di Costanza Miriano
Sabato a Milano è successa una cosa grandissima, una cosa che
da tempo non succede più ai convegni di partito, alle convention, alle
primarie, ai raduni. Sabato a Milano le sale erano stracolme di gente, tutte le
sale che la Regione aveva a disposizione, e altre 500 persone stavano in fila
fuori sperando di entrare. Sabato a
Milano si è ritrovato un popolo di amici veri, un popolo di fratelli con i
cuori che battevano insieme, e la misura di quanto è successo ce la danno le
bugie che si sono scritte su di noi. Evidentemente hanno paura.
E le hanno scritte sui giornaloni le bugie, le hanno dette in tv. Golia è
sceso in campo con tutto l’esercito, tutti
contro questo Davide che dice cose pericolosissime, tipo “i bambini hanno
diritto a un padre a una madre”. Facciamo paura, molta paura a qualcuno,
anche se ci siamo chiamati a raccolta coi blog, su facebook, su twitter, per
telefono. Loro con le corazzate dei grandi giornali letti – tra online e carta
– da milioni di persone, noi con gli smartphone a chiamarci uno a uno. Sì, è
vero, da tre giorni c’è anche un giornale che parla di noi, ma la macchina è
partita prima, col passaparola. E non è che abbiamo scherzato. La gente è
partita da tutta Italia.
Gente normale, per lo
più non ricca, gente a cui dunque questo viaggio è costato sacrifici. Uomini e donne con
famiglie, spesso numerose, che si sono organizzati con amici e parenti perché
tenessero i bambini, a volte vagonate di bambini. Amici che sono partiti da
tutta Italia, hanno preso giorni di ferie, hanno preso pullman e treni e
macchine, sono arrivati da Caltanissetta e Vicenza, da Verona e Torino, da
Forlì da Parma da Firenze da Roma da Teramo da Cagliari e mi fermo perché con
le lacrime negli occhi non riesco a scrivere.
Volevamo parlare dei falsi miti di progresso che stanno costruendo una cultura che mette sotto assedio la famiglia – come ha detto il Papa da Manila il giorno prima(che carino, a ricordarsi di noi e a darci la sua benedizione) – e i giornali dal 3 gennaio a oggi hanno cominciato a darci degli omofobi. Non siamo totalmente sprovveduti, sappiamo che c’entra il fatto che a invitarci è stata la Regione Lombardia, e quindi la battaglia è diventata politica. Sappiamo che inquieta il fatto che sabato in sala ci fossero varie anime del centrodestra.
Volevamo parlare dei falsi miti di progresso che stanno costruendo una cultura che mette sotto assedio la famiglia – come ha detto il Papa da Manila il giorno prima(che carino, a ricordarsi di noi e a darci la sua benedizione) – e i giornali dal 3 gennaio a oggi hanno cominciato a darci degli omofobi. Non siamo totalmente sprovveduti, sappiamo che c’entra il fatto che a invitarci è stata la Regione Lombardia, e quindi la battaglia è diventata politica. Sappiamo che inquieta il fatto che sabato in sala ci fossero varie anime del centrodestra.
Ma a noi, a nessuno di noi quattro – Mario, Marco, Padre Maurizio e me –
questo aspetto interessa. Fatto sta che
l’accusa di omofobi ce la siamo presa tutti, e senza che nessuno di noi
avesse praticamente mai nominato il tema omosessualità, che troviamo tutti
pochissimo avvincente. A noi interessa,
questo sì, che i bambini non si possano produrre a pagamento, vendere,
comprare, cosa che si rende necessaria se a volere un figlio sono due persone
dello stesso sesso; a noi sembra che la cultura del gender equity and equality
sia nemica della famiglia, e siccome sembra anche a Ratzinger siamo abbastanza certi di non
essere vittima di un’allucinazione da ultras scatenati; noi soprattutto
vogliamo che le famiglie siano aiutate, che alle donne si dica quanto è bello
essere mamme, e che siano aiutate a diventarlo e incoraggiate e sostenute in
ogni modo, vogliamo ricordare che maschi e femmine sono ontologicamente
diversi, e che sono fatti per generare e poi sostenere nuove persone, e che il
sesso fatto senza opporsi alla vita è molto più bello, e infatti i cattolici lo
fanno meglio.
