In queste ore sul web è in atto una vera e propria pulizia etnica, non nei confronti dei trumpisti, ma di qualunque opinione dissenziente
Ho sempre amato gli Usa. Sarà perché da piccola ho frequentato una scuola americana, sarà perché mi piace il mito eroico dell’uomo normale – dal cowboy solitario di Alan Ladd al John Doe di Frank Capra -, mi piace la fiducia nelle possibilità di ciascuno di costruire il proprio destino, e soprattutto mi piaceva la democrazia americana, fondata su una costituzione che parla di felicità e libertà.
E’ per questo che assistere al declino
americano, vedere come è ridotto oggi quel grande Paese mi fa tristezza e
paura. Una democrazia malata, snaturata, irriconoscibile, che non ha più
orgoglio né consapevolezza di sé. Un sistema di rappresentanza clamorosamente
permeabile a confusioni e pasticci elettorali (ma quale forza politica, in
Italia, si fiderebbe del voto postale? Chi lo accetterebbe, chi se ne
sentirebbe sufficientemente garantito? Chi non darebbe per scontata la
possibilità di brogli?), condizionato in modo pesantissimo dai padroni del web,
che contano ormai più dei vecchi “poteri forti” economici e finanziari.
Una democrazia in cui le campagne
elettorali le fanno i flussi abnormi di denaro e le disfano Twitter, Facebook,
Google e simili, che si permettono di cancellare, chiudere, far sparire
informazioni e voci quando e come preferiscono, senza dover spiegare nulla a
nessuno, censurando anche il presidente degli Stati Uniti.
Un Paese in cui un presidente regolarmente
eletto ha potuto contare sulla ostilità omogenea e sfacciata di tutti i media
(tutti, non esclusi quelli di area repubblicana), e per farsi ascoltare, per
raggiungere i suoi elettori, ha dovuto alzare i toni, inventarsi formule di
immediato impatto comunicativo.
Un Paese ormai preda di minoranze violente
che non rivendicano diritti per sé ma mirano a distruggere la storia, la
cultura e l’identità di un popolo, a calpestare una libertà di espressione che
era il vanto della democrazia americana.
In queste ore sul web è in atto una vera e
propria pulizia etnica, non nei confronti dei trumpisti, ma di qualunque
opinione dissenziente. Il livello di repressione e controllo, negli Usa
campioni di libertà, non è molto dissimile, ormai, da quello in vigore in Cina,
sia pure con metodi diversi.
Dalla periferia dell’ex impero noi
osserviamo e commentiamo gli eccessi trumpiani con perbenismo scandalizzato,
senza renderci conto che giudichiamo spesso da disinformati, perché vittime di
un sistema mediatico imbarazzante per la sua cieca parzialità. Poco o nulla
sappiamo di che cos’è oggi davvero l’american way of life, di come si entra,
come si studia e si vive in una università negli Usa, di come agisce sul lavoro
e nelle imprese il controllo sulla libertà di opinione, attraverso la minaccia
di cause e licenziamenti.
Trump ha vinto le elezioni precedenti solo
perché nessuno se lo aspettava, perché il sistema non si era organizzato, non
aveva preso reali contromisure, non potendo davvero credere che la
finanziatissima e appoggiatissima signora Clinton potesse perdere. Trump è
stato l’unico a sapere davvero sparigliare, a muoversi fuori dallo stretto
spazio ormai lasciato ai politici, repubblicani o democratici che siano, perché
era ed è un outsider, ed è stato votato come tale.
La distanza più profonda, incolmabile e
ormai visibile a tutti, oggi non è tra democratici e repubblicani, ma tra élite
e popolo, anche se, bisogna dirlo, le élite democratiche sono più ciniche e
sprezzanti.
Trump, come ha scritto anche Michel
Houellebecq, è stato un grande presidente, l’unico che ha provato davvero a far
tornare l’America quella che era, a farla “great again”, dimostrando un
coraggio da leone. La storia forse si incaricherà di certificare il ruolo
fondamentale e innovativo della sua presidenza, ma la mia paura è che mentre
noi ironizziamo sui trumpisti con le corna in testa, le democrazie occidentali
restino un guscio fragile, sempre più vuoto.
L’OCCIDENTALE
9 GENNAIO 2021
Nessun commento:
Posta un commento