di Peppino Zola da lanuovabussola
23-02-2016
Caro direttore,
l’altra sera, al termine di un interessante dibattito
pubblico, durante il quale mi sono “scaldato” nel sostenere il punto di vista
che ritenevo giusto, una gentile persona mi ha chiesto: «ma perché, alla tua
età, ti scaldi ancora così tanto e ti impegni ancora, non è tempo di tirare i
remi in barca?».
Mi sono scaldato anche
nel rispondere a quella persona, a cui ho detto che non è mai il tempo di smettere con
la vita, perché abbiamo la responsabilità di rispondere fino all’ultimo
respiro alle circostanze che il Signore ci propone (non a caso ho
contribuito a far nascere l’associazione Nonni 2.0) e ho anche aggiunto che
tutto questo l’ho imparato guardando colui che è stato mio padre nella fede,
don Luigi Giussani, che, con la sua esperienza ed il suo temperamento non si è
mai sottratto dal prendere posizione e giudicare tutto ciò che la vita gli
faceva incontrare.
E così, l’ho visto,
quando ancora aveva pochi amici intorno a sé, promuovere un convegno (molto affollato) sulla
libertà di educazione e un altro sulle missioni; l’ho visto polemizzare fortemente e argutamente con il laicismo che
stava invadendo le scuole e tutto il clima culturale del nostro Paese; l’ho
visto spingerci alla revisione dei tendenziosi testi scolastici; l’ho visto
aiutarci a giudicare la deriva sempre più anticristiana del Piccolo Teatro di
Milano, che arrivò a rappresentare una falsa e distorta immagine di Pio XII;
l’ho visto sostenere apertamente la creazione delle prime scuole che si
esprimevano attraverso cooperative di genitori; l’ho visto spingerci a
difendere concretamente la possibilità di esercitare liberamente il diritto al
voto nelle scuole superiori e nelle università, e così via.
Di quel grandissimo uomo mi sono rimaste impresse non
solo le parole che diceva, ma anche il temperamento che testimoniava e che
era capace della massima tenerezza (e poesia), ma anche di una grande
combattività, sempre intrisa di giudizio e di carità. Con quel
temperamento, testimoniava, contemporaneamente e con tutta la sua stessa vita,
che una integrale vita cristiana è fatta di cultura, di carità e di missione.
Non a caso, credo, intitolò uno dei suoi più bei libri Dal temperamento un metodo. Parola e temperamento, in lui, li
ricordo come fattori inscindibili.
In particolare,
ricordo ancora, come fosse oggi, l’impegno profuso da tantissimi della nostra compagnia in occasione
del referendum sul divorzio, tenutosi il 12 maggio del 1974. Posso testimoniare
la grande mobilitazione a cui fummo chiamati, da don Giussani stesso, per
essere in comunione con la Chiesa italiana di allora, mobilitazione che venne
coordinata da quella che avevamo denominata “Redazione Culturale”: in quella
occasione, fui incaricato di stendere un documento di carattere giuridico sulla
legge che aveva introdotto il divorzio, cosa che feci insieme a Maria Vismara,
laureata in legge, che stava iniziando il suo impegno in università. Detta
scheda, peraltro molto apprezzata, venne inserita in un più ampio documento,
che servì come strumento importante per la diffusione del nostro giudizio
contrario al divorzio ( purtroppo non condiviso da tutti i cattolici) e che
intitolammo Divorzio: riforma borghese.
Con quello strumento
tenemmo centinaia di incontri in scuole, parrocchie, teatri, circoli, gruppi famigliari. Molte
assemblee si svolgevano in un clima non certo disteso. Di tutta questa attività
era costantemente informato don Giussani. Pochi giorni prima del voto, si
svolse una cena a cui partecipò il professor Gabrio Lombardi (presidente del
Comitato promotore del referendum), don Giussani, il professor Vismara con la
figlia Maria ed il sottoscritto. Dopo la cena accompagnai Lombardi e don
Giussani nel salone del Pime in via Mosè Bianchi, dove Lombardi tenne un
incontro per tutta la comunità di Cl di Milano.
Fui testimone di un
episodio curioso (e divertente), avvenuto la sera di chiusura della campagna elettorale. Stavo accompagnando a casa, con l’auto, don
Giussani; giunto in piazza Medaglie d’oro, mi fermai al semaforo rosso che
si trovava proprio al fianco di uno dei tabelloni per i manifesti elettorali e
lì ci accorgemmo che due militanti favorevoli al divorzio stavano strappando i
pochi manifesti che sostenevano le nostre tesi per il sì all’abrogazione della
legge. Don Giussani si arrabbiò molto a finestrino aperto ed io fui felice che
il semaforo segnasse in quel momento la luce verde per poter riavviare
velocemente la macchina: non erano tempi in cui si potesse discutere
serenamente con gli avversari!
La domenica successiva
al voto, che, come si sa, ebbe esito negativo, don Giussani tenne una affollatissima
assemblea di ciellini al Teatro Odeon di Milano, durante la quale giudicò la situazione della società e dei cattolici
ed, in particolare, criticò apertamente quelli tra di noi che non si
erano impegnati abbastanza durante la campagna referendaria. Nella famosa
intervista concessa a Robi Ronza, don Giussani ebbe a giudicare così
quell’esperienza: «Per quanto concerne in particolare Comunione e Liberazione,
il gesto di obbedienza in forza del quale il movimento si impegnò nella
campagna referendaria a favore del sì all’abrogazione del divorzio, contribuì
fortemente a maturare la coscienza della propria identità cristiana: un’identità che, tra
le altre cose, nulla ha a che spartire con l’etica del successo a qualunque
costo. E l’episcopato poté rendersi conto di quali fossero nella Chiesa le
forze davvero disponibili, anche in condizioni difficili e con prospettive
tutt’altro che favorevoli, a impegnarsi a sostegno di una mobilitazione sociale
e politica in cui la credibilità di una scelta dei vescovi, dunque della Chiesa tout court, veniva messa direttamente in gioco»
Devo ringraziare Dio,
perché questi ed altri gesti, sempre vissuti in estrema libertà e con vivaceverifica delle
proposte che mi venivano fatte, mi hanno, nel tempo, educato a non sottrarmi
mai alle circostanze che la vita quotidiana e le vicende storiche continuamente
sottopongono alla nostra libertà. E lo prego perché mi permetta di vivere dette
circostanze con quelle stesse dimensioni di cultura, carità e missione, come
una cosa sola.
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