Separati dopo il 1517
d.C. (Martin Lutero e Riforma Protestante)
Le differenze tra
queste due Chiese possono dirsi sostanziali in quanto la Chiesa Cattolica
considera eretica, cioè violante alcuni cardini fondamentali della propria
fede, la Chiesa Protestante e viceversa.
Le differenze tra
queste due Chiese possono essere riassunte nei seguenti punti:
Salvati per grazia. Secondo la dottrina protestante
l’uomo non può, con le sue opere, contribuire alla propria salvezza. L’unico
che può salvare è Dio attraverso la sua grazia.
Sola scriptura. I protestanti ritengono che
l’unica fonte di Verità sia la Bibbia e che non debbano esserci ulteriori
strumenti per decodificare la volontà di Dio. La dottrina cattolica invece
cammina su due binari: la Sacra Scrittura e la tradizione, composta dai contributi
dei Santi, dei Padri della Chiesa, delle encicliche papali.
Transustanziazione. I cattolici credono nella
transustanziazione, cioè che durante la consacrazione del pane e del vino essi
diventino nella sostanza il corpo e il sangue di Cristo. Nella chiesa
protestante rimane invece divisione su quest’argomento: Lutero riteneva
esistesse la consustanziazione: Dio c’è in presenza ma non trasforma la
sostanza. Calvino, invece, credeva in una presenza di Dio solo spirituale
negando, di fatto, il carattere sacrificale della messa.
Sacramenti. Nella Chiesa protestante vengono
riconosciuti come sacramenti solo il Battesimo e l’Eucarestia e, parzialmente,
il sacramento della penitenza (confessione).
Confessione. Nella Chiesa Protestante, in
generale, non viene somministrato il sacramento della confessione in forma
privata ma si recita, generalmente, un rito penitenziale interno alla
celebrazione eucaristica. Eccezione viene fatta dai Luterani che la praticano
più raramente dei cattolici. Usualmente, prima del rito della Prima Comunione,
i Luterani prevedono una confessione privata.
Celibato per i
sacerdoti. I preti
Protestanti non fanno voto di celibato. Nella tradizione cattolica, invece,
tale vincolo esiste anche se può essere disatteso nel caso di ordinazioni con
rito Greco e nelle altre Chiese Cattoliche Orientali.
Si ricorda che questo
voto, anche se si rifà al pensiero espresso dallo stesso S.Paolo alla nascita
del cristianesimo, non viene codificato fino al Concilio romano del 386
d.C. Inoltre la norma fu più volte rimessa in discussione e ribadita dalla
Chiesa di Roma fino al Concilio di Trento, che ne sancì
definitivamente l’obbligo per tutti i sacerdoti.
Tale voto rimane
tuttavia essenziale in tutti i riti per essere ordinati vescovi.
La
Clinton ossessionata dal segreto non è riuscita a mantenere il segreto sulle
sue email e soprattutto sulla disinvolta
gestione degli affari di stato (e anche privati). Alla fine, l’Fbi dopo
aver chiuso il caso in estate (con una mezza rivolta al suo interno per il
trattamento singolare riservato alla Clinton) ha dovuto riprenderlo in mano
quando sul computer del marito sessuomane di Huma Abedin (braccio destro e
sinistro, collaboratrice e confidente della Clinton) è stato trovato un pacco
di migliaia e migliaia di email che riguardano l’attività della Abedin, la
Clinton e molto altro ancora.
E’
un guaio? Oh sì che lo è. Domande in ordine rigorosamente sparso: qualcuno ha
mentito all’Fbi? E’ stato violato il segreto? E’ stata ostacolata la giustizia?
Il mancato uso di un server sicuro ha esposto gli Stati Uniti al rischio di
hackeraggio di materiale sensibile da parte di stati stranieri o altre entità?
Quesiti che se trovano
una risposta affermativa di solito, per le persone normali, hanno un solo the end: la prigione. Non ci credete?
Chiedete lumi al marinaio Kristian Saucier, macchinista della marina militare
degli Stati Uniti, condannato a un anno di prigione per aver scattato sei foto
al sistema di propulsione del sommergibile USS Alexandria. Quello è segreto. Le
mail classificate della Clinton no?
Vabbè,
queste sono cose da Trump. A proposito, che fa The Donald? Recupera nei
sondaggi. Secondo l’ultimo poll di Abc/Washington Post, il candidato
repubblicano più improbabile dell’era moderna è
a un punto da Hillary. Il vantaggio dei democratici nei battleground statessta
svanendo. In Florida Trump secondo un sondaggio del Siena College realizzato per il New York
Times ora è in vantaggio di quattro punti.
