TUTTI COLORO CHE
VIVONO NELLA MENZOGNA AD OGNI MOMENTO POSSONO ESSERE FOLGORATI DALLA FORZA
DELLA VERITA’
" .... invece mi
importa,
convinto che la
mia esistenza
abbia increspato
la superficie dell’esserfe
che dopo la mia
piccola anda, così limitata insignificante e fugace, sara’ diverso da prima,
e per principio
rimarra’ diverso da sempre" (Vaclav Havel)
Ormai è rimasto
solo Galli della Loggia a testimoniare che due più due fa quattro
IL FRONTE UNICO DEI MODERNISTI
Può dirci qualcosa il modo in cui si è svolta in queste settimane la
discussione sulle unioni civili e sul problema connesso dell’adozione del
figliastro (stepchild adoption)?
Attraverso
quali vie oggi possono nascere e diffondersi in un Paese come l’Italia
sentimenti di estraneità ostili nei confronti delle élite, a cominciare magari
da quelle culturali e giornalistiche? Di avversione verso il loro ruolo nello
spazio pubblico, e quindi, inevitabilmente, di protesta verso la politica? Quei sentimenti, cioè, che poi finiscono
per confluire indifferentemente da destra o da sinistra nel grande collettore
che abbiamo convenuto di chiamare «populismo»? Per cercare una risposta può
forse dirci qualcosa il modo in cui si è svolta in queste settimane la discussione
sulle unioni civili e sul problema connesso (almeno fino ad oggi) dell’adozione
del figliastro (stepchild adoption).
Essendo
incerta l’effettiva percentuale dei favorevoli e contrari tra gli elettori, qualunque dibattito in
merito avrebbe dovuto equamente rappresentare, come è ovvio, entrambe le
posizioni. Posizioni le quali, prima che politiche sono posizioni culturali e
morali riguardanti questioni di grande complessità, ambiti fondamentali della
vita personale e collettiva. Ebbene, mi chiedo e chiedo: si può onestamente
dire che il dibattito in merito sulla grande stampa e in televisione — le
uniche sedi che contano — sia stato all’altezza di tale complessità?
Per
almeno due ragioni a me sembra di no. Innanzi
tutto per una soverchiante, ossessiva presenza — parlo della televisione e
della radio ma non solo — di esponenti politici. In Italia, anche se si tratta
del peccato originale o delle cure palliative, la Rai si ostina a credere che i
più titolati a discuterne siano un parlamentare dei 5Stelle insieme a un
senatore di Fratelli d’Italia. E le radio e tv commerciali non sanno fare di
meglio. Ne è risultato — nel caso della discussione sulla legge Cirinnà ma così
come sempre — un succedersi, in genere
semiurlato o punteggiato di interruzioni, di frasi di un minuto, di
affermazioni immotivate e ripetute senza tener conto delle eventuali obiezioni.
Con la maggioranza dei cosiddetti
conduttori non solo incuranti di tenere la discussione su un binario di reale
approfondimento di alcunché, ma usi a intervenire di continuo con sorrisetti
derisori, sguardi di compatimento e opportune interiezioni (campioni assoluti
del genere Gruber e Formigli) per screditare l’opinione da loro non condivisa. Che
nove volte su dieci era in questo caso l’opinione degli oppositori alla legge.
Ciò che
peraltro rimanda a un dato generale — che rappresenta la seconda delle due
ragioni di cui sopra. Vale a dire la iper rappresentazione che su tutti i media
così come nell’intrattenimento, nel cinema, in qualunque produzione culturale, ha costantemente l’opinione per così dire
laico-progressista, favorevole al cambiamento, a innovare, a cancellare tutto
ciò che appare tradizionale, a cominciare — c’è bisogno di dirlo? — della
dimensione religiosa. A cui naturalmente corrispondono la svalutazione
sussiegosa, quando non il vero e proprio dileggio nei confronti di chi invece è
fuori dal mainstream dell’ideologicamente corretto, dalla
parte di un pensiero tradizionale, magari convenzionale o ispirato a un antico
«buon senso» (molto diffuso ad esempio in merito all’immigrazione o alla sfera
della «legge e l’ordine»). Per avere un’idea di un simile atteggiamento partigiano
basta ascoltare certi programmi di Radio 24, la radio del Sole 24
Ore.
