Bettamin Welby Englaro: un tentativo di disinformazione
Non c’entra l’eutanasia, e men che meno il testamento biologico, e non ha
niente a che vedere con Piergiorgio Welby o Eluana Englaro la
morte di Dino Bettamin, il malato terminale di SLA che è stato accompagnato nei
suoi ultimi giorni di vita da trattamenti palliativi, come previsto dalle
nostre leggi e dai protocolli sanitari.
Tutto il chiasso, gli articoli, i
proclami che si fanno intorno al povero Bettamin sono pure strumentalizzazioni,
per cercare di creare un clima di consenso intorno a un obiettivo, l’eutanasia,
che di consenso popolare in realtà ne ha ben poco.
E’ brutta e ambigua l’espressione
“sedazione terminale” con cui spesso viene chiamata la sedazione applicata a
Bettamin, e anche il Comitato Nazionale di Bioetica (CNB), che
se ne è occupato in un parere recente, ha proposto un nome diverso, che
rispecchia meglio la realtà dei fatti: “sedazione
palliativa profonda continua nell’imminenza della morte”.
Si tratta di cure palliative che vengono
somministrate quando si verificano contemporaneamente alcune condizioni, e
cioè: il paziente deve essere vicino alla morte, a causa di una malattia
inguaribile arrivata oramai a uno stato avanzato, e in presenza di sintomi
cosiddetti “refrattari”, cioè che non si possono controllare in nessun altro
modo se non riducendo il livello di coscienza, anche fino ad
annullarla (in altre parole, addormentando il malato). Concretamente i sintomi
refrattari più frequenti, come ricorda il parere del CNB, sono “la dispnea, il
dolore intrattabile, la nausea e il vomito incoercibili, il delirium, l‟irrequietezza psico-motoria, il
distress psicologico o esistenziale”.
Dino Bettamin si trovava esattamente nelle condizioni appena
descritte. La sedazione non aveva lo scopo di ucciderlo, ma di sedare la sua
sofferenza grave, perché era il solo modo di calmare il suo stato di angoscia
incoercibile, che gli operatori non erano riusciti ad alleviare né
farmacologicamente né con un approccio psicologico.
Per essere sottoposti a questo tipo di sedazione quindi non è sufficiente
chiederlo, ma devono sussistere le condizioni che abbiamo appena descritto,
condizioni di appropriatezza clinica. Come avviene per qualsiasi altro trattamento medico: banalmente, per avere
un antibiotico non basta chiederlo, ma devono esserci i presupposti giusti dal
punto di vista clinico.
Non c’entra l’eutanasia, perché Dino Bettamin non è stato ucciso, ma sedato
e accompagnato alla fine, perché era un malato terminale. Non c’entra il
testamento biologico, perché Bettamin era in grado di esprimere direttamente il
proprio consenso alla sedazione, un consenso attuale, non scritto in
precedenza, quando stava bene, per un futuro ipotetico (come invece prevede la
legge sul fine vita attualmente in discussione in parlamento).
Non c’entra Welby, che non era in stato
terminale e aveva chiesto per sé l’eutanasia, per iscritto e pubblicamente,
alla massima autorità dello stato (ricordiamo la lettera al Presidente Napolitano). Non potendo
averla perché vietata in Italia, Welby ha voluto continuare la sua battaglia
per l’eutanasia, interrompendo la respirazione artificiale –cosa legittima dal
punto di vista legale – ma seguendo una procedura il più simile possibile a un
atto eutanasico: è stato Welby a indicare con precisione, passo dopo passo, il
percorso per morire. E ha voluto che il dottore che si è prestato allo scopo,
Mario Riccio, eseguisse le sue indicazioni pedissequamente.
Per capire quanto possa essere diverso
l’atteggiamento di un medico, ricordiamo che il palliativista Giuseppe Casale,
interpellato da Welby,
aveva accettato di staccare il respiratore artificiale ma con modalità non
eutanasiche, garantendogli comunque che non avrebbe sofferto. Ma Welby e i suoi
amici radicali non solo rifiutarono il protocollo proposto, ma addirittura lo
denunciarono per essersi rifiutato di eseguire le volontà stringenti di Welby.
“Gli ho proposto di assisterlo a casa con farmaci, e sostegno psicologico e spirituale oppure con ansiolitici e antidepressivi. Non ha accettato. Infine gli ho prospettato una sedazione non per accelerare la morte ma per smettere di soffrire. [...] Ma lui vuole essere addormentato e subito staccato dal respiratore”, spiegò Casale in un’intervista.
E infine, non c’entra Eluana Englaro,
che non era terminale, non aveva avuto colloqui con specialisti di coma e stato
vegetativo ma ne aveva parlato con gli amici e con i familiari: insomma, non
aveva espresso nessun consenso informato, ed è morta disidratata. Speriamo almeno sufficientemente sedata.
Sul fine vita le
differenze sono spesso sottili, ma fondamentali. Speriamo che lo capiscano
giornalisti e opinionisti che spesso discettano di eutanasia e testamento
biologico senza capire le differenze da caso a caso; e speriamo che lo capisca
anche qualche politico (come il sottosegretario Borletti Buitoni) che ancora
sostiene che il dj Fabo, reso gravemente disabile da un incidente, sta
aspettando la legge sul biotestamento in discussione alla Camera per morire.
Senza rendersi conto
che nessuna legge sul testamento biologico, nemmeno la più apertamente
eutanasica, potrebbe dargli quello che chiede, cioè il suicidio
assistito.
l'Occidentale
15 Febbraio 2017
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