Come noto, la recente sentenza della Corte
Costituzionale ha dato il colpo
definitivo allo smantellamento progressivo, per mano giudiziale, della Legge 40
sulla procreazione medicalmente assistita (legge che aveva invece superato il
vaglio del referendum di noi cittadini), consentendo di poter accedere alla
fecondazione eterologa e di avvalersi di gameti o di uteri di terze persone
esterne alla coppia. Poi, le regioni hanno dato il via libera all’utilizzo
effettivo di questa pratica, stabilendo delle linee di indirizzo, che
prevedono, tra le altre cose, che si possa scegliere il terzo donatore con
caratteristiche compatibili (ad esempio per colore della pelle) con la coppia
richiedente.
La decisione fa fuori in un sol colpo il
diritto del concepito di conoscere la propria identità genetica e di essere
chiamato ad esistenza in un contesto familiare caratterizzato da stabilità e
certezza genealogica; nonché la necessità di evitare derive eugenetiche, ossia
la tentazione dei genitori eterologhi di scegliersi in qualche modo la propria
discendenza, che tipo di figlio avere e con quali caratteristiche genetiche.
Si tratta di esigenze sacrosante: la prima
– conoscere la propria identità – è riconosciuta dalla stessa giurisprudenza,
in una serie recente di sentenza (l’ultima, Tribunale Firenze del maggio 2014);
la seconda – evitare derive eugenetiche – è affermata esplicitamente nella
stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, detta Carta di
Nizza, che prevede il divieto di “pratiche eugenetiche, in particolare quelle
aventi come scopo la selezione delle persone” (art. 3).
Ebbene, la Corte Costituzionale ha ritenuto
che tali esigenze cedessero di fronte al nuovo diritto di avere comunque un
figlio, correlato alla libertà di autodeterminazione della coppia; diritto che
sarebbe addirittura “incoercibile”. Nulla potrebbe limitarlo.
Mi chiedo: dove mai è affermato nel nostro
ordinamento giuridico questo diritto? Esso non è previsto in alcuna parte della
nostra costituzione, né della nostra legislazione. Né la legge 40 sulla
procreazione medicalmente assistita, né la legge sulle adozioni, hanno come
finalità quella di assicurare un figlio a chi lo richieda. La prima normativa
ha come fine quello di curare la sterilità della coppia agevolando con tecniche
di laboratorio la fecondazione assistita nell'ambito familiare della coppia
stessa, e in presenza di date condizioni. La seconda, ha come fine quello - ben
diverso - di dare una famiglia a un figlio che ne è privo.
Eppure, il diritto è stato affermato e la
fecondazione eterologa è stata riconosciuta.
Le Regioni hanno subito colto la palla al
balzo fissando le linee attuative. Tra queste vi è quella che pone la
fecondazione eterologa a carico dello Stato, salvo ticket. Il costo potrà
variare tra i 400 e i 600 euro, a seconda delle Regioni. La sola Lombardia ha
deciso di far pagare interamente il costo dell’eterologa (tra i 1500 e i 4000
euro, a seconda della tecnica di fecondazione scelta).
In giorni di spending review lo Stato, cioè
i cittadini, cioè noi, si accolla un debito per ciascuna pratica richiesta, che
va da 1000 a 3500 euro. E lo fa per riconoscere il pur comprensibile desiderio
di una coppia di avere un figlio.
Mi chiedo provocatoriamente. Perché allora
non stanziare i fondi pubblici anche per l’adozione di un figlio? Lo si farebbe
per riconoscere una casa e una famiglia ad un bambino che non ne ha.
Ma questo costo è interamente carico della
famiglia che si propone come adottiva (specie nell’adozione internazionale).
Perché in un caso interviene lo Stato,
nell’altro no? Una risposta me la sono data. La prima ipotesi soddisfa un
desiderio degli adulti. La seconda ipotesi va incontro a un bisogno dei
bambini, che ormai non difende più nessuno.
La loro tutela in questa nostra società è
sempre più debole e perdente.
STEFANO SPINELLI
ATTENZIONE
Importante convegno!
Proprio
per quanto detto sopra e per prendere sempre più coscienza della situazione
storica che stiamo vivendo in termini di mutamento antropologico, IL CROCEVIA invita tutti
al convegno
E' IN GIOCO LA LIBERTA' DI ESPRESSIONE
IL CASO DELLA PROPOSTA DI LEGGE SCALFAROTTO
che si terrà il 10 ottobre a
Cesena presso la Sala di Confartigianato in via Ilaria Alpi 49 (di
fronte al Centro Commerciale Famila).
Interverrà l’Avv. Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la Vita
La
questione sociale – si legge nell’enciclica Caritas in Veritate – è sempre più
una questione antropologica.
Per
questo sollecitiamo tutti a essere presenti al convegno, che sarà iimportanteper capire a che punto siamo e dove stiamo andando con l’affermazione
sempre più incalzante dei cd. nuovi diritti o diritti capovolti.
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