Crediamo anche che il motivo dell’attacco non sia solo politico: certo il luogo del convegno ci ha messo sotto i riflettori, ma le cose che diciamo danno davvero tanto fastidio, come prova l‘avversione alle Sentinelle, e le botte prese da anziani preti, da bambini, a donne che stavano in piedi per opporsi a una legge che voleva sei anni di carcere per chi dice che i bambini non si comprano.
Siamo certi che la cosa che fa paura sia il fatto che noi siamo un popolo, una vera compagnia. Non abbiamo fondi, nessuno ci sostiene, non rappresentiamo nessuno. Ci prestiamo le case, le macchine, ci apriamo le porte di casa e del portafogli pur senza esserci mai visti dal vero, a volte. Ci riconosciamo dalla fotina su facebook, ci abbracciamo come fratelli, finiamo per fare le vacanze insieme, perché crediamo nella stessa Persona che un giorno ci ha sfiorato il cuore, e questo i giornalisti non lo possono capire.
E infatti della giornata di Milano hanno scritto solo dello studentello bocconiano (lui non ha attraversato l’Italia prendendosi le ferie o portandosi i bambini ad aspettare al freddo tre ore, lui è stato al caldo, e sappiamo chi lo ha fatto entrare) che è salito sul palco, un palco che non aveva nessun diritto di calcare, ha fatto la scena del poverino a cui si toglie la parola, ha rubato la scena e alla fine – il tempo era poco, il clima si era guastato, il moderatore si era innervosito – ha impedito di parlare a Padre Maurizio, a un uomo che aveva tutto il diritto di parlare, quello che ne aveva più di tutti, perché è da lui che è partito tutto, lui che ci ha messi insieme. Lo studentello con la sua arroganza e il falso vittimismo, facendo una domanda su un tema che non ci interessa (se ho capito bene le terapie riparative, di cui nessuno di noi sa molto), ha impedito di parlare a un uomo vero, che poteva spalmarlo via con una manata, un uomo che stava lì accreditato dalle migliaia di giovani che lo amano e lo seguono. Un leone che si è fatto agnello e si è fatto mitemente togliere il microfono, e quindi si è fatto mille chilometri di treno per parlare forse treo quattro minuti, che ha dimostrato cosa vuol dire essere cristiani. Noi vorremmo dire al ragazzo che lui il suo convegno se lo può pure organizzare dove vuole, vediamo se anche per lui qualcuno attraverserà l’Italia. Lui al suo convegno potrà dire quello che vuole, nessuno di noi lo disturberà né cercherà di salire sul palco, nessuno fingerà di fare la vittima quando invece sta usurpando un palco che non gli appartiene.
Infine vorrei dire che sono tornata a casa con tre dico tre buste di regali. Piadine che sono state prontamente farcite con i deliziosi salumi Gran Brianza (per stemperare la tensione di una giornata piena di emozioni aggiungere una fetta di mortadella), rosari, collanine, libri, cioccolatini, orecchini, sciarpe, trucchi (devo ringraziare sedici persone, piano piano lo farò) e lettere in cui si effonde il cuore come tra amiche di infanzia. Questa vera amicizia, questo vero affetto, per fortuna a volte anche non dimostrato con regali ma con sguardi di vera amicizia, con una stretta di mano, con una lacrima, questi abbracci sorridenti, questi grazie detti e ricevuti col cuore, queste attese di amiche anche malate rimaste fuori, anche con bambini piccoli, anche incinta, amici senza cappotto con le mani congelate, non potranno mai e poi mai neanche lontanamente essere paragonati alle paginate di bugie scritte sui giornali.
Vorrei vedere a quante persone che parlano ai convegni succedono queste cose. E io lo so benissimo che questa amicizia non è perché qualcuno di noi sia migliore degli altri. È che tutti ci aiutiamo a guardare all’Amico vero, che è l’unica garanzia della vera amicizia.
Grazie a tutti, soprattutto a Raffaella Frullone, Benedetta Frigerio, Andrea (ti chiami Andrea, ragazzo con la barba che eri con la Raffa?) che si sono fatti il mazzo per organizzare tutto e poi sono rimasti fuori al freddo, perché finché c’era qualcuno fuori loro non volevano godere di nessun privilegio. Certi questi omofobi sono proprio brutta gente
Crediamo anche che il motivo dell’attacco non sia solo politico: certo il luogo del convegno ci ha messo sotto i riflettori, ma le cose che diciamo danno davvero tanto fastidio, come prova l‘avversione alle Sentinelle, e le botte prese da anziani preti, da bambini, a donne che stavano in piedi per opporsi a una legge che voleva sei anni di carcere per chi dice che i bambini non si comprano.
