Intervista con
don Luigi Giussani
Di Renato Farina, Il
Sabato 9 agosto 1988
D. – Il mese di agosto del 1978 morì
Paolo VI e venne papa Albino Luciani. Poi ci fu l’avvento del “papa venuto da
lontano”. Ricorda le ore in cui fu annunciata la morte di Paolo VI?
R. – “Ricordo quei momenti. [...] Versava in tali condizioni la Chiesa che la perdita di quella guida mi parve gravissima. Era stato Paolo VI che, con tutta buona fede, aveva visto favorevolmente una certa evoluzione della Chiesa. Ma tanta era la verità del suo amore alla Chiesa che, a un certo punto, dovette accorgersi del disastro cui la dinamica delle cose – pur [da lui] approvate – portava. Fu allora che si aprì totalmente all’esperienza di Comunione e Liberazione. Che papa Montini venisse meno allora fu come l’assentarsi di una possibile guida. Aveva visto e avallato; conosceva le intime connessioni di quel processo di distruzione. Ora, intendeva andare contro corrente: ed era lui il più indicato a farlo, il migliore”.
D. – Da quando data questa volontà nuova di Paolo VI?
R. – “Ricordo quei momenti. [...] Versava in tali condizioni la Chiesa che la perdita di quella guida mi parve gravissima. Era stato Paolo VI che, con tutta buona fede, aveva visto favorevolmente una certa evoluzione della Chiesa. Ma tanta era la verità del suo amore alla Chiesa che, a un certo punto, dovette accorgersi del disastro cui la dinamica delle cose – pur [da lui] approvate – portava. Fu allora che si aprì totalmente all’esperienza di Comunione e Liberazione. Che papa Montini venisse meno allora fu come l’assentarsi di una possibile guida. Aveva visto e avallato; conosceva le intime connessioni di quel processo di distruzione. Ora, intendeva andare contro corrente: ed era lui il più indicato a farlo, il migliore”.
D. – Da quando data questa volontà nuova di Paolo VI?
R. – “È a far data dal suo famoso ‘Credo’, il 30 giugno del 1968, che avviene la svolta. L’’Humanae Vitae’ e gli inauditi attacchi cui fu sottoposto lo confermarono nel suo giudizio. Il culmine della sua disillusione si ha con il referendum sul divorzio in Italia, nel 1974, quando proprio i dirigenti dell’Azione Cattolica e della FUCI, che egli aveva amato e protetto, gli volsero le spalle. È in questo clima, probabilmente, che Paolo VI si accorge della capacità di rinnovamento dell’avvenimento cristiano e di risposta all’uomo che Comunione e Liberazione implicava. È dal 1975 che si sono moltiplicati i segni di questa sua nuova e forte simpatia. Per la Domenica delle Palme di quell’anno egli chiamò i giovani di tutti i gruppi cattolici a Roma [...]. Chiamò tutti. Si trovò da solo coi diciassettemila di CL”.
D. – E poi come andò?
R. – “[...] Finita la messa, era circa mezzogiorno, mi sento chiamare da un prelato: ‘Don Giussani, il papa la vuole’. Ero nel pronao della basilica di San Pietro, avevo la pisside con ostie consacrate tra le mani, e sentii quella voce. Tentai di affibbiare, nell’emozione, la pisside a un alabardiere, che si ritrasse. Finalmente potei correre verso il papa. Comparvi dinanzi a lui proprio sulla porta della chiesa. Mi sono inginocchiato, ero così confuso... Ricordo con precisione solo queste parole: ‘Coraggio, questa è la strada giusta: vada avanti così’”.
D. – Fu qualcosa di inaspettato?
R. – “Totalmente inaspettato. Ma non furono parole estemporanee di incoraggiamento. [Anni dopo] ne ebbi la prova certa dalla viva voce del cardinale Benelli, che fu il più stretto collaboratore gerarchico di Paolo VI. Mi disse che, negli ultimi anni del suo pontificato, a ogni sua visita, papa Montini gli chiedeva di Comunione e Liberazione. E gli diceva: ‘Eminenza, quella è la strada’. Benelli mi commentò: ‘Se Paolo VI fosse vissuto ancora un anno, le assicuro che tutti i suoi problemi ecclesiastici sarebbero stati già risolti’. Paolo VI avrebbe avuto il coraggio di dirlo e di farlo. [...] Una conferma notevole del cambiamento di Paolo VI fu del resto evidente nell’esonero dalla cura dell’Azione Cattolica del suo intimo amico monsignor Franco Costa, che aveva determinato il corso dell’associazionismo cattolico negli ultimi decenni”.
