Dal nuovo Catechismo olandese
all’ateismo.
Cattolici quasi scomparsi nel cuore
d’Europa.
Disarmano anche i protestanti. Città
aperte all’islam
Dirk Van Delen: i protestanti distruggono le statue cattoliche |
Dicono che per capire l’Olanda di
oggi, atea e laica, multiculturale e accogliente, bisogna tornare con la
memoria agli anni Settanta, quando sui campi di calcio d’Europa imperversava la
mitica Arancia meccanica di Rinus Michels, monumento nazionale di cui parlò
bene perfino Johan Cruijff, che in morte del tecnico che rivoluzionò il calcio
oranje mise da parte la sua proverbiale boria e riconobbe nel maestro la
grandezza del leader. Era, quella, la prima Nazionale di calcio libertina della
storia, che rifiutava quei codici etici o pseudo-etici che tanto di moda vanno
oggi, che infranse il divieto quasi parasacrale dell’astinenza dai rapporti
sessuali prima delle partite. Così, mentre gli altri si preparavano con
rassegnazione a passare un mese sulle lavagne tattiche a studiare mosse e
contromosse per portarsi a casa il trofeo, loro si divertivano. Talmente
spavaldi che si potevano permettere di stravolgere ogni norma fin lì
codificata; così forti da piazzare tra i pali della porta in un Mondiale un
gentiluomo trentaquattrenne che neppure era professionista. Furono loro i primi
a portarsi mogli e fidanzate e amanti in ritiro.
“Potevamo fare tutto quello che volevamo”,
avrebbero detto anni dopo alcuni di loro, quando la macchina ritenuta perfetta
si sarebbe rilevata essere solo una splendida utopia, visto che nulla vinsero
mai. Interprete, l’Arancia meccanica, di un’Olanda che elaborava le libertà
sessantottine, che faceva della trasgressione un must. Il fatto è che “al cristianesimo troppo segnato da un rigido moralismo
è seguita una ribellione radicale, come radicale è il carattere degli olandesi.
Non sono capaci di credere solo un po’ in qualcosa. Sono diventati l’opposto di
ciò che erano”, spiegò in un’intervista ad Avvenire del 2009 il cardinale
Adrianus Simonis, arcivescovo emerito di Utrecht. Forse, aggiungeva con tono
mesto, qui la gente “ha scordato il fatto cristiano, quello che ne è
l’essenza”.
E anche la chiesa locale, quella del cardinale Bernard Jan Alfrink, passato
alla storia non solo per il “nuovo
catechismo olandese” intriso di modernismo e aperture a tutto ciò che prima era
stato condannato e vietato e represso, ma anche per aver tolto durante il
Concilio la parola al segretario del Sant’Uffizio, il cardinale Alfredo
Ottaviani, si lasciò contagiare dallo spirito del tempo. Se ne sarebbe accorto
a metà degli anni Ottanta Giovanni Paolo II, che da trascinatore delle folle e
delle masse, delle messe negli stadi e nelle immense spianate in ogni parte del
globo, si trovò a sfilare nel centro di una Utrecht deserta. Solo ottomila
curiosi – tra i quali i cattolici forse erano pure la minoranza – s’erano
assiepati dietro le transenne per vedere il Papa di Roma. Tra i pochi religiosi
presenti, qualche frate domenicano in abito proprio che teneva in mano una
gigantografia di Leonardo Boff, il teologo della liberazione e del culto della
madre terra, frate poi spretato teorico delle grandi primavere ecclesiali, sul
quale s’era posato lo sguardo indagatore di Joseph Ratzinger, all’epoca
prefetto della congregazione per la Dottrina della fede. Forse, gli stessi
domenicani che all’indomani della promulgazione del motu proprio Summorum
Pontificum nel 2007 distribuirono nelle chiese libretti per la celebrazione
della messa in assenza del sacerdote: non c’è il prete? E allora siano i laici
– uomini o donne non fa differenza – a pronunciare le parole della
consacrazione che, a giudizio dei domenicani olandesi, “non sono prerogativa
del consacrato”.
