Charles
Péguy
Il 19 marzo è la festa del papà. Qui di seguito vi
proponiamo la lettura di un brano appartenente a Véronique. Dialogo della
storia e dell’anima carnale di Charles Péguy.
C’è un solo
avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moderno: è il padre
di famiglia. Gli altri, i peggiori avventurieri non sono nulla, non lo sono
per niente al suo confronto. Non corrono assolutamente alcun pericolo, al suo
confronto. Tutto nel mondo moderno, e soprattutto il disprezzo, è organizzato
contro lo stolto, contro l’imprudente, contro il temerario,
Chi sarà tanto
prode, o tanto temerario?
Contro lo
sregolato, contro l’audace, contro l’uomo che ha tale audacia, avere moglie e
bambini, contro l’uomo che osa fondare una famiglia. Tutto è contro di lui.
Tutto è sapientemente organizzato contro di lui. Tutto si rivolta e congiura
contro di lui. Gli uomini, i fatti; l’accadere, la società; tutto il congegno
automatico delle leggi economiche. E infine il resto. Tutto è contro il capo
famiglia, contro il padre di famiglia; e di conseguenza contro la famiglia
stessa, contro la vita di famiglia. Solo lui è letteralmente coinvolto nel
mondo, nel secolo. Solo lui è letteralmente un avventuriero, corre
un’avventura. Perché gli altri, al maximum, vi sono coinvolti solo con la
testa, che non è niente. Lui invece ci è coinvolto con tutte le sue membra. Gli
altri, al maximum, si giocano solo la loro testa, il che non è niente. Lui
invece mette in gioco tutte le membra. Gli altri soffrono solo per se stessi.
Ipsi. Al primo grado. Lui solo soffre per altri. Alii patitur. Al secondo, al
ventesimo grado. Fa soffrire altri, ne è responsabile. Lui solo ha degli
ostaggi, la moglie, il bambino, e la malattia e la morte possono colpirlo in
tutte le sue membra. Gli altri navigano a secco di vele. Lui solo, qualunque
sia la forza del vento, è obbligato a navigare a piene vele. Tutti hanno
vantaggio su di lui e lui non ha vantaggio su nessuno. Si muove continuamente
con i suoi ostaggi, in lungo e in largo tra quei terribili fortunali. Le cose
che accadono, i guai, la malattia, la morte, tutto ciò che accade, tutti i guai
hanno vantaggio su di lui, sempre; è sempre esposto a tutto, in pieno, di
fronte, perché naviga su una larghezza immensa. Gli altri scantonano. Sono
corsari. Sono a secco di vele.
Ma lui, che
naviga, che è obbligato a governare la nave su questa rotta immensamente
larga, lui solo non può assolutamente passare senza che la fatalità si accorga
di lui. E allora è lui che è coinvolto nel mondo, e lui solo. Tutti gli altri
possono infischiarsene. Lui solo paga per tutti. Capo e padre di ostaggi,
anche lui stesso è sempre ostaggio. Che importa agli altri di guerre e
rivoluzioni, guerre civili e guerre straniere, l’avvenire di una società, ciò
che accade alla città, la decadenza di tutto un popolo. Non rischiano mai
altro che la testa. Niente, meno di niente. Lui invece non solo è coinvolto
dappertutto nella città presente. Dalla famiglia, dalla sua razza, dalla sua
discendenza da quei bambini è coinvolto dappertutto nella citta futura, nello
sviluppo ulteriore, in tutto il temporale accadere della città. Si gioca la
razza, si gioca il popolo, si gioca la società, mette come posta la società. Si
gioca (tutta) la città, presente, passata, a venire. Tale è la sua posta in
gioco. Gli altri scantonano sempre. Sono carene leggere, sottili come
lame di coltello. Lui è la nave grossa, pesante bastimento da carico. È il
luogo d’appuntamento di tutte le tempeste. Tutti i venti del cielo congiurano e
si mettono d’accordo, si abbattono da tutti gli angoli del cielo, accorrono e
si intersecano da tutti i punti dell’orizzonte per assalirlo. Lui scopre alla
sorte, alla fortuna, alla sfortuna che vigila, alla fatalità una larghezza (di
spalle) (su cui abbattersi), una superficie, un volume incredibile. Non è
coinvolto solo nella città presente.
