di
Robi Ronza da "lanuovabussola" 28-10-2014
È evidente che Matteo Renzi sta puntando
a una radicale riorganizzazione del sistema politico italiano, ed è anche
evidente che, piaccia o non piaccia, ci sta riuscendo. Il “dopo-Leopolda” che
ora inizia ce lo confermerà sin dalla corrente settimana.
Benché avesse subito un gigantesco
scossone con il passaggio dalla prima alla seconda
repubblica, in fin dei conti sino a poco tempo fa tale sistema era ancora
quello uscito dalle elezioni del 1948, e poi riassestato con la nascita nel
1962 del “centro-sinistra”. Non c’erano più la Dc (con il Psi, suo principale
alleato) e il Pci. Restava però, al di là dei nomi e dei leader, la sostanza
del sistema con Forza Italia, poi PdL, che aveva raccolto l’eredità della Dc e
del Psi, e il Pd per così dire “storico” che aveva raccolto l’eredità del Pci.
Ciascuno dei due nuovi partiti capo-fila aveva ereditato il grosso del
personale politico dei partiti di cui era erede, nonché i loro rispettivi
rapporti di prossimità con questa o quella grande organizzazione di
rappresentanza, dai sindacati alle Camere di commercio, dalla Confindustria
alle cooperative, dalle associazioni degli artigiani a quelle degli
agricoltori.
Con l’iniziativa politica che Renzi ha
preso, convocando all’ex stazione Leopolda di Firenze, gli
stati generali dei suoi amici, in concomitanza con la manifestazione indetta
contro il suo governo a Roma dalla Cgil, il rimescolamento delle carte comincia
a diventare irreversibile. L’alleanza tipica e fondamentale tra Pci e poi Pd da
un lato e Cgil dall’altro è stato rotta irreparabilmente. Il nuovo Pd di Renzi
corre verso il centro, togliendo sempre più spazio a Berlusconi e ai suoi
alleati. E lo fa senza temere di ricuperare persino una parola e un concetto,
che dal 1945 erano catastroficamente scomparsi dalla scena politica italiana,
insieme a Mussolini: quello di Nazione.
Il premier ha infatti annunciato l’alba
nientemeno che di un “partito della Nazione”. E pur di costruirlo non esita a
indicare la porta alla vecchia sinistra del Pd. Per salvare il salvabile,
Berlusconi si riscopre sempre più erede, come d’altronde è, del Psi di Bettino
Craxi e anche del Partito Radicale di Marco Pannella. Uscendo dal PdL Angelino
Alfano e dei suoi amici si sono infatti portati (nel fosso) con sé tutto il
poco che ancora restava della sensibilità di Berlusconi per la visione del
mondo cristiana.
Per parte sua Matteo Renzi -
la cui fede personale ovviamente non è in discussione - in quanto leader
politico e uomo di governo, è un prodotto tipico dello scoutismo (come peraltro
anche diversi altri membri del suo governo).
Il cristianesimo come morale e
come osservanza liturgica; e la cultura “laica” per tutto il resto: questo
dualismo ben intenzionato, che da De Gasperi ad oggi non ha mai smesso di fare
dei danni all’esperienza cristiana in Italia, ha due distinte origini.
1. Una
deriva dalla cultura idealistica di matrice tedesca, poi magari rivisitata in
forza di una certa interpretazione del pensiero di Maritain (come fu ad esempio
il caso di Lazzati).
2. La seconda invece deriva dal pensiero umanitario
anglosassone, e quindi dallo scoutismo, che ne è una tipica espressione.
Sia in
una prospettiva che nell’altra, siamo all’irrilevanza politica (e
all’irrilevanza pubblica, in genere) della cultura di matrice cristiana. In
questo quadro, allo stato attuale delle cose, sulla scena politica italiana non
c’è più spazio per una presenza cristiana di qualche rilievo. Si pone quindi
per i cristiani in Italia, quindi per i cattolici, il problema di come
ricostituirla, e nel frattempo di come costruire nella società civile punti di
forte interlocuzione nei confronti di chi è al potere.
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