Un
candidato normale contro una Clinton così debole avrebbe già vinto. Ma Trump è
Trump, capace di perdere pur avendo dalla sua parte la storia.
In
ogni caso, mancano otto giorni al voto e la corsa alla Casa Bianca è riaperta.
Abbiamo visto, nelle foto dopo la scossa
diterremotodi questa mattina, lacattedrale di Norciaa pezzi, e sappiamo che le vittime sono state evitate
per miracolo, grazie all'ora legale. Abbiamo visto la preghiera in piazza di
preti, monache e persone inginocchiate e imploranti. Abbiamo il dolore dei
morti e i disagi enormi delle migliaia di sfollati che hanno perso tutto.
Norciaè il cuore della cristianità europea, la patria diSan Benedetto e Santa Scolastica. E' da qui che, in un mondo senza
più certezze, dopo la fine dell'impero che aveva costituito il perno
dell'Occidente e della sua cultura, il santo è partito per ricostruire dalle
radici spirituali un'Europa smarrita, una civiltà senza più riferimenti.
Come ha scritto Papa Ratzinger:"Abbiamo bisogno
di uomini come San Benedetto da Norcia, il quale, in un tempo di dissipazione e
di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, dopo tutte le
purificazioni che dovette subire, fino a risalire alla luce, ritornare e
fondare Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le
forze dalle quali si formò un mondo nuovo. Così Benedetto, come Abramo, diventò
padre di molti popoli. Le raccomandazioni ai suoi monaci poste alla fine della
sua regola, sono indicazioni che mostrano anche a noi la via che conduce in
alto, fuori dalle crisi e dalle macerie".
La rinascita di Norciae della sua cattedrale ci porterà fuori anche
dalle macerie e dalla crisi di una civiltà smarrita.
Gira questa battuta, attribuita al cardinale Tomáš Špidlik: “Il motivo per
cui la Chiesa ha posto il Credo dopo l’omelia è per invitarci a credere
nonostante ciò che abbiamo ascoltato”.
Allora, è possibile andare a messa e non
perdere la fede?
Riprendiamo un articolo apparso su Zenit il 21 DICEMBRE 2010
Un libro spiega le
ragioni, la storia ed il senso della Messa
Con un
titolo provocatorio e con un testo chiaro e brillante, don Nicola Bux, nominato
dal Santo Padre Benedetto XVI tra i Consultori della Sacra Congregazione per il
Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha appena pubblicato il libro
“Come andare a Messa e non perdere la fede” (Edizioni Piemme).
Don Bux spiega cosa non
bisogna fare a Messa, i rimedi che il Pontefice propone per affermare la verità
della liturgia, racconta di quando è nata e cos’è la Santa Messa, educa alla
partecipazione all’Eucaristia e conclude con una riflessione di Vittorio
Messori sul problema dell’omelia.
Nel volume il sacerdote
precisa che l’ultima cena non fu la
prima Messa, perchè come ha spiegato anche Joseph Ratzinger, la cena
celebrata da Gesù alla vigilia della Pasqua ebraica non è ancora una liturgia
cristiana. Anche se con le due benedizioni del pane e del vino si fonda quella
che in greco si chiama Eucaristia.
Di cambiamenti introdotti
dagli apostoli si incomincia ad aver notizia dopo il martirio di Santo Stefano,
quando cacciati dal tempio e dalle sinagoghe, i cristiani si riunirono con
assiduità nelle case il pomeriggio del “primo giorno della settimana” che da
Gesù Dominus prese il nome di Domenica.
San Giustino nella sua “Prima
apologia” spiega all’imperatore Antonio Pio come si celebrava la messa a Roma
nel 155 d.C:, celebrata nel giorno del sole (domenica) con l’ascolto delle
memorie degli apostoli, degli scritti dei profeti, l’omelia e la preghiera
universale, il secondo, la colletta la presentazione del pane e del vino,
l’azione di grazie consacratoria e la comunione.
La spiegazione del titolo si
trova negli intenti che precedono lo svolgersi del libro, quando Bux sostiene che la liturgia cristiana
subisce ai nostri tempi una violenza sottile.
“I suoi riti e simboli – ha
scritto l’autore – sono desacralizzati o sostituiti da gesti profani. In ritardo
sulle ideologie in frantumi, si ricorre a simboli fatti da mano d’uomo, idoli,
come la bandiera arcobaleno usata come stola o tovaglia d’altare”.
Don Bux si chiede cosa fare
per uscire da questa crisi della liturgia e della Chiesa? E risponde facendo riferimento
alle soluzioni che il Pontefice Benedetto XVI sta prospettando.