È coinvolto
dappertutto nell’avvenire del mondo. E anche in tutto il passato, nella
memoria, in tutta la storia. È assalito dagli scrupoli, straziato dai rimorsi,
a priori, (di sapere) in che città di domani, in quale ulteriore società, in
quale dissoluzione di tutta una società, in quale miserabile città, in quale
decadenza, in quale decadenza di tutto un popolo lasceranno, consegneranno,
domani, stanno per lasciare, entro qualche anno, il giorno della morte, quei
bambini di cui i padri si sentono così pienamente, così assolutamente
responsabili, di cui sono temporalmente i pieni autori. Quindi per loro nulla è
indifferente. Niente di quello che succede, niente di storico è per loro
indifferente. Soffrono di tutto. Soffrono dappertutto. Solo loro hanno
esaurito la sofferenza temporale, tutto il dolore di chi vive nel tempo. Chi
non ha mai avuto un bambino malato non sa cosa sia la malattia. Chi non ha
perso un bambino, chi non ha visto morto il suo bambino non sa cosa sia il
dolore. E non sa cosa sia la morte. E, coinvolti da ogni parte nelle sofferenze,
nelle miserie, in tutte le responsabilità, sono tutti ingolfati
nell’esistenza, sono pesanti e impacciati, sono goffi, impediti nelle manovre;
sembrano deboli e vili; non solo lo sembrano; sono deboli, sono vili, sono
codardi. Nella manovra. Capi responsabili e appesantiti, carichi e
responsabili di una banda di prigionieri, prigionieri essi stessi, carichi,
responsabili di una banda di ostaggi, ostaggi essi stessi, non fanno un passo
che non sia vigliacco, sembrano, sono circospetti, sono prudenti, non fanno una
mossa che non sia sconcertante. E tutti li disprezzano e, quel che è peggio,
hanno ragione a disprezzarli. Gli altri scantonano sempre. Non hanno bagagli.
Vili, scantonano con districamenti politici. Coraggiosi scantonano con
districamenti eroici, con districamenti d’audacia. Temporali, scantonano verso
la carriera e le dominazioni temporali. Spirituali, scantonano, si defilano
verso le osservanze della regola. Storici, scantonano verso le carriere della
gloria. Riescono sempre, sia nella regola, sia nel secolo.
II padre di
famiglia è solo, e condannato a non riuscire affatto. Non può mai scantonare.
Deve sempre passare in tutta la sua larghezza. Ed è molto semplice, non ci
passa. Non ci passa mai. Non passa da nessuna parte. Non riesce né nella regola
né nel secolo. Non riesce nella regola, la regola si oppone. Prima di
cominciare. Non riesce nel secolo. Il secolo si oppone prima, durante, dopo.
Non riesce nella politica e non riesce nell’audacia… È troppo grosso. Ha tutta
la famiglia attorno al corpo. È come la donnola di La Fontaine, ma dopo che è
ingrassata. Ha socialmente un grasso, un tessuto adiposo sociale, che lo rende
inadatto alla corsa. Ora, temporalmente tutto non è altro che corsa, non è
altro che concorso e concorrenza. Gli altri corrono, intanto, gli altri
arrivano, quelli magri, fini, sottili, socialmente scarichi, sgombri di
bagagli. Così tutti lo disprezzano; in sua presenza, tra di loro, lo schermiscono;
sordamente, involontariamente congiurano contro di lui. Più di tutti gli
altri, lo disprezzano i preti. Perché hanno questo (di bello), quando si
accaniscono su qualcuno, ci si riaccaniscono di preferenza. Preferenzialmente.
E quello che chiamano la carità.
Bisogna
sottolineare attentamente che la vita di famiglia è la vita più impegnata nel
secolo, la vita meno conforme, la meno simpatica, la meno affine alla regola.
Vuol dire lasciarsi prendere, lasciarsi abbindolare dalle apparenze più
grossolane, commettere l’errore più smaccato, e anche naturalmente il più comune,
l’errore più frequente, quello di dire che la vita pubblica è vivace, e la vita
di famiglia è silenziosa, e la regola, la vita regolare è anche lei
silenziosa; e quindi la vita pubblica è non ritirata, e la vita di famiglia è
ritirata, e la regola, la vita regolare è anche lei ritirata; e concluderne,
credere, che sia la vita di famiglia che è vicina alla vita di regola,
apparentata alla vita di regola, e che sia la vita pubblica che se ne è
allontanata. Questo è lasciarsi prendere dalle più grossolane apparenze. È
diametralmente il contrario.
