Cent’anni fa di questi giorni, nasceva dal sangue il partito comunista d’Italia. Nasceva dal sangue della rivoluzione bolscevica in Russia, con milioni di vittime. E nasceva dal biennio rosso sangue in Italia, tra rivolte e violenze, anche contro i reduci della guerra mondiale. Erano le “prove tecniche” di rivoluzione, da importare in Italia sull’esempio russo.
(…)
Il congresso di Livorno nel gennaio del
’21 sancì la nascita del Pcd’I.
I comunisti, rispetto ai socialisti, ritenevano possibile e necessario un salto
radicale, la rottura col capitalismo, l’occidente, la borghesia, gli agrari, e
dunque col riformismo. Prendeva corpo il mito dell’ordine nuovo, dell’uomo
nuovo, del mondo nuovo. Il comunismo era promessa di redenzione. E tuttavia la
storia del comunismo fu storia di tradimenti, compromessi ed epurazioni. (…) Il
Pci finì trent’anni fa, nel ’91, mentre finivano l’Urss e il Pcus, non prima.
Al comunismo si riconosce il beneficio
delle buone intenzioni: i suoi massacri erano ispirati da valori umanitari e
pacifisti. Ma più che una giustificazione o un’attenuante è
un’aggravante: sterminare per il bene dell’umanità futura è aberrante. Ora si
celebrano i cent’anni dell’italocomunismo separandolo dagli orrori del
comunismo-regime in ogni luogo del mondo, dimenticando i finanziamenti
sovietici, il servilismo verso Mosca e l’appoggio alle peggiori invasioni e la
complicità/omertà sugli orrori.
Sopravvivono
del vecchio Pci tre miti su tutti: Gramsci, la lotta partigiana e Berlinguer. Gramsci fu
un lucido pensatore e pagò per le sue idee ma teorizzò in carcere un sistema
più totalitario e liberticida di quello che lo aveva messo in prigione. E quando
teorizzò una via nazionale al comunismo lo fece attenendosi alla lezione di
Lenin sulla duttilità strategica per conquistare il potere.
I
partigiani comunisti non miravano a instaurare la libertà e la democrazia ma la
dittatura del proletariato sul modello di quella stalinista. E Berlinguer fu
santificato perché ebbe “la fortuna”, come Gramsci, di non andare mai al
potere. Lo strappo da Mosca fu faticoso e tardivo; e fu compiuto solo quando
l’Urss era una gerontocrazia di burosauri, ormai in declino. “I comunisti che
non andarono al potere meritano rispetto”, lo dice pure il “reazionario” Gomez
Dàvila. Si deve rispetto ai comunisti i buona fede e a coloro che
scontarono la loro idea sulla propria pelle e non su quella altrui. Ma lo
stesso criterio vale per tutti, fascisti inclusi.
Caduto il comunismo, i suoi esuli
abbracciarono il capitale e l’occidente. Sostituirono l’anticapitalismo e
l’antiborghesia con l’antifascismo e l’antirazzismo, l’internazionalismo
operaio con la globalizzazione, la difesa dei proletari con la difesa di gay,
migranti e femministe. Il Pci mutò in partito radicale di massa, a guardia del
politically correct e dell’establishment mondiale.
Cosa
è vivo oggi del comunismo? La
sua mentalità.
La
sinistra dem, liberal e radical ha ereditato dal Pci la presunzione di
diversità e superiorità; la pretesa di giudicare il mondo senza essere
giudicati; il razzismo etico, forma aberrante di suprematismo; l’egemonia della
casta, l’Intellettuale Collettivo che decreta i valori e i disvalori della società.
L’ideologia
si è fatta etica e biopolitica. PC è ora la sigla di Politically Correct. Quel
codice, derivato dal comunismo e dal giacobinismo, trasformò la sinistra in partito delle classi agiate, del potere global
e degli apparati, degli intellettuali e dei magistrati.
Il
comunismo reale è stato rimosso come se mai si fosse realizzato, attribuendo
ogni nefandezza alle sue degenerazioni come lo stalinismo, concepita come bad
company su cui scaricare le negatività. A differenza del nazismo e del fascismo
si parla del comunismo come di un evento archeologico. Poi ti affacci, vedi la
Cina che dilaga nel mondo e da noi la sinistra che comanda anche quando perde
alle elezioni e capisci che non stai parlando di preistoria e dinosauri…
MARCELLO
VENEZIANI, La Verità 17 gennaio 2021
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