di Robi Ronza
da la nuova bussola
31-01-2016
La testimonianza di una presenza, imponente non solo per numero ma per
qualità e per ispirazione, che l’ordine costituito sia civile e politico che
ecclesiastico del nostro Paese non può più ignorare: questo è a mio avviso
l’esito fondamentale del grande incontro avvenuto ieri a Roma al Circo Massimo
e dintorni. Non solo infatti nel “catino” erboso del Circo Massimo, tra l’altro
in parte transennato e non accessibile ai convenuti a causa di lavori in corso
(che ci sono sembrati, ma non ne siamo certi, degli scavi archeologici). Non
solo nel Circo Massimo, gremito dove possibile fino all’orlo. Erano infatti
migliaia le persone che, non potendo scendere nel Circo Massimo, sono rimaste
nelle vie adiacenti o anche nei giardini e nelle aree di parcheggio della vicina
sede della Fao.
Senza soffermarmi oltre sul numero, di cui comunque la documentazione fotografica anche aerea rende
giustizia, vorrei appunto fermarmi qui in particolare sulla qualità e sull’ispirazione di tale presenza.
E’ stato un evento molto nuovo anche rispetto a quelli analoghi che l’hanno
preceduto. Né la presenza annunciata di un grande leader carismatico, né
la speranza di qualche grossa novità politica, né la promessa di un evento
spettacolare in cui identificarsi aveva richiamato sotto un cielo nuvoloso, che
prometteva pioggia, centinaia di migliaia di persone di ogni parte d’Italia e
di ogni ambiente, gruppi parrocchiali accanto a gente di movimenti ecclesiali,
famiglie con bambini, anziani e invalidi in carrozzella, gente di fabbrica e di
quartiere e professori universitari, sconosciuti e volti noti di politici per
una volta davvero dispersi tra la folla assiepata per lo più in piedi. Con i
loro discorsi e i loro interventi i membri del comitato promotore hanno fatto
del loro meglio per richiamare l’attenzione dei presenti verso il palco che,
per scarsità di schermi ripetitori, era così remoto da risultare
imperscrutabile alla maggior parte degli astanti. Quella vastissima
platea non era sostanzialmente venuta lì per vederli e per ascoltarsi. Era
venuta lì, e lì è pazientemente rimasta per diverse ore, semplicemente appunto
pe testimoniare con la sua presenza la forza stabile e pacifica della realtà
familiare. E per affermarne così la specificità e l’importanza per la vita
civile del Paese.
Molto più dei discorsi dal palco, talvolta densi e importanti ma talvolta anche un po’ troppo ingenuamente
orientati alla ricerca dell’applauso, il “discorso” sulla famiglia ha
consistito non di parole ma di persone,
di volti, di sguardi, di richiami, di bandiere e cartelli che lo spazio e
la folla rendevano comunque minuscoli. Venuta meno insomma quasi ogni traccia
della manifestazione politica così come eravamo abituati a vederla, più che
dagli oratori il messaggio è venuto dalla gente. O meglio, il messaggio era la
gente.
E’ difficile adesso dire se questo evento avrà un impatto immediato e concreto sulla battaglia che, con
un’urgenza incomprensibile (a meno che sia l’esito di pressioni esterne tanto
inconfessabili quanto insostenibili), il governo Renzi sta conducendo per introdurre in Italia un cosiddetto
matrimonio omosessuale mascherato da unione civile. Per di più all’ombra
della falsa notizia secondo la quale
il nostro sarebbe l’unico dei 28 Paesi dell’Unione a non averlo. In realtà oltre all’Italia sono invece 12
gli Stati membri che non ce l’hanno compreso uno, la Slovenia, dove l’anno
scorso un referendum popolare lo ha abrogato a pochi mesi dalla sua entrata in
vigore.
Al di là di tale augurabile esito la novità definitiva emersa dall’incontro di ieri a Roma è ad ogni
modo l’imponente presenza umana di cui si diceva, magari qua e là grezza, ma
saldamente radicata in un’esperienza – prevalentemente di matrice cristiana --
che merita di venire aiutata a
crescere e ad affacciarsi alla ribalta della società italiana. E’ una
novità che interpella chiunque abbia nel nostro Paese responsabilità
nella vita pubblica: sia nella Chiesa in ogni suo ambito che nel mondo della
politica come in quello della cultura.
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