“Il Papa – è scritto nel libro – ci sta richiamando in tutti i
modi alla conversione, serve le liturgia perchè ‘all’inizio dell’essere
cristiano non c’è decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un
avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la
direzione decisiva’” (Deus caritas est n.1).
“Pertanto – sostiene Bux – la
riforma di Papa Benedetto XVI, mirante a superare le deformazioni al limite del
sopportabile e l’idea che la liturgia possa essere fabbricata, deve rimettere il rito, il sacramento del
sacro ristabilendo i diritti di Dio a essere adorato come lui vuole invertendo
la pericolosa tendenza a creare riti contingenti che assecondano i bisogni
dell’uomo o dell’assemblea”.
Nella prefazione al primo
volume della sua Opera Omnia il Pontefice ha scritto: “Prima di tutto Dio,
questo ci dice l’iniziare con la liturgia; là dove lo sguardo su Dio non è
determinante, ogni altra cosa perde il suo orientamento”.
Bux sottolinea che “la Messa serve alla testimonianza della
fede, a difenderla, a diffonderla” perchè nella Messa “avviene l’adorazione del
Signore Cristo nei nostri cuori che consente di dare ragione agli uomini e alle
donne del nostro tempo della speranza che è in noi con dolcezza, rispetto e
retta coscienza senza vanto ma con la benignità e la pazienza dell’amore”.
Il libro di Bux ribadisce la
spiegazione della Santa Messa rilevando che essa è “il memoriale incruento
della Passione, Morte e Risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo”.
Nella parte finale Vittorio Messori analizza i problemi relativi
all’omelia e osserva che la prima difficoltà sta nel linguaggio: termini
come omiletica, carisma, catechesi, presbitero, kerigma, Kenosi, sinassi,
agape, dossologia, teandrico, escatologico, penumatologico, parenetico,
mistagogico, ecumenico, teurgico, esegetico, parresico, soteriologico ecc…
rendono oscuro il significato delle parole.
A questo proposito Messori
indica la soluzione in una regola che è quella aurea di chi scrive e cioè
semplificare, che nel caso specifico significa esprimere un’idea, un concetto
fino in fondo, uno solo, eliminando fronzoli, preamboli, digressioni e poi
svolgerlo in forma chiara e breve.
A tal proposito Messori
ricorda che San Giovanni Bosco che pure era un uomo assai colto, preparava i
testi delle omelie confrontandoli con sua madre Margherita, che aveva fatto
l’equivalente della seconda elementare e che parlava meglio il piemontese che
l’italiano.
Preparando omelie semplici ed
efficaci San Giovanni Bosco divenne un autentico leader della comunicazione e
della cultura popolare.
Per questo motivo nell’ultima di copertina Bux dedica il libro
“a quanti capiscono poco o nulla di quello che si dice durante la Messa, ma
sono devoti, più attenti di un teologo. Quant’è santa la loro partecipazione
alla Messa!”.
Mons. Nicola
Bux, sacerdote dell'arcidiocesi di
Bari, ha studiato e insegnato a Gerusalemme e Roma. Professore di liturgia
orientale e di teologia dei sacramenti nella Facoltà Teologica Pugliese, è
stato perito al sinodo dei vescovi sull'Eucaristia. E'consultore
delle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per le Cause dei Santi e
consulente della rivista teologica internazionale "Communio".E' stato
nominato da Benedetto XVI consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni
liturgiche del Sommo Pontefice. È stato collaboratore di don Giussani. È autore
di diversi libri, fra cui “Come andare a Messa e non perdere la fede” (2010) e “Con
i Sacramenti non si scherza”.
Il secondo anno del “Percorso” inizierà il 25 novembre
a Cesena con l’intervento di Mons. Bux. Il tema del primo incontro:”I dieci
comandamenti : la premura di Dio per l’uomo”.
Il termine “comandamenti”
suona prevalentemente con il significato di “dovere”, “obbligo”, “imposizione”,
anche perché il linguaggio sacro ed elementare viene fatto apparire oggi dalla
cultura dominante come astratto, incomprensibile, astruso perché inusitato e
“fuori moda”. I Comandamenti ci suggeriscono invece quali “necessità”,
“esigenze”, “bisogni”di fame e sete di felicità siano radicati nel profondo
della nostra natura umana, e sono “inviti” a rispondere allalegge Naturale, inscritta nel
nostro cuore e quindi “trascendente” la nostra natura.