Oggi, forse, a Utrecht, non ci sarebbero più neanche quegli ottomila a
salutare il Pontefice. I numeri sono di questi giorni: l’Olanda è atea. Per la prima volta nella storia, solo il
diciassette per cento della popolazione si dichiara credente. Il venticinque è
ateo, il sessanta agnostico, anche se il cinquantatré per cento degli olandesi
è convinto che ci sia vita dopo la morte. Che sia per paura o speranza, è
uguale. Un po’ come gli inglesi che, stando a un sondaggio, crederebbero di più
negli Ufo che nell’esistenza di Dio. Benedetto XVI, quattro anni fa, aveva già
chiaro davanti a sé il desolante quadro della situazione.
Ricevendo in Vaticano l’ambasciatore Joseph Weterings, il Pontefice oggi
emerito disse che “la libertà di
religione è minacciata non solo da limitazioni legali in alcune parti del
mondo, ma anche da una mentalità anti religiosa in numerose società, anche in
quelle in cui essa gode della tutela della legge. E’ quindi auspicabile che
il suo governo sia vigile cosicché la libertà di religione e quella di culto
continuino a essere tutelate e promosse sia nel paese sia all’estero”. Vedeva,
Joseph Ratzinger, proprio nella libertà
senza freni propugnata per decenni come dogma, la matrice della crisi:
legalizzazione delle droghe, prostitute messe in vetrina, eutanasia e aborto,
nozze tra persone dello stesso sesso. “Sebbene da tempo la sua nazione sia
paladina della libertà degli individui di operare le proprie scelte, queste
ultime – osservava Benedetto XVI – vanno scoraggiate se danneggiano chi le fa o
altri, per il bene dei singoli e della società nella sua interezza. La dottrina
sociale cattolica pone una grande enfasi sul bene comune nonché sul bene
integrale degli individui e occorre sempre aver cura di discernere se i diritti
percepiti sono veramente in accordo con quei principi naturali di cui ho parlato
in precedenza”. Ma la storia aveva ormai preso il suo corso, ineluttabile.
Due anni più tardi, l’arcivescovo di quella Utrecht che accolse con
freddezza nel 1985 Giovanni Paolo II e che pure alla chiesa romana e apostolica
diede un Papa, Adriano VI il riformatore, odiato dai cardinali curiali – lui
che disdegnava i concerti e progettava di fare scempi della volta
michelangiolesca in Sistina – rese partecipe Papa Francesco del suo grido di
dolore: la media di chi lascia la chiesa cattolica è di diciottomila fedeli
l’anno, record negativo nel 2010 (ventitremila addii), le parrocchie nella diocesi da lui guidata sono passate da 326 a 49.
Non ci sono più preti, e in una parrocchia solo una chiesa è adibita alla
celebrazione dell’eucaristia. “Prima del 2020, diceva il cardinale Willem
Jacobus Eijk – distante per formazione ed esperienza dalla scuola progressista
degli Alfrink e, nel vicino Belgio, dei Suenens e Danneels – sarà chiuso un
terzo delle chiese ora aperte al culto”.
Il motivo, aggiungeva il porporato, è che “non ci sono mezzi finanziari né
(soprattutto) cattolici”. Problema comune a tutte le confessioni cristiane,
dicono i numeri. Rilevava sul sito Rossoporpora.org il vaticanista Giuseppe
Rusconi che i protestanti d’Olanda erano il 35,9 per cento della popolazione
nel 1971, mentre nel 2010 erano scesi al 15,6 (i cattolici dal 40,4 al 24,5).
