mi interessa se etero o
omosessuali.
E
un vescovo non dice una parola di verità in merito a questo? E’ inaccettabile.
Io
avrei voluto che un pastore della chiesa cattolica, l’altra sera in
televisione, dicesse una parola sul fatto che se due maschi fanno un figlio, quel figlio è fatto in un altro modo
rispetto alla natura. Invece, nulla”. Ilproblema è che ormai si sta
contrapponendo una chiesa arcigna a una chiesa della misericordia, una che
condanna a una che perdona.
Così si svilisce
tutto, si finisce “per pensare all’esperienza del matrimonio cristiano come
qualcosa d’astratto, che va inesorabilmente a scontrarsi con la dignità delle persone”.
Da Il Foglio
OMOSESSUALITÀ. ANCHE SAN PAOLO DICE LA SUA. E ANCHE L’ISTAT
La coincidenza sarà casuale, ma
lunedì 13 ottobre, proprio nello stesso giorno in cui nell’arena politica
italiana sia il partito di Matteo Renzi sia quello di Silvio Berlusconi hanno
annunciato di voler legittimare le unioni omosessuali, sull’altra sponda del
tevere il segretario speciale del sinodo sulla famiglia, l’arcivescovo bruno
forte (un teologo napoletano di 65 anni, “certamente
intelligente, con un’aria un po’ furba, volgarmente si direbbe paracula”,
come l’ha definito Ferrara sul foglio), ha detto di auspicare anche lui la
stessa cosa, perché “è una questione di civiltà”.
Forte è l’autore dei tre esplosivi
paragrafi sugli omosessuali della “Relatio post
disceptationem“, che invano la segreteria generale del sinodo ha
poi tentato di derubricare a
mero “documento di lavoro”, privo di qualsiasi valore magisteriale.
Mons. Bruno Forte |
Nell’aula del sinodo e poi nei
dieci circoli linguistici in cui i padri sinodali hanno proseguito il confronto
c’è stata una vera e propria sollevazione contro questi tre paragrafi, ma niente più poteva cancellarne l’impatto
sull’opinione pubblica di tutto il mondo. Se queste sono le tesi su cui il
sinodo sta “lavorando”, ciò vuol dire che esse hanno ormai piena cittadinanza
ai vertici della Chiesa.
In attesa di vedere come si
svilupperà su questo punto la discussione e come la “Relatio” finale ne tirerà
le somme, si può intanto osservare come
sull’omosessualità il “partito” sinodale favorevole al cambiamento adotti lo
stesso metodo messo in atto per la comunione ai divorziati risposati: quello di
far leva sul “caso umano” di una realtà statisticamente ultraminoritaria per
arrivare però a innovazioni di dimensione generale.
Il ragionamento degli
ecclesiastici che spingono a una revisione radicale dell’insegnamento della
Chiesa in materia di omosessualità dà
per presupposto che il fenomeno delle coppie dello stesso sesso, con i relativi
figli, sia di grandi dimensioni e cresca in modo irresistibile, come un
“segno dei tempi” ai quali la Chiesa non può più negare accoglienza e
riconoscimento positivo.
Ma se si guarda alle cifre reali,
le cose sono molto diverse.
Prendiamo l’Italia. Nell’ultimo
censimento effettuato dall’ISTAT, quello
del 2011, le coppie formate da un uomo e una donna, con o senza figli, sono
risultate essere circa 14 milioni, mentre le famiglie monogenitoriali, con un
solo genitore, sono risultate essere 2 milioni e mezzo.
E quante sono invece le coppie formate da persone dello stesso sesso?
7.591, cioè lo 0,05 per cento del totale delle coppie censite.
In altre parole, le coppie
eterosessuali sono in Italia il 99,95 per cento del totale. Certo, l’ISTAT fa
notare che “molte” persone omosessuali preferiscono non denunciare la loro
situazione. Ma se solo si volesse far scendere la quota delle coppie
eterosessuali al 99 per cento netto, si vedrebbe subito che i conti comunque
non tornano: le coppie omosessuali dovrebbero essere, in questo caso, almeno
150 mila, cioè venti volte di più di quelle effettivamente rilevate.
E quanti sono i figli delle coppie dello stesso sesso? Appena 529, uno ogni
quattordici coppie censite, duecento volte meno di quei mitici 100 mila figli
propagandati dalle organizzazioni a sostegno del “matrimonio” omosessuale.
Bontà sua, la “Relatio post
disceptationem” esclude l’accettazione del “matrimonio” omosessuale. Ma non
alza obiezioni contro le “unioni fra persone dello stesso sesso”.
Ecco qui di seguito, come
promemoria, i tre paragrafi della “Relatio” raggruppati sotto il titolo
“Accogliere le persone omosessuali”:
“50. Le persone omosessuali hanno
doti e qualità da offrire alla comunità cristiana: siamo in grado di accogliere
queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità?
Spesso esse desiderano incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro.
Le nostre comunità sono in grado di esserlo accettando e valutando il loro
orientamento sessuale, senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e
matrimonio?
“51. La questione omosessuale ci
interpella in una seria riflessione su come elaborare cammini realistici di
crescita affettiva e di maturità umana ed evangelica integrando la dimensione
sessuale: si presenta quindi come un’importante sfida educativa. La Chiesa
peraltro afferma che le unioni fra persone dello stesso sesso non possono
essere equiparate al matrimonio fra uomo e donna. Non è nemmeno accettabile che
si vogliano esercitare pressioni sull’atteggiamento dei pastori o che organismi
internazionali condizionino aiuti finanziari all’introduzione di normative
ispirate all’ideologia del gender.
“52. Senza negare le problematiche
morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto che vi sono casi in cui
il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la
vita dei partner. Inoltre, la Chiesa ha attenzione speciale verso i bambini che
vivono con coppie dello stesso sesso, ribadendo che al primo posto vanno messi
sempre le esigenze e i diritti dei piccoli”.
Mentre queste altre – sempre come promemoria – sono le terribili parole di
san Paolo sull’omosessualità, nel capitolo 1 della lettera ai Romani:
“In realtà l’ira di Dio si rivela
dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la
verità nell’ingiustizia… Essi sono inescusabili, perché, pur conoscendo Dio,
non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno
vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa… Per
questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i
rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini,
lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni
per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così
in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento. E poiché hanno
disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una
intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di
ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni
d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori,
maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male,
ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur
conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la
morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa”.
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