L’onore della ragione da
rendere al Ratzinger illuminista di Ratisbona
Si poteva leggere ieri mattina sulla
prima pagina del Corriere della Sera la seguente frase: “I lumi
dell’illuminismo sono spenti, ma per loro non si sono mai accesi”.
Non era servito il dono della profezia
per scriverla, il tema era il libro di Michel Houellebecq. Ma mentre leggevamo,
succedeva quel che succedeva nel cuore dell’Europa. E dopo aver letto e aver
saputo, un pensiero più decisivo di quel che potrebbe apparire, viene.
Il pensiero che sarebbe il momento, proprio ora, e il
caso, di rendere l’onore delle armi, le armi del pensiero, al professor Joseph
Ratzinger per quanto disse il 12 settembre 2006 in una lectio magistralis
intitolata alla fede e alla ragione, tenuta all’Università di Regensburg. Quella lectio è passata al tritatutto della cattiva
storia come il “discorso di Ratisbona”, ridotta cioè a quel passaggio famoso,
sull’islam e la spada, e alle sue conseguenze. Comprese quelle (variamente
giudicate) del successivo tentativo da parte della chiesa di rappattumare lo
scontro di civiltà che si profilava. Oggi, il giorno dopo Charlie Hebdo, il
giorno dopo l’Europa colpita come mai prima nella sua sacrale libertà di
pensiero e di dissacrazione, appare
più chiaro che l’affermazione decisiva di quel passaggio di Benedetto XVI era
un’argomentazione contro la conversione mediante la violenza: non agire secondo
ragione è contrario alla natura di Dio.
Ma il motivo per cui l’occidente che
allora derise e attaccò oggi dovrebbe rendere l’onore della verità e della
ragione a Ratzinger è un altro.
Quella
lectio fu innanzitutto un grande elogio dell’illuminismo. Proprio di quello che oramai in Francia va allo
sfasciacarrozze, o direttamente all’obitorio.
Descrisse Ratzinger
“l’incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione”. Parlò
della natura “del pensiero greco fuso ormai con la fede”, fondamento antico
dell’occidente. Il rapporto tra fede e ragione, il nesso tra religione e
civiltà.
E la necessità di “allargare
l’illuminismo”, di non ridurlo cioè a quella cupa caricatura destinata al
suicidio (della rivoluzione) o alla gola tagliata e al kalashikov del jihadismo
che è oggi. “Non ritiro, non critica negativa è dunque l’intenzione; si tratta
invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa.
Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell’uomo, vediamo anche
le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come
possiamo dominarle”.
A Ratisbona la questione che Ratzinger
colse fu il giudizio sul mondo contemporaneo. Ratzinger che altrove scrive
testualmente che il cristianesimo “in quanto religione dei perseguitati, in
quanto religione universale… ha sempre definito gli uomini, tutti gli uomini,
senza distinzione, creature di Dio, immagine di Dio, proclamando in termini di
principio la stessa dignità. In questo senso l’illuminismo è di origine
cristiana ed è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell’ambito della fede
cristiana”. E che “è stato merito dell’illuminismo aver riproposto questi
valori originali del cristianesimo e aver ridato alla ragione la sua voce”.
Lo scenario profetizzato da Houellebecq, Houellebecq
che campeggia in vignetta sull’ultima copertina, datata al giorno della strage,
di Charlie Hebdo, è quello della sottomissione, una sottomissione per
svuotamento dell’ideologia dell’occidente al peggio di una religione
irrazionalista.
Houellebecq
che dipinge l’occidente in rovina, che distrugge se stesso attraverso la
cultura materialista e individualista, nipotina sciancata dell’antico
libertinismo. “La corrente di idee nata con il protestantesimo, che ha
culminato nel secolo dei Lumi e prodotto la Rivoluzione, sta morendo”. La sua
analisi è venata di paradosso, epperò è simile alla percezione di tanti
intellettuali europei, francesi segnatamente, che oggi prima che abbandonarsi
alla disperazione potrebbero sforzarsi di rileggere Ratisbona.
Per
Houellebecq, per loro, l’ateismo è perdente perché “troppo triste”. Quando
Ratzinger parlava della nostra civiltà nei termini di una rinuncia al buonumore
per il rinnegamento della buona ragione, lo sfottevano.
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