Ha scritto negli anni 90 il
Cardinale Ratzinger: “La natura non è infatti – come afferma uno scientismo
totalizzante – un’opera del caso e delle regole del suo gioco, bensì una
creazione. In essa s’esprime il Creator
Spiritus. Perciò non ci sono solo leggi naturali nel senso di determinismi
psico-fisici: la legge naturale vera e
propria è, ad un tempo (anche) legge morale. La creazione stessa c’insegna come
possiamo essere uomini nel modo giusto.
La fede
cristiana, che ci aiuta a riconoscere per tale la creazione, non è una paralisi
della ragione. Al contrario, essa crea attorno alla ragion pratica lo spazio
vitale nel quale questa può sviluppare le proprie potenzialità.
La morale che la Chiesa insegna
non è un onere particolare, riservato ai cristiani, bensì la difesa dell’uomo
contro il tentativo di pervenire alla sua eliminazione. Se la morale – come abbiamo
visto – non è riduzione in catene, ma liberazione dell’uomo, la fede cristiana
allora è l’avamposto della libertà umana”.
In questo
senso i comandamenti sono la premura di Dio per l’uomo, perché sono la difesa
della natura umana dal tentativo dell’autodistruzione.
Per
questo l’incontro con i comandamenti come fonte della liberazione dell’uomo è
essenziale per la nostra vita.
“In Svezia voglio avvicinarmi ai miei fratelli. La
vicinanza fa bene a tutti."
Pubblicata da ‘La Civiltà Cattolica’, l’intervista di
Francesco a padre Ulf Jonsson, direttore della rivista dei gesuiti svedesi
‘Signum’
28 OTTOBRE 2016 tratto
da Zenit
“Avvicinarmi”.
Sintetizza in una parola, Francesco, le sue speranze e aspettative per
l’imminente viaggio in Svezia, dove parteciperà alla Commemorazione ecumenica
dei 500 anni della Riforma organizzata da Federazione Luterana Mondiale e
Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. “La mia speranza e la mia attesa sono quelle di avvicinarmi di più ai
miei fratelli e alle mie sorelle in Svezia”, confida il Pontefice nella
lunga e corposa intervista diffusa oggi da La Civiltà Cattolica.
Suo interlocutore non è il direttore padre Antonio Spadaro – seppur presente al
colloquio – bensì Ulf Jonsson S.I., direttore della rivista culturale dei
gesuiti svedesi Signum, che spiega: “Pensavo che un’intervista
fosse il modo migliore per preparare il Paese al messaggio che il Pontefice
avrebbe indirizzato alla gente durante la sua visita”.
La distanza ci fa ammalare
Un messaggio di
“vicinanza”, appunto, perché “la vicinanza fa bene a tutti. La distanza invece
ci fa ammalare”, afferma il Papa. “Quando ci allontaniamo, ci chiudiamo dentro
noi stessi e diventiamo monadi, incapaci di incontrarci. Ci facciamo prendere
dalle paure. Bisogna imparare a trascendersi per incontrare gli altri. Se non
lo facciamo, anche noi cristiani ci ammaliamo di divisione”.
Parlare, pregare, lavorare
insieme. Proselitismo è peccaminoso
Per questo il Pontefice incoraggia al dialogo – che
“chiaramente spetta ai teologi” per poter studiare e superare i problemi, in
primis quello della intercomunione – spostando il focus, o meglio
“l’entusiasmo”, sulla preghiera comune e le opere di misericordia. Quindi sul
“lavoro fatto insieme nell’aiuto agli ammalati, ai poveri, ai carcerati”. “Fare
qualcosa insieme è una forma alta ed efficace di dialogo”, afferma infatti il
Santo Padre, “è importante lavorare insieme e non settariamente”, perché “fare
proselitismo nel campo ecclesiale è peccato”. Come ripeteva spesso Benedetto
XVI “la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione”. Quindi “il
proselitismo è un atteggiamento peccaminoso: sarebbe come trasformare la Chiesa
in una organizzazione. Parlare, pregare, lavorare insieme, questo è il cammino
che dobbiamo fare”.
Il demonio nemico dell’unità. Esiste un
ecumenismo del sangue
“Nell’unità, infatti, quello che non sbaglia mai è il
nemico, il demonio. Quando i cristiani sono perseguitati e uccisi – rimarca il
Papa – lo sono perché sono cristiani e non perché sono luterani, calvinisti,
anglicani, cattolici o ortodossi. Esiste un ecumenismo del sangue”. Lo si vede
ai giorni nostri, basti pensare agli ortodossi o ai martiri copti uccisi Libia,
dice il Pontefice. Per questo è necessario “pregare insieme, lavorare insieme e
comprendere l’ecumenismo del sangue”.