Siamo certi che la cosa che fa paura sia il fatto che noi siamo un popolo, una vera compagnia. Non abbiamo fondi, nessuno ci sostiene, non rappresentiamo nessuno. Ci prestiamo le case, le macchine, ci apriamo le porte di casa e del portafogli pur senza esserci mai visti dal vero, a volte. Ci riconosciamo dalla fotina su facebook, ci abbracciamo come fratelli, finiamo per fare le vacanze insieme, perché crediamo nella stessa Persona che un giorno ci ha sfiorato il cuore, e questo i giornalisti non lo possono capire.
E infatti della giornata di Milano hanno scritto solo dello studentello bocconiano (lui non ha attraversato l’Italia prendendosi le ferie o portandosi i bambini ad aspettare al freddo tre ore, lui è stato al caldo, e sappiamo chi lo ha fatto entrare) che è salito sul palco, un palco che non aveva nessun diritto di calcare, ha fatto la scena del poverino a cui si toglie la parola, ha rubato la scena e alla fine – il tempo era poco, il clima si era guastato, il moderatore si era innervosito – ha impedito di parlare a Padre Maurizio, a un uomo che aveva tutto il diritto di parlare, quello che ne aveva più di tutti, perché è da lui che è partito tutto, lui che ci ha messi insieme. Lo studentello con la sua arroganza e il falso vittimismo, facendo una domanda su un tema che non ci interessa (se ho capito bene le terapie riparative, di cui nessuno di noi sa molto), ha impedito di parlare a un uomo vero, che poteva spalmarlo via con una manata, un uomo che stava lì accreditato dalle migliaia di giovani che lo amano e lo seguono. Un leone che si è fatto agnello e si è fatto mitemente togliere il microfono, e quindi si è fatto mille chilometri di treno per parlare forse treo quattro minuti, che ha dimostrato cosa vuol dire essere cristiani. Noi vorremmo dire al ragazzo che lui il suo convegno se lo può pure organizzare dove vuole, vediamo se anche per lui qualcuno attraverserà l’Italia. Lui al suo convegno potrà dire quello che vuole, nessuno di noi lo disturberà né cercherà di salire sul palco, nessuno fingerà di fare la vittima quando invece sta usurpando un palco che non gli appartiene.
Infine vorrei dire che sono tornata a casa con tre dico tre buste di regali. Piadine che sono state prontamente farcite con i deliziosi salumi Gran Brianza (per stemperare la tensione di una giornata piena di emozioni aggiungere una fetta di mortadella), rosari, collanine, libri, cioccolatini, orecchini, sciarpe, trucchi (devo ringraziare sedici persone, piano piano lo farò) e lettere in cui si effonde il cuore come tra amiche di infanzia. Questa vera amicizia, questo vero affetto, per fortuna a volte anche non dimostrato con regali ma con sguardi di vera amicizia, con una stretta di mano, con una lacrima, questi abbracci sorridenti, questi grazie detti e ricevuti col cuore, queste attese di amiche anche malate rimaste fuori, anche con bambini piccoli, anche incinta, amici senza cappotto con le mani congelate, non potranno mai e poi mai neanche lontanamente essere paragonati alle paginate di bugie scritte sui giornali.
Vorrei vedere a quante persone che parlano ai convegni succedono queste cose. E io lo so benissimo che questa amicizia non è perché qualcuno di noi sia migliore degli altri. È che tutti ci aiutiamo a guardare all’Amico vero, che è l’unica garanzia della vera amicizia.
Grazie a tutti, soprattutto a Raffaella Frullone, Benedetta Frigerio, Andrea (ti chiami Andrea, ragazzo con la barba che eri con la Raffa?) che si sono fatti il mazzo per organizzare tutto e poi sono rimasti fuori al freddo, perché finché c’era qualcuno fuori loro non volevano godere di nessun privilegio. Certi questi omofobi sono proprio brutta gente
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