DI COSTANZA MIRIANO
Continuano ad arrivare notizie di
parrocchie disobbedienti alla Diocesi di Milano. In cosa hanno osato disobbedire,
di quale colpa si sono macchiate? Si dice che abbiano addirittura celebrato
anniversari di matrimonio in chiesa, pare persino che siano volati tappi di
spumante e si siano distribuiti piatti di risotto, forse con del gorgonzola,
perché alcuni sposi, disobbedienti come i loro parroci, hanno pensato di
ringraziare Dio per essere riusciti a stare insieme 5, 10, 20 o anche 60 anni.
Dalla Brianza al centro città, da parrocchie guidate da diocesani ad altre in
mano a religiosi, le segnalazioni clandestine sono tante.
Ma cerchiamo di capire
la questione. Domenica 29 gennaio la Diocesi di Milano ha celebrato la festa
della famiglia, solo che, come riportava il sito fino al venerdì precedente, al
mattino, le celebrazioni di anniversari erano ufficialmente sconsigliate, “per
motivi di delicatezza e di rispetto” nei confronti di chi vive situazioni
irregolari, dei separati, dei vedovi, dei figli di divorziati. La cosa suscita
qualche perplessità, per esempio il Forum delle associazioni familiari
esprime dispiacere perché, dice il comunicato, “l’accoglienza verso tutti non
passa mai per il nascondimento del bello”.
Altre garbate
proteste si fanno sentire. La cosa deve arrivare in alto, perché in
serata di questa necessità di “delicatezza e rispetto” verso chi non è in
famiglia non è più traccia nel sito della Diocesi. Rimane, comunque, l’invito a
non celebrare anniversari, ma il motivo addotto, in serata, è che bisogna
riflettere, e non buttarla a tarallucci e vino (ipotesi che vedo comunque
improbabile per i milanesi), per quanto io trovi che mangiare per celebrare
qualcosa sia anche quello segno di fede: san Francesco, per esempio, diceva che
a Natale tutti dovevano mangiare carne, anche i muri, e se non si riusciva a
fargliela mangiare, gliela si sarebbe dovuta spalmare sopra. Mangiare per
celebrare significa esprimere gratitudine a Dio che ci dà il pane quotidiano,
perché, come tutti gli sposati sanno, se si rimane insieme tutta la vita non è
certo per merito, ma per grazia.
La storia non è nuova:
secondo il sito la disposizione esiste da una decina di anni, e già nel 2014 la
questione era stata sollevata da qualcuno, perplesso dalla richiesta della
Diocesi: «Evitare di celebrare in questa occasione gli anniversari di
matrimonio per non rischiare di escludere le famiglie di persone separate,
divorziate e risposate, vedove e senza coniuge per motivi legati
all’immigrazione». Quindi non è un piccolo infortunio, un incidente
dell’ufficio comunicazione, ma una scelta precisa nella quale sinceramente
fatico a riconoscere lo Scola che ha scritto il superbo, meraviglioso Uomo
Donna, Il caso serio dell’amore. E non è neppure una questione
irrilevante, di vuoto rituale, perché i gesti hanno un grande potenziale
educativo, o diseducativo. Così, nel momento in cui in tutto il mondo l’unica
entità che dice la verità agli uomini sull’essere maschile e femminile e sulla
famiglia è rimasta la Chiesa, verità che guarisce e salva le persone, non si
può sentire che la Chiesa di Milano vieti gli anniversari nel momento in cui
quella di Torino trasforma il funerale di un uomo che si era unito civilmente a
un altro in una specie di celebrazione dell’amore omosessuale (quindi quel
matrimonio si poteva ricordare con gioia in chiesa?).
Non me lo spiego. Eppure l’episodio è
emblematico di un atteggiamento ricorrente, di un pericolo che la Chiesa oggi
corre, e se noi laici abbiamo qualche responsabilità – è il Concilio che ce le
ha date, è il Papa che ci incoraggia a liberarci del bisogno dei pastori pilota
– forse è il caso di spenderci su due parole.