Lutero ha messo la Parola di Dio nelle
mani del popolo
Inoltre, attraverso il dialogo ecumenico, le
differenti comunità possono arricchirsi reciprocamente con il meglio delle loro
tradizioni. Ad esempio, secondo il Papa, la Chiesa cattolica dalla tradizione
luterana può approfondire due cose fondamentali che sono “riforma” e
“Scrittura”.“Riforma” perché “all’inizio quello di Lutero era un gesto di riforma
in un momento difficile per la Chiesa”. Egli “voleva porre un rimedio a una
situazione complessa. Poi questo gesto – anche a causa di situazioni politiche,
pensiamo anche al cuius regio eius religio – è diventato uno
‘stato’ di separazione, e non un ‘processo’ di riforma di tutta la Chiesa, che
invece è fondamentale, perché la Chiesa è semper reformanda“.
“Scrittura”, perché “Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di
Dio nelle mani del popolo”.
Per l'estrema attualità dell'argomento e
per la chiarezza dei princìpi che devono ispirare il giudizio sul tema,
pubblichiamo l'introduzione all'VIII Rapporto sulla Dottrina sociale nel mondo,
curato dall'Osservatorio Internazionale Van Thuan, intitolato «Il caos delle
migrazioni, le migrazioni nel caos». Il Rapporto, edito da Cantagalli, sarà
acquistabile in libreria da metà novembre.
Vorrei indicare alcuni criteri che hanno guidato lo staff
dell’Osservatorio, insieme con le altre Istituzioni internazionali che con esso
collaborano, nella stesura di questo Rapporto. È da tutti riconosciuto,
infatti, che le migrazioni sono un fenomeno stratificato e complesso. Si tratta
di un mare magnum di enormi proporzioni e per inoltrarsi con efficacia in
questa “foresta” occorre avere dei criteri guida, viceversa ci si perde.
Alla base ci sono gli orientamenti della Dottrina sociale della Chiesa. Bisogna riconoscere che sul fenomeno
le encicliche sociali non hanno finora detto molto. Però gli insegnamenti
ordinari degli ultimi Pontefici e soprattutto i Messaggi per la Giornata del
Migrante e del Rifugiato contengono molte preziose indicazioni. anche gli
episcopati europei – della Comece e della CCEE – hanno fatto sentire la propria
voce, insieme agli episcopati nazionali sia dei Paesi di emigrazione sia di
quelli di accoglienza. Ci sono allora alcuni criteri che in modo molto
sintetico voglio qui ricordare in quanto hanno fatto anche da guida al lavoro
di questo Rapporto.
Il primo criterio è che esiste il diritto ad emigrare, a lasciare il proprio Paese sia
quando in esso la vita sia diventata molto difficile o impossibile per la
persecuzione politica o religiosa che mette in pericolo la vita propria e della
famiglia, sia quando esso sia devastato da una guerra, sia anche quando una
situazione di degrado o di povertà endemica o di sottosviluppo impedisca la
sopravvivenza o la condizioni a sofferenze sproporzionate. Ognuno ha il dovere
di amare il proprio Paese, ma nessuno ha l’obbligo di diventarne schiavo.
Espatriare è quindi un diritto che deve essere riconosciuto.
Seccondo criterio. Se esiste quindi un diritto ad emigrare va tenuto anche presente che c’è anche, e forse prima, un diritto a non emigrare. L’emigrazione non deve essere forzata,
costretta o addirittura pianificata. Questo principio è molto importante perché
ad esso sono collegati dei doveri. Il dovere della comunità internazionale di
intervenire sulle cause prima che sulle conseguenze, di affrontare i problemi
che nei Paesi di emigrazione spingono o costringono persone e famiglie ad
andarsene dando il proprio contributo per la loro soluzione, e il dovere
di chi emigra di verificare se non ci siano invece le possibilità per
rimanere ed aiutare il proprio Paese a risolvere le difficoltà. Purtroppo,
invece, le grandi potenze destabilizzano esse stesse alcune aree geopolitiche,
armano e finanziano Stati corrotti e califfati. Molti episcopati africani insistentemente invitano i propri figli a non
andarsene, a non farsi attrarre da proposte illusorie, ma a rimanere per
contribuire al progresso del loro Paese. Del diritto a non emigrare si parla
poco. Ogni situazione è un caso particolare e questi principi non possono
essere generalizzati, però possono contribuite ad illuminare, appunto, la
singola situazione.