“Quando nel 2004 le tre principali denominazioni protestanti si unirono
(calvinisti ortodossi, calvinisti moderati, luterani), il gregge comprendeva
oltre due milioni 400 mila pecorelle. Oggi ne restano meno di un milione e 800
mila”, aggiungeva Rusconi. Il fatto è che, chiariva il cardinale Ejik, “la
chiesa protestante nei Paesi Bassi ha iniziato a conoscere un processo di
secolarizzazione già nella prima parte del secolo scorso, mentre per quella
cattolica questo è avvenuto a partire dagli anni Sessanta”. E il problema non è
il Concilio, visto che “già nell’immediato Dopoguerra si vedevano problemi
anche tra i cattolici, si stava perdendo il rapporto con la dottrina e la fede
non toccava più la vita quotidiana”. Certo, le teorie di Edward Schillebeeckx, il teologo definito “militante” in un
articolo apparso sull’Osservatore Romano del 2009, non hanno aiutato a tenere
accesa la già flebile fiammella. Nato ad Anversa, studi umanistici dai gesuiti,
formazione teologica a Lovanio, Schillebeeckx sarebbe stato il “testimone
privilegiato del travaglio con cui la chiesa cattolica voleva recuperare la
distanza accumulata rispetto al mondo moderno”, scriveva l’attuale vescovo di
Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, già preside della Facoltà teologica
dell’Italia settentrionale. Secondo il presule, proprio l’approdo in Olanda, a
Nimega, a cavallo del Vaticano II, segnerà la svolta del domenicano
Schillebeeckx, che da “mediatore critico dinanzi ai nuovi fermenti della chiesa
olandese” passò a mettere in discussione
la resurrezione di Cristo come fatto oggettivo di fede. Uno dei motivi per
cui la congregazione per la Dottrina della fede lo mise all’indice, anche
perché – scriveva mons. Brambilla – “la sottovalutazione della resurrezione di
Gesù, come esperienza di conversione, poneva dubbi sulla sufficienza della sua
ricostruzione storico-teologica”.
La prospettiva per l’Olanda, dati i numeri di oggi, è quella di vedere entro cinque anni l’islam diventare la
seconda religione nazionale, mentre i protestanti si ridurranno al quattro
o cinque per cento della popolazione. Un mero diritto di tribuna. Se n’era ben
accorto il pastore della chiesa di Doetinchem, Santa Caterina, distrutta dalle
bombe durante la Seconda guerra mondiale, che vedendo i banchi perennemente
vuoti decise di ospitare tra le navate la festa della “società del carnevale”.
Un bel palo piantato davanti all’altare con ballerine ad animare la cerimonia.
D’altronde, è difficile conquistare i cuori di nuovi fedeli se anche i
pastori, a volte, fanno sapere di non credere nell’esistenza divina: “L’inesistenza di Dio, per me, non è un
ostacolo, ma una condizione preliminare per credere in Dio. Io sono un credente
ateo. Dio non è un essere bensì una parola che designa quello che può esistere
tra le persone”, spiegò il pastore Klaas Hendrikse, già noto per il
manifesto ateo con cui invitava la sua chiesa a imbastire un dibattito sinodale
che avesse come oggetto l’esistenza del Padre eterno. E non si tratta d’un caso
isolato, visto che secondo stime più o meno approssimative, si calcola che un
pastore protestante su sei è ateo. Fece rumore, poco più d’una decina d’anni
fa, il caso di Thorkild Grosboll, pastore della chiesa protestante di stato di
Danimarca. Dal pulpito, si disse stanco
di sentire parlare di “miracoli e vita eterna”, osservando che “Dio appartiene
al passato e si può considerare fuori moda”. Perfino la signora vescovo del
luogo cercò, invano, di rimuoverlo dalla carica. Dopotutto, anche i “credenti
atei” che seguivano il sermone condividevano il pensiero di Grosboll. Fu lui,
nel 2008, a mollare tutto ritirandosi a vita privata.
