Papa
Francesco ne ha parlato diverse volte,
l’ultima sul viaggio di ritorno dalle Filippine, consigliandone caldamente la
lettura. Si tratta de Il padrone del mondo, romanzo scritto nel 1907 da Robert Hugh Benson (1867 – 1914).
Il suo autore, figlio di anglicani, si convertì al cattolicesimo e divenne
sacerdote nel 1904. Il suo romanzo, ambientato nel futuro, narra la presa del
potere da parte di Julian Felsenburgh, sotto la cui figura si cela
l’Anticristo, che in nome dell’umanitarismo e del comunismo, abbatte la Chiesa
cattolica e conquista il mondo.
In occasione del centenario della scomparsa dell’autore, il romanzo è stato ripubblicato da Fede e cultura in una nuova traduzione. Per gentile concessione della casa editrice, ripubblichiamo di seguito la prefazione scritta da monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio.
Carissimi amici, sono lieto di accompagnare con poche parole la riedizione de Il padrone del mondo, uno dei libri che ha inciso più profondamente nella mia personalità. Peraltro, confidenzialmente, posso dirvi che parlando con il Santo Padre Benedetto XVI ho avuto la confidenza che anche per Lui, la lettura de Il padrone del mondo, nella prima edizione tedesca, fu un fatto di grande importanza.
In occasione del centenario della scomparsa dell’autore, il romanzo è stato ripubblicato da Fede e cultura in una nuova traduzione. Per gentile concessione della casa editrice, ripubblichiamo di seguito la prefazione scritta da monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio.
Carissimi amici, sono lieto di accompagnare con poche parole la riedizione de Il padrone del mondo, uno dei libri che ha inciso più profondamente nella mia personalità. Peraltro, confidenzialmente, posso dirvi che parlando con il Santo Padre Benedetto XVI ho avuto la confidenza che anche per Lui, la lettura de Il padrone del mondo, nella prima edizione tedesca, fu un fatto di grande importanza.
Questo
libro, scritto nel 1907 da un grande cristiano, è una profezia terribile per la concretezza e per la specificità del
mondo in cui viviamo e del cammino che ha portato a questo mondo. Da un lato
questo enorme apparato che omologa le persone, i gruppi sociali, le nazioni, i
popoli, che li omologa sulla base di un umanismo sostanzialmente ateo, che ha
dei riferimenti a valori comuni che sono valori cristiani profondamente
laicizzati e secolarizzati.
Quindi
una società dove non esistono più
differenze, qualsiasi tipo di differenza: quella religiosa, quella sociale,
quella culturale viene sentita come negativa e il tentativo che è quello di
operare una unificazione o, come si potrebbe dire una omologazione dell’intero
pianeta. Poi ci sono differenze che incombono minacciosamente come tutto l’est,
tutto l’oriente, ma al di là dello specificarsi delle cose l’intuizione di
Benson è che si sarebbe andati verso una
negazione di Dio attraverso la costruzione di una società obiettivamente senza
Dio. Ora, per costruirsi questa società, anche questa è un’intuizione
formidabile, occorre divinizzare il tentativo che si sta facendo, come ai tempi
della costruzione della torre di Babele; si deve assolutizzare il progetto e si
devono divinizzare coloro che realizzano questo progetto e siccome la logica
dell’unità è una logica ferreamente umana, si deve assolutizzare colui che di
fatto sta guidando questa grande operazione.
Ecco
l’immagine di Julian Felsenburgh che è sostanzialmente l’anticristo, l’anticristo soft, ma l’anticristo di una
società che vuole fare a meno di Dio e quindi vuole fare a meno di Cristo.
Ma l’intuizione formidabile, vorrei dire non soltanto sul piano della disamina
di carattere culturale e sociale, ma dal punto di vista ecclesiale è che Benson
indica che la strada che la Chiesa non può non percorrere, anche nelle
situazioni terribili in cui vive, è la
strada della presenza, essere cristiani presenti come ha ricordato il Santo
Padre Benedetto XVI.
Di
fronte a questa presenza che si riduce progressivamente, numericamente in modo
spaventoso ma che non finisce, nonostante i tentativi contro questa differenza,
servono tutti i mezzi, ma soprattutto viene riabilitata la violenza, una
violenza cinica perché una volta che si sia tolta la peste del cristianesimo la
società potrà veleggiare verso il futuro senza più remore o condizionamenti.
Quindi, si persegue e si realizza la distruzione totale di Roma e qualsiasi
emergenza della grande tradizione cattolica.
Umanesimo
ateistico e violenza verso il cristianesimo, ma la Chiesa
resiste, si riduce progressivamente, ma mantiene forte il senso dell’unità
attorno a Pietro e al suo successore. E comunque, per quanto gravissimamente condizionata,
non muore e anche con proporzioni numericamente ridotte è ancora una realtà che
esiste, coagulata attorno a quella grande idea di un unico ordine religioso del
crocifisso, che è stata la grande intuizione del protagonista del romanzo che
poi finirà per essere il Papa estremo.
Ecco, io credo che la Chiesa di oggi debba imparare, non tanto dalla
disamina di carattere socio-culturale ma da
questo vigoroso richiamo alla verità della comunione ecclesiale, alla forza
della testimonianza, alla necessità di andare in missione confrontandosi con
tutti i tentativi di violenza, anche quella che scoppia all’interno del Sacro
Collegio, ridotto a poche unità e che riproduce, in maniera drammatica il
tradimento di Giuda.
Alla
fine è il grande problema lasciato aperto, mentre si tenta di arrivare a
distruggere il rifugio dell’ultimo Papa e dei pochi Cardinali che si sono
radunati con lui, quando la vittoria sembra già a portata di mano e anzi è
quasi realizzata, scoppia qualche cosa di assolutamente escatologico, come una
lotta escatologica fra il Cristo e l’anticristo.
Uomini
di fede come me amano pensare che alla fine di questa lotta escatologica in spe
contra spem apparirà il Signore glorioso e trionfante.
Ma
il cammino che ci è stato fatto percorrere da questo libro è comunque un
cammino di sanità culturale, intellettuale e morale e per i cristiani può
essere un aiuto a riscoprire la straordinarietà dell’esperienza della fede e
della responsabilità alla missione.
Mons.Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara e Comacchio
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