Che
cosa deve pensare, mi chiedo, che sentimenti (e risentimenti) può provare, quella parte del
Paese — non proprio minuscola, credo — nel vedersi non solo così continuamente
esclusa dalle sue più autorevoli fonti di rappresentazione pubblica, ma
palesemente considerata una sorta di sottospecie culturale da tenere di
continuo sotto schiaffo? Crediamo davvero che basti il programma di una rete
Fininvest che strizzi l’occhio alle passioni di questa Italia «reazionaria» per
bilanciare, che so, il Festival di
Sanremo, l’evento televisivo in assoluto più ascoltato dell’anno, trasformato
disinvoltamente in una manifestazione in sostegno delle varie cause che vanno
sotto la sigla dell’«arcobaleno» (a cominciare per l’appunto da quella delle
unioni civili)? Che cosa sarebbe successo se il Festival di Sanremo fosse
stato dedicato, mettiamo, a esaltare la causa delle «famiglie»?
Naturalmente
non sono così sprovveduto da ignorare le tante ragioni per cui tutto ciò
avviene. Le buone ragioni per cui in tutto il mondo occidentale i media e la
cultura sono dominati da un punto di vista diciamo così «liberal». E cioè il
fatto che gli uni e l’altra hanno la loro storica ragion d’essere nella libertà
e nell’anticonformismo. Ma anche sapendo tutto ciò non riesco a non stupirmi dell’unilateralità smaccata travestita
da devozione ai Lumi, dell’indifferenza per l’opinione dissenziente da parte
del noto «giornalista democratico», del celebre «professore liberal». Ma
soprattutto sono colpito dall’amore sempre
e comunque per la novità, per il cambiamento, per il punto di vista che si
presenta come più «moderno», più «avanzato», più «democratico», più «laico»,
che in Italia domina incontrastato la discussione pubblica. Anche la più
colta, anche quando questa riguarda temi come l’istruzione, la scuola, la vita
sessuale, la religione, la morte, i rapporti tra le culture. Ambiti rispetto ai
quali, se non mi sbaglio, non è proprio così ovvio che cosa voglia dire «progresso»,
«democrazia» e quant’altro.
Insomma:
gli italiani orientati culturalmente e spiritualmente — molto spesso in modo assai ingenuo, se
si vuole — in senso lato conservatore, a favore di assetti tradizionali, legati
al passato (ma attenzione! con colori politici per nulla uniformi), sono di
sicuro un buon numero. Tuttavia nel
dibattito pubblico del loro Paese un punto di vista culturale che li
rappresenti è di fatto inesistente. Da quando è scomparsa ogni vestigia di
Sinistra marxista con la fine del vecchio Partito comunista, e da quando la
Chiesa cattolica ha rivolto la sua attenzione in prevalenza verso il «sociale»,
il campo è dominato per intero da una
prospettiva uniformemente e spensieratamente innovatrice-modernista,
univocamente assertrice delle verità di oggi. Ci sarebbe la Destra,
naturalmente. Ma in Italia, si sa, la Destra ha solo carattere politico. Dal
punto di vista ideale, culturale, antropologico, la Destra italiana non esiste
o è in tutto e per tutto simile al resto: anzi, è perlopiù una sua brutta
copia. Di fronte a un establishment così ideologicamente blindato,
quale altra diversità autentica, quale altra protesta sono allora possibili,
alla fine, se non quelle distruttive offerte dal populismo?
12 febbraio
2016 (modifica il 12 febbraio 2016)
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