Non rimane, quindi,
che fare come nella Francia preda della laïcité, dove le chiese vengono chiuse,
rase al suolo o messe all’asta, andando poi al miglior offerente – pratica,
questa, assai comune anche nella Vienna spiritualmente governata
dall’eminentissimo cardinale Christoph Schönborn, domenicano e costretto per
mancanza di pubblico orante a cedere gli edifici di culto agli ortodossi. Così, visitando
Utrecht, tappa d’obbligo è San Jacobus, antica chiesa cittadina che oggi è un
appartamento di lusso in perfetto stile Bauhaus. A curare il “passaggio”
dell’edificio è stato il gruppo Zecc, architetti che da mattina a sera fanno
questo: tracciare la mappa delle chiese divenute superflue, prenderle in
consegna dalle diocesi, riconvertirle in qualcosa d’utile. La fantasia degli
interior designer si spreca. Ad Arnhem, la grande boutique di moda Humanoid non
è nient’altro che una vecchia chiesa del 1889, con abiti femminili taglia
trentadue e tailleur con paillette appesi dove un tempo trovavano posto i
quadri della via crucis, scatole di scarpe tacco dodici al posto del fonte
battesimale e del cero pasquale. “Ogni chiesa scatena un dibattito”, diceva
poche settimane fa al Wall Street Journal Albert Reinstra, che di edifici di
culto si occupa per i Beni culturali olandesi. “Quando sono vuote, cosa
facciamo?”.
Padre Clement, priore degli agostiniani nei Paesi Bassi, spiegava che nel
1958 l’ordine poteva contare su 380 frati. Oggi sono solo 39. Il frate più
giovane del monastero ha settant’anni. “E’ triste, per me”, dice padre Clement,
che di certo non si può rincuorare se guarda la Arnhem Skate Hall. Era una
chiesa, un tempo. L’altare e l’organo sono stati staccati e venduti a qualche
rigattiere. In un armadio pieno di polvere è ancora conservata una partitura
musicale. Sul muro, uno skateboard attaccato alla bell’e meglio. In quella che
era la navata, una ventina di ragazzi corre, urla e cade. Con la musica rap a
fare da sottofondo. C’è anche una statua di un santo dal nome ignoto: qualcuno
ci ha buttato sopra uno pneumatico, nota l’attento Wall Street Journal. Ai
visitatori, nonostante tutto, il restyling piace: “Si crea un sacco
d’atmosfera, pare un po’ il Medioevo”, racconta un giovanotto. I vecchi – pochi
– protestano, qualcuno dice che si sta disonorando la fede, ma dal comune
spiegano che i soldi per mantenere
aperto l’edificio di culto che decine d’anni fa ospitava fino a mille fedeli
ogni domenica non ci sono più. Il parroco, dopotutto, dice che quei ragazzi
non fanno nulla di male. E pazienza se le loro gare di skate si disputano sotto
l’occhio misericordioso di un Cristo su mosaico. “Mica è un casinò o una casa
del sesso”, chiarisce in modo convinto il sacerdote. E’ solo una sala per chi
vuole divertirsi con lo skateboard. Prezzo del biglietto, quattro euro.
In effetti, avrà pensato il prete
cattolico, poteva andare pure peggio. Basti pensare che la Oude Kerk di
Amsterdam, la più antica chiesa della città costruita agli albori del
Quattordicesimo secolo, è immersa nel Red Light District, il distretto a luci
rosse. In pratica, si esce dal portale dell’edificio, e con la fronte ancora bagnata
dall’acqua santa ci si imbatte nelle signorine esposte in vetrina che bussano
ai vetri per attirare l’attenzione degli attempati signori reduci dalla messa.
Quando va bene, le chiese si trasformano in musei, come la Nieuwe Kerk, dove
venivano incoronati i re d’Orange. “E’ strano – scriveva la giornalista di
Avvenire Marina Corradi in un reportage dalla capitale olandese – questo
susseguirsi di chiese che non sono più chiese ma condominii, locali, moschee”. Il cardinale Simonis, nell’anno giubilare
2000, diceva quasi profeticamente alla rivista 30Giorni che, nell’ultimo quarto
del Ventesimo secolo, in Olanda vi è stato “più libertinaggio nella fede, e di
conseguenza nella morale”. Un libertinaggio che, però, “non conduce a nulla,
perché non ha successori. E si vede. Quei movimenti e gruppi che lo hanno
praticato, attualmente sono al lumicino, mentre coloro che sono rimasti nella
tradizione attirano ancora oggi. In Olanda noi oggi diciamo che ci occorre una
purificazione: della mente, della storia, di ciò che è troppo unilateralmente
dogmatico o moralistico”.
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