La vita di
famiglia è agli antipodi della vita della regola. Nessun uomo al mondo è coinvolto
nel mondo, nella storia e nel destino del mondo quanto l’uomo di famiglia,
tanto quanto il padre di famiglia, così pienamente, così carnalmente. L’uomo
pubblico invece, il vir politicus, non è affatto coinvolto nel mondo, non è
affatto coinvolto nella storia e nel destino del mondo. Cosa importa all’uomo
politico, al demagogo, al tribuno, all’oratore, al legislatore, all’eloquente,
anche all’uomo politico serio, all’uomo pubblico, all’uomo di Stato, all’uomo
di governo, (e a maggior ragione) al capo di partito (come tali), cosa importa
al militare e al giudice, al generale e al presidente di corte e al presidente
di camera, (come tali, come tali), che importa come tali al funzionario e al
magistrato, al generale, al deputato, al senatore, al giornalista, al pubblicista,
all’esattore, e all’usciere del ministero, cosa importa al signor sindaco; cosa
importa come tale a ogni uomo pubblico delle sorti della città presente, le
sorti ulteriori, la destinazione e il destino; cosa gli importa di cosa sarà di
questo popolo, cosa faremo di questo popolo; vi sono coinvolti solo con la
testa e qualcuno con la gloria; al massimo con l’onore, quando ne hanno:
niente, meno di niente. Non ci rischiano che la testa, al più, al maximum; al
meno, di solito l’avanzamento, la carriera, al più del meno l’apice; miserie.
Gloria temporale, onore temporale; niente, meno di niente. Avanzamento
temporale, carriera temporale, apice temporale, testa temporale; miserie. E le
gioie e le miserie del dominio. E le gioie e le miserie del denaro. Ecco tutto
quello che si giocano. Come tali. Se intanto, se insieme sono padri di
famiglia, cosa estremamente rara, l’operazione è tutta diversa, il
comportamento e l’azione pubblica è tutta diversa, tutta diversa la situazione
anche per così dire topografica, geografica, demografica. Cosa importa loro,
come tali, una rivoluzione, una guerra civile o straniera, un sabotaggio di
tutto un popolo. Una diminuzione, una decrescita; una perdita, forse
irrimediabile; una decadenza, forse irreparabile, irrevocabile. Tutt’al più si
giocano, nel temporale, una gloria del loro nome, la gloria, ulteriore, l’onore
o il discredito sul loro nome. Di solito questo tipo di considerazione li
lascia abbastanza freddi. Sono abbastanza poco sensibili a considerazioni di
questo tipo. Di solito.
Solo il padre
di famiglia mette in gioco, rischia, impegna infinitamente di più nella
destinazione del mondo, nel secolo, nella destinazione di tutto un popolo; nel
futuro di una razza. Nel destino di tutto questo popolo, nell’avvenire di
questa razza impegna tutto, mette tutto, la sua carne e di più; si gioca la
razza, si gioca davvero il popolo, si gioca la sua discendenza. II solo padre
di famiglia, il padre di famiglia da solo. Ed è un pover’uomo. Tormentato da
scrupoli, assalito, invaso, tormentato da rimorsi, per crimini che non ha
affatto commesso, che non commetterà mai, che altri mille, che tutti gli altri
commetteranno, sente oscuramente, molto profondamente, che è lui, in effetti,
che è lui davvero il responsabile. Perché è padre di famiglia. È uno dei casi
più significativi che ci siano di responsabilità senza colpa, di colpevolezza
senza colpa. Eppure di responsabilità reale, di colpevolezza reale; comune;
misteriosa; di fatalità, anche; infinitamente più profonda; segreta; in
comunità, in comunione; con la creazione con (tutto) il mondo; infinitamente
più grave delle nostre proprie responsabilità, personali, particolari,
limitate, note, individuali e collettive; infinitamente più profonda;
infinitamente più vicina alla creazione stessa; e quasi (oscuramente ce ne
accorgiamo), quasi infinitamente più giusta, attinente alla creazione stessa,
al mistero, al segreto della creazione; una colpevolezza, allora,
infinitamente più seria delle nostre colpevolezze propriamente criminali.
