venerdì 9 gennaio 2015

ABBIAMO PERSO IL PADRE

Con la penna e con la spada

Una volta si diceva che ne uccide più la penna che la spada. In questo caso si direbbe che è drammaticamente vero.
Le cause dei morti di Parigi sono due facce della stessa medaglia, dello stesso errore.

Da una parte una concezione religiosa che mira a sopprimere ogni cosa che sia diversa da se stessa; dall’altra una concezione laicista che afferma che tutto è permesso. Due interpretazioni della libertà che non rispettano la libertà.
Errate entrambe.

I redattori di Charlie Hebdo credevano di potere fare quello che volevano, ma si sono scontrati con la realtà. Nel mondo reale non tutto è possibile, e la pretesa che lo sia finisce in disillusione cinica. O in tragedia.
Sono i bambini a pretendere di essere invulnerabili. La scoperta di non esserlo riempie di terrore.
Ciò che alla cultura moderna non è chiaro sono le conseguenze di quello che si fa. Il definire una cosa come sbagliata non è una questione dogmatica, un giudizio distaccato e neutrale. Un sentiero non lo definisci sbagliato per un giudizio morale, o astratto. Lo definisci tale perché ti porta in un luogo che non è quello atteso.
Sia i terroristi sia le loro vittime odiano il loro nemico. Disprezzano il proprio prossimo, quando non si adegua alla loro convinzione.


Paradossalmente la stessa ideologia che ha sostenuto quei giornalisti e vignettisti rende adesso molto più difficile afferrare i loro omicidi, trovare la maniera di combattere il loro desiderio di distruzione di tutto ciò che non si conforma alla loro idea. Se non esistono bene e male allora anche predicare l’odio, in un modo o nell’altro, è ammesso. Quello che la rivista francese faceva nelle sue pagine, e che i terroristi hanno portato sul piano pratico.

E’ un drammatico dilemma, per la cultura laicista: perché tra il diventare succubi di un nemico che terrorizza e sradicarlo giacobinamente non ci sono vie di mezzo. Due facce della stessa medaglia, e la medaglia si rovescia molto in fretta.
Se non si ammette la possibilità di una redenzione ci portiamo dietro il peso di tutte le nostre scelte, i nostri errori. I nostri peccati. Siamo schiacciati, e la sola maniera che abbiamo di respirare è fare finta che siano niente, che vada tutto bene, che non pesino così tanto. Che in fondo la colpa, se pure c’è, è di un altro.
La tolleranza, il chiudere gli occhi di fronte al male, ha miseramente fallito. Perché il male chiama male, la violenza altra violenza.

La tolleranza ha fallito perché è incapace di chiamare le cose con il loro nome. Ha fallito perché è una finzione a livello umano, sociale, esistenziale. Permette, anzi, incoraggia la crescita dell’odio. Con la penna, con la spada.

Assolutamente ciechi al dolore che si causa con le azioni o con il silenzio, quando avviene appena pochi chilometri più in là, o in un’altra stanza.
L’unica salvezza sarebbe dire: abbiamo sbagliato. Sarebbe chiamare le cose con il loro nome, prendere atto che le religioni non sono tutte uguali, che il Padre disprezzato, umiliato, irriso è ancora un Padre che ci aspetta. Vedere che un falso dio che spira violenza va in direzione opposta a quanto il cuore desidera, a quello per cui il cuore è fatto.

Non ci sarebbe che da chiedere perdono per le nostre azioni e i nostri silenzi, per le nostre prese in giro e l’essere stati zitti mentre si uccideva, con la penna o con la spada. Con le barzellette e il kalashnikov.

Ci sarebbe misericordia per tutti: per le vittime, e anche per i loro assassini. Ci sarebbe volontà di fermare il male: senza odio, ma perché si deve.
Ma non avverrà. Perché, già lo vedete, è in corso una chiamata ulteriore all’odio. A qualcuno non conviene che si impari dagli errori.

E’ giusto quindi pregare per le vittime, e anche per i carnefici. E anche per tutti noi, che ancora non capiamo, che abbiamo paura di dire quello che è vero. Una paura folle, perché abbiamo perso il Padre che ci proteggeva, perché odiamo ciò che è diverso, la persona che ci è accanto, che ci può strappare dal nostro niente; e quindi crediamo che la sola soluzione sia rimanere esattamente dove siamo, come siamo.
A morire ancora un poco, ammazzati oppure no.

Antonio\Berlicche




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