Terzo criterio. Un altro principio è che se esiste un diritto ad emigrare non esiste però
un diritto assolutoad immigrare, ossia ad
entrare in ogni caso in un altro Paese. In
altri termini, i Paesi di destinazione hanno il diritto di governare le
immigrazioni e di stabilire delle regole per l’accesso e l’integrazione
degli immigrati nella loro società. Principi elementari di diritto
umanitario dicono che chi arriva deve essere accolto e accudito, ma i governi
devono anche pensare al bene comune della propria nazione nei cui confronti le
immigrazioni possono diventare una minaccia. Tra i criteri per la difesa del
bene comune nelle politiche immigratorie c’è anche il dovere di salvaguardare la propria identità culturale e garantire
una integrazione effettiva e non un multiculturalismo di semplice vicinanza
senza integrazione.
Il quarto criterio è il realismo cristiano. Da un lato non chiudersi a chiave
davanti a questi fenomeni epocali, dall’altro non cedere alla retorica superficiale. L’accoglienza e
l’integrazione rappresentano problemi molto impegnativi e non è
sufficiente una generica buona volontà per risolverli. Realismo significa non cedere a spiegazioni semplificatorie dei
fenomeni migratori, dando colpe a destra o a sinistra. Significa vedere
come il male e il bene sempre si accompagnino in questi casi: molti migranti
sono senz’altro bisognosi, altri possono emigrare con obiettivi meno nobili. Significa vedere che dietro le migrazioni
non ci sono solo legittimi bisogni, ma anche reti di sfruttamento delle persone
e disegni di destabilizzazione internazionale. L’accoglienza del prossimo
non può essere cieca o solo sentimentale, la speranza di chi emigra va fatta
convivere con la speranza della società che li accoglie. La speranza va quindi
organizzata, e per questo occorre realismo.
Il realismo cristiano, poi, richiede che non si faccia di ogni erba un
fascio. È evidente che l’immigrazione islamica ha alcune
caratteristiche proprie che la rendono particolarmente problematica.
Riconoscerlo è indice di realismo e buon senso e non di discriminazione.
L’islam ha a che fare con le migrazioni in due sensi: da un lato per i
califfati islamici che costringono le popolazioni, specialmente cristiane, a
fuggire per salvare la vita, e dall’altro perché l’integrazione di popolazioni
islamiche in altre nazioni risulta oggettivamente più difficile, per alcune
caratteristiche della religione islamica stessa. Non si tratta di dare colpe all’islam,
ma di prendere atto che nell’islam ci
sono elementi che impediscono di accettare alcuni aspetti fondamentali di altre
società e specialmente di quelle di lontana tradizione cristiana.
L’accoglienza nell’emergenza va data a
tutti. Quando poi invece si transita dall’accoglienza all’integrazione, è
prudente non considerare gli immigrati tutti ugualmente in modo indistinto,
comprese le cultura e religioni di provenienza.
* Presidente dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân
sulla Dottrina sociale della Chiesa, arcivescovo di Trieste e Presidente della
Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali
d’Europa (CCEE).
Il nostro
contributo, non reattivo, ma originale e significativo a una società in cui le
differenze di cultura, di identità, di professione, di fede, devono esprimere
la ricchezza della vita umana.
IL CROCEVIA
Ambrogio Lorenzetti
Allegoria del buon governo
Dopo l’esperienza dello scorso anno riprende
il percorso elementare di cultura, così come lo abbiamo definito e vissuto, nei
cinque incontri fatti (CHE SONO ANCORA VISIBILI NELLA PARTE DESTRA DEL BLOG) ,
nei quali, con un preciso
percorso di passi collegati fra loro, abbiamo cercato di ristabilire il
significato originario, elementare, dei termini che riguardano la vita umana,
riscoprendo l’esattezza delle parole cultura, persona, presenza, storia e
Chiesa.
Il percorso continua a
svilupparsi sulla strada individuata di dare alle parole il loro significato
esatto. Togliere l'esattezza alle parole è avvelenarne il significato, il
contenuto, l'elemento costitutivo e perciò “adulterare” le relazioni (di amore, di verità, di giustizia e di pace).
È evidente che c’è una differenza tra due parti del nostro popolo: ci sono coloro che conservano la consapevolezza
di una tradizione cristiana che li fa stare di fronte ai fatti anche drammatici
della vita con un ultimo e fiducioso abbandono alla presenza di Dio, che è
padre, che non mente e non compie ingiustizie. Ma è anche vero che una parte
più consistente del popolo, vive la quotidianità senza riferimento alla
presenza di Dio, che viene invece chiamato in causa sempre più frequentemente
come il presunto o reale colpevole di tutto quello che accade.