D. – Con quelle parole l’antico collaboratore di Paolo VI intendeva anche esprimere un preciso giudizio sulla Chiesa?
R. – “[Quella sua frase] significava l’affermazione della bontà dell’ispirazione di CL, come valida per la Chiesa. E questo di fronte all’impostazione di tutto l’associazionismo cattolico di quegli anni, che nel suo corpus dirigenziale votò e fece votare [nel referendum sul divorzio] non secondo i desideri del papa. La linea della ‘scelta religiosa’ aveva portato l’associazionismo cattolico a rifugiarsi in ogni specie di sinistra politica: e lì, tra l’altro, si propagandò tranquillamente il divorzio”.
D. – Da anni lei desidera che siano ripetute e conosciute da tutti le parole che Paolo VI disse all’amico Jean Guitton, l’8 settembre del 1977, dove si parla di ‘un pensiero non cattolico’ e della resistenza di un ‘piccolo gregge’. Perché?
R. – “Perché è così che sta accadendo. La prego di rileggermi quelle parole”.
D. – Eccole: “C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di san Luca: ‘Quando il Figlio dell’Uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?’. Capita che escano dei libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, che gli episcopati tacciano, che non si trovino strani questi libri. [...] Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia”.
R. – “Sono le parole sintetiche della riflessione del papa sulla situazione e il destino della Chiesa. Qui si connette l’apertura a CL”. [...]
D. – C’è qualche punto di forza dottrinale di Paolo VI che sente centrale nel suo magistero?
R. – “L’affermazione assolutamente contro corrente della Chiesa come ‘entità etnica sui generis’. Era il 23 luglio del 1975, fu il cuore della sua predicazione, nelle udienze generali del mercoledì, sull’identità della Chiesa. Siamo stati quasi i soli a richiamarla. Paolo VI sentiva la distruzione della presenza cattolica nella società. La presenza si nascondeva. Anzi, invece di una presenza cattolica, c’era un rinchiudersi sempre più stanco e astratto nelle sedi delle associazioni, mentre la vita concreta degli stessi giovani seguiva le idee correnti e si metteva in coda. Oppure, invece della presenza cattolica, c’era l’interpretazione intellettuale alla maniera della Lega Democratica, degli studenti universitari della FUCI, dei Laureati Cattolici. Costoro teorizzavano una concezione della fede assolutamente elitaria e missionariamente suicida. In terzo luogo, la posizione della Chiesa veniva identificata nella scaltrezza politica e diplomatica. Credo, comunque, che furono determinanti le notizie sulla situazione delle università cattoliche e degli istituti cattolici, delle scuole di teologia, perché a Paolo VI apparisse nettissimo il baratro verso cui la direzione della Chiesa stava trascinando l’intero suo corpo”.
D. – Alcuni osservatori giudicano fallimentare il pontificato di Paolo VI.
R. – “Il papato di Paolo VI è stato uno dei più grandi papati! Aveva dimostrato nella prima parte della sua vita una sensibilità estrema a tutta la problematica dell’angosciosa vicenda dell’uomo e della società d’oggi. Ed egli ha trovato una risposta! L’ha data negli ultimi dieci anni. Il papato di Paolo VI è fallimentare solo per chi non lo ha seguito fino in fondo”.
D. – È il papa che ha concluso il Concilio Vaticano II.
R. – Certo. Bisognerebbe fare la storia di tutti i suoi interventi che coraggiosamente e impopolarmente hanno fermato la falsa democrazia, l’equivoca dogmatica che molti padri conciliari tentarono di far passare con una pretesa democraticistica”. [...]
D. – Qual è stato, davanti al dissolversi del popolo cattolico, allo smarrimento delle moltitudini, il metodo di Paolo VI?
R. – “È stato quello del ‘Credo’. Vale a dire della proclamazione autentica del dogma, sine glossa, con chiarezza, e della presenza della Chiesa nel mondo, come nel suo discorso sul popolo cristiano del 23 luglio 1975, quel mercoledì”. [...]
D. – Paolo VI fu bersagliato a causa della sua riscoperta del diavolo come attore nell’umana vicenda. Fu lasciato solo anche dai vescovi.
R. – “Papa Montini cominciò ad accorgersi del disastro in cui la Chiesa andava scivolando, quando percepì il formalismo con cui il soprannaturale era trattenuto e ripetuto. Perciò il suo discorso sulla presenza del diavolo nel mondo è stato una sfida – così coraggiosa che il temperamento di Paolo VI non la lasciava prevedere – al mondo e a tutta la teologia anche cattolica che con il mondo veniva a patti”.
D. – Quel mese di agosto del 1978, morto un papa e mentre un altro se ne stava facendo, che cosa si augurava per la Chiesa?
R. – “Un uomo che continuasse l’intuizione della tragedia in cui la Chiesa versava. E dell’unico rimedio che è quello di ritornare alla fede nel soprannaturale come determinante la vita della Chiesa: all’autenticità della tradizione. Insomma, aspettavo un papa che continuasse la strada che Paolo VI negli ultimi anni aveva clamorosamente indicato. [...] Alla fine arrivò Giovanni Paolo II. Un papa che è l’incarnazione di quello che gli ultimi dieci anni di Paolo VI hanno intuito ed espresso”.
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