Ci crediamo o no, noi e i nostri
pastori, che la Verità è Cristo, e non la mia o la tua opinione? Ci crediamo
che questo ti salva e ti fa felice, già qui su questa terra? Ci crediamo che i
dieci comandamenti (tra cui non desiderare la donna d’altri) non sono regolette
inventate da un Dio sadico per fregarci ma le parole che ci fanno felici, già
qui su questa terra e poi per la vita eterna? Ci crediamo che la Bibbia non è
un manuale che schiaccia ma il libretto di istruzioni dell’essere umano, cioè
la parola che ci spiega come funzioniamo, e che se non seguiamo le istruzioni
ci rompiamo? Siamo così complessati – un evidente complesso di inferiorità
alimentato da secoli di cultura laicista – che non percepiamo come
contraddizione che venga proclamato il Corano nelle nostre chiese? Dire che la
Verità è Cristo non è dire che noi siamo migliori, è Cristo che è migliore.
Noi non ci accontentiamo di una fede
solo privata, intimistica, che non si propone agli altri, che non è presente
nel discorso pubblico, che rinuncia ai suoi simboli e alle sue celebrazioni:
non ci accontentiamo perché sappiamo che la felicità dell’uomo, e quindi della
comunità, dipende da questo. E non è voler bene a qualcuno lasciarlo nel suo
errore. È una malintesa forma di delicatezza che viene da una fede debole: noi
non crediamo che la legge di Dio è scritta nel suo e nostro cuore, e, “Dio
circonderà il tuo cuore e ti farà felice”. Se vedi uno che sta per buttarsi
dalla finestra non è rispetto e delicatezza lasciare che lo faccia. Se invece
sei già caduto, come per i divorziati per esempio, non ti offendi se qualcuno
ringrazia il Signore per essere stato preservato, e chiede che la grazia lo
sostenga ancora: la formula per il rinnovo delle promesse è solo riconoscenza
per Dio, non dice “noi siamo stati bravi e voi no”. Vedere una famiglia che,
tra cadute e limiti e ricuciture, cerca di volersi bene è una buona notizia per
tutti, anche per i figli dei separati. Se non vedono mai qualcosa del genere,
come potranno un giorno, da grandi, tentare anche loro questa avventura
dell’amore per sempre? Due vecchi che sono rimasti insieme sono una buona
notizia per tutta la comunità, perché il cristianesimo si diffonde per
contagio.
Io credo che un certo tipo di attenzione
a non ferire, a non sottolineare troppo certe verità che erano patrimonio
consolidato, potesse avere un senso in una società di non so quante decadi fa,
quando rompere un matrimonio era un tabu, e magari lo si teneva in piedi con
accanimento terapeutico solo per salvare le apparenze, a prezzo di grandi
sofferenze segrete. Oggi i nostri figli hanno la metà dei compagni con genitori
separati, conviventi, pluririaccoppiati, e nessuno di loro si vergogna di
questo. Ci soffre, e molto, perché un bambino che vede i genitori lasciarsi
soffre, ma non per la condanna sociale, che è sparita.
Come spesso succede, la
Chiesa che guarda troppo al mondo arriva quando i saldi sono finiti, arriva
inseguendo il mondo ma il mondo è già chilometri avanti. Fa la femminista
quando le donne, infelici come mai prima d’ora, sono pronte a riconoscere che
fregatura è stato il femminismo per loro, fa la mondialista quando la gente
senza patria e radici chiede un’appartenenza e desidera sicurezza (tutti gli
ultimi risultati elettorali ci dicono questo, esprimono un disagio a cui
bisogna dare risposte sagge e non emotive).
La Chiesa voleva essere moderna ma
è rimasta indietro, il mondo è così avanti che l’ha doppiata, e sembra casomai
chiedere alla Chiesa certezze, conferme, testimoni soprattutto, perché lui, il
mondo, ha fatto da solo e ha visto che è infelice lo stesso. E siccome anche
noi siamo parte di questo corpo mistico, noi laici, abbiamo il dovere di
parlare con centomila lingue, e lo faremo, ma da dentro la Chiesa, e sempre
amandola, perché è l’unico luogo del nostro incontro con Cristo. Qualcosa di
molto molto più grande di una regola morale, di come regolare le nascite
o prendersi cura dei poveri. La Chiesa è prima di tutto la porta per la vita
eterna.
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