Colpisce
molto questa confusione sul termine Dio, questo
Dio di cui ciascuno ha il suo, questo relativismo, come avrebbe detto Benedetto
XVI. Perché questo? Perché il messaggio
fondamentale che passa attraverso l'assetto culturale attuale è che il
cristianesimo è una cosa del passato, un fattore tra i tanti della nostra
storia, ma non un punto di confronto particolarmente importante e attuale. La
fede non c'entra con la cultura (quanto meno con la cultura attuale). Quindi non
viene interpellata quando si tratta di educare alla critica, cioè al giudizio
sulla realtà.
Con il cristianesimo non ci si vuole
confrontare sul piano dell'intelletto, della cultura, del giudizio. Lo si
tollera, ancora, sul piano dell'esperienza privata e di una certa operatività
caritativa-sociale ma lo si esclude dal campo dalla cultura.
Così Dio è sempre più assente dalla vita
quotidiana, e diventerà sempre più un concetto su cui si dibatte in modo
artificioso e forzoso, nei mezzi di comunicazione sociale. E questo Dio di cui
si discute o su cui si discute, non scalda il cuore. Mentre in Cristo Dio è
venuto per scaldare il cuore dell’uomo, di ogni uomo, in qualsiasi momento e in
qualsiasi circostanza.
Questa seconda parte del percorso riprende il tema dell’esattezza delle
parole partendo da Dio, e dal dono più
importante che Dio ci ha fatto e attraverso il quale manifesta la sua premura
per noi: i dieci comandamenti.
“Vogliamo essere persone che, in comunione con la sua
premura per gli uomini, ci prendiamo cura di loro, rendiamo a loro
sperimentabile nel concreto questa premura di Dio”. (Benedetto XVI).
Giotto, Dio Padre in trono
I passi
del percorso 2016/17 partono dai Comandamenti, dettati all’uomo dalla premura
di Dio per lui.
Il termine suona
prevalentemente con il significato di “dovere”, “obbligo”, “imposizione”, anche
perché il linguaggio sacro ed elementare viene fatto apparire oggi come
astratto, incomprensibile, astruso perché inusitato e “fuori moda”. …. I
Comandamenti ci suggeriscono quali “necessità”, “esigenze”, “bisogni”di fame e
sete di felicità radicati nel profondo della nostra natura umana, e sono
“inviti” a rispondere allalegge
Naturale, inscritta nel nostro cuore e quindi “trascendente” la nostra natura.
Lo realtà
culturale di oggi è quella di un io smarrito,solo, impotente, fragile,
autosufficiente e autodeterminato, che non riconosce alcuna legge se non quella
che lui si è dato, senza un punto di riferimento (Cristo nuova legge),
inseguendo una “legalità” che si può trasformare in una deriva contro l’uomo.
Per questo
la Chiesa si presenta ed è la salvezza. La Chiesa è l’esperienza reale dei
dieci comandamenti. La Chiesa è il popolo di coloro che, attratti da questo
invito, che corrisponde al loro desiderio, vi hanno aderito con libertà e
gioiosa riconoscenza. La Chiesa è questo popolo salvato, questo “mondo nuovo”,
dentro al mondo vecchio, che procede a vista, senza storia e senza tradizione.
Per questo ci brucia dentro una
passione per ritornare agli aspetti elementari del Cristianesimo, per rivivere
la passione del fatto cristiano nei suoi elementi originali, e per costruire la
Chiesa. La Chiesa è la contemporaneità di Cristo ad ogni uomo e ad ogni epoca.
La Chiesa è presenza, responsabilità sociale e politica, testimonianza
personale e popolo, un popolo nuovo che attraverso Gesù, Legge nuova e
incarnata, salva, redime e ci spinge alla Missione che, unica, dà speranza al
futuro dei giovani e del mondo
1.La
vita delle persone si gioca sulle “relazioni” spazio – temporali e
interpersonali.
2.Le
relazioni necessitano e si esprimono attraverso la “Comunicazione”.
E’ questione di “Linguaggio”.
3.La
Parola è sacra: La Parola è Dio. La Parola è Promessa. La Parola è Data.
La Parola è evidente: un “comando, un ordine
che crea e ricrea”. E’ Gesù: “Il Verbo
fatto carne”.
4.La
Parola è “esatta” (= ex – acta = data) e così diventa veramente “Giusta” (= in grado di fare giustizia). Togliere
l’esattezza alle parole è avvelenarne il significato, il contenuto, l’elemento
costitutivo e perciò “adulterare” le relazioni
5.Occorre
saper discernere la Parola “sacra”, vera ed esatta, dalla “parola consacrata
dall’uso” (= linguaggio comune –
omologazione, pensiero unico, conquistato e diffuso dal potere)
6.“Non
abbiate paura: Io ho vinto il mondo!” Siamo chiamati a “gridare nel deserto”
Noi non siamo la Parola, ma la voce a
servizio della Parola sacra, esatta.
