sabato 10 febbraio 2018

LA CINA INVENTATA DA MONS. SÁNCHEZ SORONDO.


UNA CINA CHE NON C'E' 
Trasecola padre Bernardo Cervellera, direttore dell'agenzia Asia News del Pontificio Istituto Missioni Estere, nel commentare i giudizi del vescovo argentino Marcelo Sánchez Sorondo, fresco reduce da un viaggio in Cina.
Sánchez Sorondo è cancelliere di due accademie pontificie, quella delle scienze e quella delle scienze sociali, oltre che intraprendente vassallo della corte di papa Francesco. E in effetti hanno sbalordito le sperticate lodi al regime di Pechino da lui sciorinate in un'intervista di pochi giorni fa alla sezione in lingua spagnola di Vatican Insider:

Eccone una piccola antologia:
"In questo momento, quelli che meglio mettono in pratica la dottrina sociale della Chiesa sono i cinesi".
"L’economia non domina la politica, come succede negli Stati Uniti. Il pensiero liberale ha liquidato il concetto del bene comune, afferma che è un'idea vuota. Al contrario i cinesi cercano il bene comune, subordinano le cose al bene generale. Me lo ha assicurato Stefano Zamagni, un economista tradizionale, molto considerato da tempo, da tutti i papi”.
“Ho incontrato una Cina straordinaria. Quello che la gente non sa è che il principio centrale cinese è: lavoro, lavoro, lavoro. Non c’è altro, in fondo è come diceva San Paolo: chi non lavora non mangia".
"Non ci sono 'villas miserias', non c’è droga, i giovani non prendono droga. C’è una coscienza nazionale positiva. I cinesi hanno una qualità morale che non si incontra da nessuna altra parte".
"Il papa ama il popolo cinese, ama la sua storia. In questo momento sono molti i punti di incontro. Non si può pensare che la Cina di oggi sia quella dei tempi di Giovanni Paolo II o la Russia della guerra fredda".
*
Inutile dire che dal suo viaggio in Cina Sánchez Sorondo è tornato entusiasta. Tanto entusiasta da far riandare indietro la memoria a mezzo secolo fa, ai diari di viaggio di tanti famosi intellettuali, scrittori, uomini di Chiesa recatisi in Cina sul finire della Rivoluzione culturale, stagione terrificante, fanatica, sanguinaria, eppure da loro ammirata ed esaltata come l'atto di nascita di una nuova umanità virtuosa.
Qui di seguito è riportato un frammento esemplare di quella infatuata diaristica dei primi anni Settanta. Ne furono autori due cattolici italiani di primissimo piano: Raniero La Valle (n. 1931), già direttore del quotidiano cattolico di Bologna "L'Avvenire d'Italia" nonché celebrato cronista del Concilio Vaticano II, e Gianpaolo Meucci (1919-1986), discepolo di don Lorenzo Milani e presidente del tribunale dei minori di Firenze.
Il viaggio di cui raccontano lo compirono nel 1973, a metà tra la fase più cruenta della Rivoluzione culturale (1966-1969) e la morte di Mao Zedong (1976).
A rileggere questa loro esaltazione della società cinese fa impressione la similitudine con quanto dice oggi monsignor Sánchez Sorondo.
Anche a proposito della Chiesa cinese di ieri e di oggi i giudizi degli uni e dell'altro non sono tanto difformi. Quello che sognano è una Chiesa non "straniera" ma "cinesizzata", cioè proprio ciò che vogliono – a modo loro – i dirigenti attuali di Pechino: una Chiesa in tutto sottomessa al loro potere.
Ma prima di lasciare spazio a questo diario di mezzo secolo fa, è doverosa una puntualizzazione sul professor Zamagni, citato da Sánchez Sorondo a proprio sostegno.
Niente di più sbagliato. Zamagni, economista di fama mondiale, già preside della facoltà di economia dell'Università di Bologna, interpellato dal giornale on line della sua città, Rimini, non ha voluto commentare le parole del monsignore, ma bastano un paio di sue citazioni per mostrare quanto egli si ponga agli antipodi.
Nel 2015 ha detto in un'intervista a "Famiglia cristiana": "La Cina ha creduto di andare contro natura. È questo il male cinese. Pechino ha adottato il modello dell’economia di mercato capitalistico all’interno di un sistema comunista dittatoriale a partito unico marxista-maoista. Anche il più sprovveduto sa che questo matrimonio non s’ha da fare".
Un anno fa, su "Avvenire", Zamagni ha denunciato “la separazione sempre più profonda tra il capitalismo di mercato e la democrazia”. E nel novembre scorso, in un convegno alla Pontificia Università Gregoriana, ha ribadito: "L’economia di mercato capitalistico è sempre stata vista come bilanciata dalla democrazia, tramite il 'welfare state'. Ma la novità di questi tempi è che si è rotto questo legame: si può essere capitalistici senza essere democratici". Entrambe le volte ha detto: “L’esempio di scuola è quello della Cina".
Urge ritorno alla realtà.
tratto dal blog di Sandro Magister
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NOTE DI VIAGGIO
di Gianpaolo Meucci e Raniero La Valle