Per il padre
di famiglia (questo è lo stato, costante, uno stato situazionale; è la sua
stessa patente, la sua condizione ab urbe condita, una volta fondata la
famiglia. È la sua stessa definizione, il pane di tutti i (suoi) giorni, il
cruccio delle sue notti. È il midollo, stesso, della sua vita, il segreto
della sua esistenza, la sua regola interiore, la sua regola esteriore, la
regola del suo secolo, la sua regola di secolo. Ed è un pover’uomo; innocente
criminale; innocente responsabile; innocente colpevole; innocente assalito da
scrupoli; innocente tormentato dai rimorsi; legato, incatenato da ogni parte,
mani, piedi, da tutti i lacci, da tutte le catene, è lui, amico mio, è lui, e
lui solo, che ha le relazioni pericolose; confuso, prigioniero, ostaggio,
manette alle mani, ganasce ai piedi, capo, responsabile dei prigionieri, capo,
responsabile degli ostaggi, fa pena, è esposto a tutto, ai quodlibet, alle
ingiurie, al peggio di tutto: a una sorta di riprovazione, di malevolenza
universale, di presa in giro, di tacita ingiuria, (peggiore, infinitamente più
grave di quella formale), perché se è così tacita, se può essere così
sottintesa, come se andasse da sé, per così dire; non vale la pena di parlarne,
perché tutti lo sanno bene; è una cosa intesa, senza che ci si pensi, una cosa
alla quale tutti consentono, a cui tutti danno la mano. È infinitamente peggio
di una cosa infinitamente concertata, che una cosa universalmente concertata.
È una cosa universalmente non concertata. Così è infinitamente meno
demolibile. Una cosa che va da sé. Che si sappia. Allora tutti ci calpestano
sopra.
Allora, ringalluzzito,
anche il prete ci calpesta sopra. Clericus. Il sacerdote se ne accorge bene, un
istinto di casta lo avverte, uno degli avvertimenti, uno degli istinti più sicuri,
uno degli istinti più infallibili, un segreto orgoglio infallibile lo avverte
che è lui il nemico, il più lontano, il più straniero, che l’uomo di famiglia,
che il padre di famiglia è l’uomo più lontano dalla regola e dalla clericatura,
l’uomo del mondo più coinvolto nel mondo, un istinto segreto lo avverte che lui
è infinitamente più vicino al pubblico peccatore; e reciprocamente; che il
tribuno, l’oratore, l’eloquente, l’uomo della tribuna è infinitamente più
vicino all’uomo del pulpito, infinitamente più imparentato all’uomo del
pulpito, che l’uomo del meeting, della pubblica riunione è infinitamente più
vicino all’uomo della predica e all’uomo del sermone; più pronto, per l’uno e
per l’altro, sia per diventarlo, sia per subirne l’effetto, sia insieme l’uno
e l’altro, che sono dello stesso genere, che si passa comodamente e quasi
continuamente dall’uno all’altro, che c’è tra loro un’intesa, interna, un
accordo segreto, una somiglianza, almeno di modo, e in più che appartengono
allo stesso mondo; e per la regola che il celibe, l’uomo libero, il non
prigioniero, il non ostaggio, lo slegato, il non legato, l’inlegato, il mai
legato, lo scantonatore, il pié leggero, il corridore, il bombarolo, il
festaiolo, l’uomo all’erta è infinitamente più vicino; e più pronto, più disponibile;
che lui piace di più; che con lui ci si capirà meglio, ci si intenderà sempre.
E poi è lui che è un personaggio gradevole. Il padre di famiglia è un povero
essere. Tirar su solo tre bambini, pensa un po’. Che grottesco, che
ridicolo. Tutte le forze della società sono congiurate, si congiurano contro
una cosa del genere. Ora, il sacerdote è una forza della società, fa parte
delle forze della società. Allora tutti calpestano il padre di famiglia. Allora
il sacerdote, ardito, lo calpesta. Non ha che indulgenza, e che indulgenze,
per tutti gli altri. Si crede di solito che il celibe, l’uomo senza famiglia è
un uomo di fortuna(e), un avventuriero, che vive di avventure.
Invece è
l’uomo di famiglia che è un avventuriero, che vive non solo alcune avventure,
ma una sola, una grande, un’immensa, una totale avventura; l’avventura più
terribile, la più costantemente tragica; la cui vita stessa è un’avventura, il
tessuto stesso della vita, la trama e l’ordito, il pane quotidiano. Ecco
l’avventuriero, il vero, il reale avventuriero.
Leggi di Più: Il padre di famiglia, il vero, il reale avventuriero. Auguri a tutti i papà | Tempi.it
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