venerdì 10 febbraio 2017

MONS. LUIGI NEGRI: UN CRISTIANESIMO FUORI DAL TEMPO E DALLO SPAZIO E DALLA STORIA SEMPLICEMENTE NON ESISTE!

Lettera aperta di Mons. Luigi Negri a don Federico Picchetto

Caro don Federico,

mi sono deciso a scriverti alcune righe dopo aver letto il solito pezzo pubblicato in questi giorni sul “Sussidiario’’, «La sfida della post-verità alla bellezza del vangelo». (leggi in fondo al post)
Dico ‘‘il solito pezzo’’ perché credo di averlo letto più o meno con le stesse frasi, la stessa modulazione di forma almeno 7/8 volte. Sembra che tu abbia soltanto questo da dire e mi pare, decisamente, amico mio, un po’ poco.

Sembra incredibile che una persona intelligente come tu sei possa riproporre questa revisione della storia della Chiesa immessa nella storia dell’umanità come una cosa nuova ed approfondita

Dunque, c’è il pericolo terribile (per quel che capisco) che il Cristianesimo possa legarsi strutturalmente a forme di vita, di cultura, di iniziative, di strutture, di opere, perdendo la sua originaria purezza. Il Cristianesimo, per sua natura, dici tu, deve essere puro, cioè non deve confondersi, non deve contattare quella realtà di facce, di uomini, di vita, che tu proclami essere il contesto vero della Chiesa.
La Chiesa, dunque, «ai tempi di Costantino», (ma ti ho visto una volta in un tuo articolo retrodatare l’inizio dell’errore forse già all’epoca degli Apostoli) quando si stringe con l’ellenismo rinunzia alla sua purità originaria, per collegarsi ad una forma culturale contingente, storica, e perciò sostanzialmente negativa.

Racconti una storia di tradimenti - che non sono mai documentati - dall’ellenizzazione del cristianesimo in poi. Come se il Cristianesimo, quando si collega ad una forma di vita (per carità, non si può dire che formi una forma di vita, ma si collega) tradisse la sua originaria purezza.
E poi troviamo questa incredibile storia della Chiesa moderna, dove hanno sbagliato tutti; abbiamo sbagliato ai tempi dell’800, abbiamo sbagliato con la Prima Repubblica, con la Seconda Repubblica. Abbiamo sbagliato sempre e comunque perché abbiamo compromesso l’originaria purezza.

Amico mio, ma non ti rendi conto che «l’originaria purezza» è un’espressione assolutamente ideologica che non ha nessuna consistenza?! La Chiesa è nel mondo! Il problema della Chiesa non è che si possa tirar fuori dal mondo, condannandosi così all’aridità e all’estinzione; il problema unico dello stare nel mondo è quello che ci ha insegnato Giussani: è il metodo con cui si è presenti.


Si è presenti per un annuncio da portare, per un mondo nuovo da creare nel mondo di tutti.
Si è presenti, appunto, per far passare dentro l’esperienza dell’umanità (che peraltro sarebbe inconsistente, incredibilmente debole, incapace di qualsiasi autentica definizione), per far passare dentro il mondo corrotto dell’uomo e della società il mondo di Dio, che lentamente, inesorabilmente, gradualmente, cambia la vita dell’uomo e quindi la storia.

È vero che il Cristianesimo deve essere raccontato, ma deciditi una buona volta, caro Pichetto, a raccontarlo, deciditi a dire cos’è il Cristianesimo nella tua vita e nella vita dei tuoi amici.

Non fermarti. a dire che non si può tradurlo in formule, in idee, in ideologie, in contenuti astratti.
Se è un’esperienza mettila a contatto con la vita dei tuoi fratelli, - come io da tanti anni cerco di mettere a contatto la mia vita, segnata dalla fede, con quella di tutti gli uomini che mi passano accanto e per questo sento fratelli -.
Il mio personale consiglio (e spero che tu, almeno in parte, lo accolga) è che non bisogna correre dietro all’ideologia della purezza assoluta, perché la Chiesa è nel mondo.

Don Giussani ci ha insegnato, da par suo, che l’avvenimento di Cristo termina in un popolo, in una comunità: questa comunità è nel mondo e per il mondo, perché comunica al mondo quella vita nuova che il mondo desidera e non può darsi.
È così radicalmente semplice tutto questo!
C’è un gruppetto di amici intorno a te che si sono eletti la responsabilità di denunciare tutti gli errori, mai documentati, mai giustificati. 

Questa Chiesa che ha sbagliato da Costantino (e forse prima) fino ad oggi non è mai messa di fronte a delle prove, a delle prove concrete, reali; vi siete assunti la responsabilità di salvare questo Cristianesimo senza faccia, senza storia, senza capacità di rischio, senza capacità anche di errori. Ma attenzione: un Cristianesimo fuori dal tempo e dallo spazio e dalla storia semplicemente non esiste!
Per questo non puoi raccontarlo, caro don Federico, perché un Cristianesimo così si può continuamente dire che deve essere raccontato, ma poi, venuto il momento, non c’è niente da raccontare.
Ecco, forse le mie osservazioni sono sostanzialmente semplici, ma di questa semplicità che ha reso faticosamente lieta la mia vita e me l’ha fatta vivere per Cristo e per i fratelli.

+ Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio

 La sfida della post-verità alla bellezza del vangelo


Federico Pichetto



domenica 29 gennaio 2017


Dopo essere stata definita la "parola" del 2016, il termine "post-verità" ha attraversato le schermaglie e i dibattiti culturali di questo inizio anno e si è imposto come tema nell'agenda della politica e della società. Il racconto mendace della verità, secondo una delle tante definizioni del vocabolo, sarebbe infatti diventato superiore alla verità stessa fino a sostituirla. "Non esistono più fatti, ma solo interpretazioni" asseriva già più di un secolo fa Nietzsche, "ripetete una bugia migliaia di volte e diventerà la verità" rimarcava fieramente il tetro ministro della propaganda di Hitler negli anni Trenta del novecento. 
La post-verità, a ben vedere, non è un fenomeno nuovo della nostra epoca, legato ai social, ma esiste da sempre. Nuovo, semmai, è il contesto in cui esso si ripropone: la rete ha una forza di amplificazione inimmaginabile fino a neppure quindici anni fa. Eppure tutto questo potrebbe non essere così negativo come appare. C'è una vicenda poco conosciuta nel cristianesimo delle origini, su cui studiosi come John Rist hanno fatto luce, che vede la prima comunità cristiana esprimere i concetti della propria fede — tra la fine del I secolo e l'inizio del II — attraverso le categorie della filosofia stoica, quelle stesse categorie che, tramontato l'Impero di Domiziano, saranno fatte proprie da Traiano, Adriano e Marco Aurelio con lo scopo di dare una forte identità culturale ad un "dominio ormai universale" e riassorbire la nascente minaccia dei "Nazareni" rubandole lo stesso linguaggio e la stessa piattaforma culturale. 
È a questo punto — e qui sta il particolare interessante — che gli gnostici, e i padri apologisti del II secolo, a partire dal Teeteto di Platone decidono di non farsi risucchiare dalla mentalità dominante e abbracciano alcuni elementi del platonismo, ovvero il mito — la capacità di "raccontare la Verità" — e il logos — un concetto della filosofia antica già eretto dall'evangelista Giovanni a protagonista del cristianesimo. Da questo momento in poi nasce la teologia come racconto della "storia del Logos", come racconto della storia del Verbo di Dio. Senza fuorviare il lettore con ulteriori particolari tecnici quello che appare importante imparare da questa vicenda è che, fin dagli inizi della riflessione cristiana, emerge che se il cristianesimo non vuole diventare una fra le tante filosofie dell'Impero ha bisogno di essere raccontato, di essere proposto come una Storia nella quale inserire la storia dei singoli. Non c'è Verità autentica, insomma, che non abbia bisogno di una post-verità, di un racconto, per divenire fruttuosa e capace di incidere nel tempo. 
Quest'esigenza intrinseca alla Verità, nell'epoca in cui le evidenze ultime della vita erano solide, poteva tranquillamente essere bypassata. Oggi il mutato quadro culturale rende invece nuovamente fondamentale la nostra capacità di raccontare il cristianesimo, di testimoniarlo rendendone ragione. 
Si è aperta una fase della storia dell'occidente in cui il cristianesimo è costretto a tornare alla sua ultima essenza, la testimonianza appunto, ritrovando la propria capacità di essere "storia", storia non di concetti o di opinioni, ma di carne, di facce, di volti; storia sociologicamente identificabile, portatrice di una forza dall'Alto e resa presente attraverso l'umanità particolare di alcuni. 
Finché nel mondo cristiano europeo si punterà su una dialettica culturale, cercando di difendere i bastioni del "bel tempo che fu", non ci si renderà mai sufficientemente conto della portata della fede cristiana che non sta in piedi per una logica di ferro o per una migliore "forza concettuale" rispetto ad altre filosofie, ma perché è Qualcosa di vero che raggiunge te, che tocca te, che coinvolge te nella Sua storia. Quando abbiamo perso la passione di "raccontare il cristianesimo", abbiamo corso seriamente il rischio di diventare una filiale delle ideologie o dei partiti della nostra società, e tutta la storia repubblicana del nostro paese — dalle elezioni del 1948 fino alla seconda repubblica, passando per la "scelta religiosa" sessantottina — ce lo dimostra, mettendoci seriamente in guardia contro ogni riduzione della fede a cultura. La fede diventa cultura se è espressione di una storia particolare, se è racconto di una storia che attrae l'uomo perché è "viralmente testimoniata", propagandosi di cuore in cuore come si propaga un virus invincibile.

È questo che, in mezzo alla lunga transizione che stiamo attraversando, ci insegna e ci chiede il fenomeno della post-verità: in un momento in cui la realtà smette di avere un appeal in sé e la si racconta per interpretarla e manipolarla, abbiamo bisogno di volti e di storie che la realtà la testimonino, spiazzando l'alone di malvagità e di menzogna che sembra imperversare dovunque nella Rete, e sfidando — con la povertà di una bellezza disarmata — l'insicurezza e la paura dei nostri giorni, affidandoci coraggiosamente al cuore dell'uomo, e non al consenso del mondo, per essere davvero incontrati e giudicati. La nuova frontiera del cristianesimo passa da qui. Il fatto che la storia dopo l'anno 2000 abbia subito una violenta accelerazione ci ha costretto a prenderne drammaticamente coscienza e ci ha imposto di smetterla di essere nostalgici per iniziare un nuovo processo, quello stesso processo che portò i cristiani a scrivere ciò che ancora oggi noi chiamiamo semplicemente "Vangelo".


Nessun commento:

Posta un commento