di Giuseppe Zola
Fonte la nuova bussola
Caro direttore,
due mesi fa, sono stato invitato ad effettuare un intervento a Treviso sul
tema “Tradizione: motore di crescita” ed è stata per me l’occasione per
rileggere uno dei capolavori del servo di Dio don Luigi Giussani, Il rischio educativo, pubblicato
per la prima volta nel 1977 e poi nel 1988 da Jaca Book e ancora nel 1995 da
Sei ed infine nel 2005 dalla Rizzoli. In tutte le edizioni, l’autore descrive i quattro «fattori
dell’avvenimento educativo», che sono la tradizione, appunto, la presenza
dell’autorità, la verifica personale, «il rischio, necessario alla libertà».
Mi colpisce come don Giussani, fin dall’inizio della sua esperienza educativa e fino alla fine, abbia sempre
tenuto conto della tradizione, anche nei tempi in cui tale parola era entrata
in crisi nel mondo culturale dominante, dato che ad essa veniva dato un
significato negativo, che faceva assonanza con l’espressione “tradizionalista”.
Don Giussani, invece, così scrive : «se chiamiamo “tradizione” quel dato originario, con tutta la struttura di valori
e di significati in cui il ragazzo è nato, si deve dire che la prima direttiva
per una educazione della adolescenza è la leale adesione a questa
“tradizione”».
In questo senso, così ho sentito dire alla professoressa Eugenia Scabini, durante una conferenza: «la
tradizione è al cuore dell’identità del soggetto e il suo disconoscimento
toglie, per così dire, un pezzo al proprio consistere, un pezzo che per giunta
sta all’origine… noi non interroghiamo la tradizione perché, in un clima di
esasperato individualismo, ci sentiamo scollegati dalla generazione precedente
e la generazione precedente da parte sua si ferma ai cambiamenti, pur
importanti, che sono avvenuti nel nostro modo di vivere (e che segna
soprattutto i giovani) senza avere il coraggio di andare al cuore della
costruzione della loro identità».
La negazione della tradizione non fa che esaltare uno spontaneismo
soggettivo, che finisce con il far«soggiacere a una forza esterna esterna sopraggiunta, un
essere trascinati». Senza tradizione, in
altre parole, è più facile diventare schiavi del potere, qualunque esso sia
(figurarsi oggi, di fronte ad uno tsunami laicista e nichilista senza
precedenti). Scrive ancora don Giussani: «la pretesa autonomia nella concezione
laicista vive di fatto come alienazione di sé in ogni istante, come abdicazione
continua a una vera iniziativa, per cedere ad una violenza, che non scandalizza
i più solo perché tragicamente furtiva…..si genera allora quella caratteristica
incertezza che impaurisce il giovane….il risultato di tutto questo è quell’indifferenza e quel disamore,
quella tremenda carenza di impegno con la realtà che assume così spesso aria di
smarrita o amaramente distaccata derisione per ogni serio invito a
quell’impegno».
Don Giussani ha sempre tenuto duro sulla valorizzazione della tradizione,
perché aveva ben presente che, senza di essa, ogni partenza, nella vita, sarebbe dissociata, perché
non partirebbe dal dato e il dato più evidente è che noi ci siamo per via di
una tradizione, di una successione di generazioni, di ideali e di ipotesi di
vita che non ci siamo fatti da soli, ma che vengono dati, anzi donati. Sono
sotto gli occhi di tutti le nefaste conseguenze che derivano quando non si
tiene conto di quanto scritto da don Giussani (e dalla grande tradizione della
Chiesa). Conseguenze che investono la
scuola con il relativismo e scetticismo imperanti e la famiglia, nella misura
in cui i genitori, succubi della cultura dominante, hanno paura o vergogna di
trasmettere ai figli le proprie evidenze, ad essi a loro volta tramandate.
Essendo stato un grande genio educativo, don Giussani ha poi aggiunto che
il vero educatore deve fare in modo da sottoporre la tradizione alla verifica dell’impegno
personale del giovane, affinché quanto ricevuto diventi convinzione e, a sua
volta, certezza. Ma nessun autentico cammino può iniziare senza un solido punto
di partenza. In questo senso, ho potuto dire, in quel mio incontro a Treviso, che la tradizione, verificata con il
proprio attivo impegno personale, è veramente il motore della crescita, con
le parole di don Giussani: «si capisce di
essere perché si agisce. Quanto più ci si impegna con le proprie energie
vitali, tanto più ci si accorge che cosa si è».
É impressionante pensare alla forza profetica di don Giussani, che già nel
1954 intuiva cosa sarebbe successo
60 anni dopo, non deflettendo mai dalla direzione intrapresa, resa ancora più
chiara e convincente dal libro qui citato, pubblicato, ripeto, per la prima
volta nel 1977. Consiglio a te e a tutti i tuoi lettori di leggere o rileggere Il
rischio educativo.
GIUSEPPE ZOLA SARA' A CESENA VENERDI' 19 FEBBRAIO
PER LA TERZA SERATA DEL
PERCORSO ELEMENTARE DI CULTURA
SUL TEMA
IL PRESENTE FA LA STORIA
Per info
e contatti
potete consultare il sito internet
http://percorso.ilcrocevia.online
potete consultare il sito internet
http://percorso.ilcrocevia.online
Nessun commento:
Posta un commento