[Da "Incontro con la Cina", Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1973, pp. 70-73]
La società cinese è piena di vivacità, di allegria, di serenità. In un mese di soggiorno in Cina non si è mai avuta nemmeno la più fugace impressione dell'esistenza di un potere poliziesco imperante. Anche le sentinelle al palazzo del governo, che pur cercano in tutti i modi di darsi un'aria marziale, appaiono quasi ridicole se confrontate con i loro colleghi dell'Occidente, sicché al loro confronto i nostri soldatini di guardia alle caserme o ai monumenti fanno la figura di soldati nazisti.

La Cina è un paese regolato non da una legge, ma dall'adesione a una fede, sotto la guida di una struttura sacerdotale, ancora non estraniatasi dalle masse, ed è una fede gioiosa e liberante che perfino prevede un carnevale, i giorni del capodanno lunare, nei quali sopratutto i contadini danno fondo ai risparmi e spendono cifre notevoli, rispetto al reddito, fornite benevolmente dalle stesse Comuni.
È per questo che l'esperienza cinese lascia un segno indelebile in ogni visitatore che improvvisamente si trova a vivere in un mondo da lui sognato, in una società di uomini impegnati a liberare gioiosamente l'uomo, sospinti dalla fede nell'uomo.
Ma vorremmo aggiungere qualche notazione sull'incontro che abbiamo avuto con la Chiesa cattolica che è in Pechino, per trovare una chiave interpretativa della realtà cinese.
Era domenica e chiedemmo di essere messi in condizione di poter assistere alla messa nella chiesa cattolica di Nam-Dang, che era stata riaperta al culto dopo un breve periodo di chiusura durante gli anni della Rivoluzione culturale.
Quella che poteva essere un'esperienza ricca di significato e di speranza, fu in realtà la più dolorosa e mortificante fra tutte le esperienze del nostro lungo viaggio.
Comune fra tutti noi il giudizio conclusivo: è bene, è doveroso, che una Chiesa di questo genere scompaia, se si vuole che l'annuncio evangelico possa raggiungere in un domani il popolo cinese e aprirlo a un'altra dimensione.
La chiesa di Nam-Dang è il monumento della mentalità colonialista che per secoli ha inquinato l'azione missionaria della Chiesa, accettata dai più e contestata da pochi illuminati spiriti.
Pensate ad una chiesa del tardo barocco della vecchia Roma trapiantata a Pechino, con il suo Sacro Cuore, la solita statuetta della Madonna sull'altar maggiore, qualche santo, compresa una S. Rita del culto corrente in Italia.
Il prete che dice messa è vecchio, come sono vecchi i sette cinesi presenti. Borbotta la messa in latino, rivolto verso l'altare.
Dopo la messa parliamo con un prete più giovane, mentre ci viene rifiutato il colloquio col vescovo che, ci si dice, abita nel recinto di quella chiesa.
Evitiamo accuratamente ogni domanda di sapore politico, ma insistiamo su domande relative alla religiosità del popolo cinese.
Il prete, che tiene in mano la "pars aestiva" del breviario, con uno stile da seminarista romano degli anni Venti, non risponde a quanto gli si chiede. È uno straniero rispetto al suo popolo, ed è pago di aderire formalisticamente a schemi che gli sono stati insegnati con mentalità e intendimenti colonialistici.
Abbiamo più volte, anche in altre occasioni, cercato di portare il nostro discorso sulla religiosità del popolo cinese e sulla libertà religiosa. Ci siamo convinti che non era per mascherare un reale atteggiamento antireligioso, che le risposte erano eluse. Il cristianesimo era la religione del padrone e delle potenze colonialiste, e lo hanno combattuto nelle persone dei suoi ministri, cittadini dei paesi occupanti; ma la costituzione cinese ammette la libertà religiosa.
Quale possa essere in futuro l'atteggiamento di Roma nei confronti dei vescovi cinesi ci sembra interessi ben poco.

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