7.Amiamo
la Parola nella sua sacralità, originalità ed elementarità di significato e di
verità.
Il potere è illuso di essere capace di
comunicazione perché abile a nascondere la sua faccia illudendo la massa di
essere disinteressato e solo intento al maggior bene della società e
dell’individuo.
8.Il
linguaggio sacro ed elementare è stato fatto apparire come astratto,
incomprensibile, astruso perché inusitato e “fuori moda”.
9.Siamo
convinti che “la pioggia che cade nel deserto, non ritorna al cielo senza
effetto”.
Stiamo esperimentando che l’accoglienza del Magistero e
la sua diffusione è acqua benedetta che scende e rende viva e feconda la nostra
vita.
Michael Novak ritiene che «È chiaro che Trump non è
esattamente il candidato da cui un cattolico vorrebbe essere rappresentato. Ma
in politica si elegge un presidente, non un santo, né un vescovo, né il Papa».
A proposito, il repubblicano è riuscito a litigare persino con Francesco sul muro da erigere al confine con
il Messico. «Questo è un problema che interessa a voi italiani», taglia corto
il filosofo. «Qui nessuno ci presta la minima attenzione e quello degli
immigrati irregolari è un problema reale, molto sentito dagli americani, che
vogliono far rispettare la legge.
Voi europei non capite queste elezioni: la
verità è che se vince Clinton rischiamo di perdere la nostra libertà, perché i
democratici sono sempre più illiberali con chi non la pensa come loro». Tutti i
giornali, americani ed europei, presentano Trump come un mostro e i suoi
elettori come persone immorali.
Ma la verità è che gli Stati Uniti non
hanno improvvisamente perso il senno e se un miliardario impresentabile, che
dice in modo sguaiato tutto quello che non si può dire, rischia di diventare
presidente degli Stati Uniti un motivo c’è. «Trump è molto bravo a parlare
alla pancia del paese e ripete sempre lo stesso concetto agli americani: vi hanno tradito, è ora di cambiare»,
osserva la filosofa armena Siobhan Nash-Marshall . «Ma se ha successo è perché dice in modo semplice una grande verità. Tutti gli americani sanno benissimo di
essere stati traditi. Ma questo tradimento non è avvenuto in un giorno, è
cominciato 60 anni fa». Lentamente, «abbiamo
cominciato a dividere valori e vita, valori e legge, attraverso tanti piccoli
compromessi. E i cattolici hanno una grande responsabilità in questo.
L’educazione ha fallito, perché le università sono passate tutte in mano alla
sinistra e abbiamo tirato su un’intera generazione, i cosiddetti millennials, in un vuoto valoriale e di significato.
Quando penso che questo dovrebbe essere il tema principale in queste elezioni e
che nessuno ne parla, mi vengono i brividi».
La profezia di
Francis George
Per Nash-Marshall il vuoto di senso che alimenta l’affermazione del dogma individualista e progressista «dovrebbe
essere il tema più dibattuto. Se io trovassi un candidato che dicesse: abbiamo
sbagliato, abbiamo tutti bevuto un tè allucinogeno, ora torniamo alla realtà
concreta. Ecco, io lo voterei subito. Ma il dramma è che non c’è. E non c’è
perché non abbiamo insegnato ai politici a pensare, ma solo a ripetere frasi
fatte. La colpa è nostra e dei nostri padri». Ancora una volta, c’è un solo
motivo per cui la candidatura di Trump è
importante: «Lui è l’espressione della pancia dell’America che, in modo
confuso, grida: smettetela, torniamo indietro. Speriamo solo che il popolo non
venga tradito di nuovo».
Chi voteranno
allora i cattolici? Weigel assicura che «non assegnerò il mio voto né a
Clinton, né a Trump ma solo a una persona degna della presidenza».
SCEGLIERE IL PARTITO REPUBBLICANO AL CONGRESSO
Non si sa chi
sia, ma aggiunge: «In ogni caso è
fondamentale scegliere il partito repubblicano al Congresso». Siobhan è
convinta che «alla fine i cattolici
voteranno Trump. Non per merito suo, però, ma grazie a Pence, un uomo che
ha la fibra morale per mettere i soldi al posto della bocca. Cioè per fare
quello che dice». Per Novak, invece, «il conflitto che dimora nella coscienza
di ogni cattolico si risolverà solo all’ultimo momento. Anche per questo non ci
si deve fidare adesso dei sondaggi pubblicati».
Restano quindi
i dubbi, anche se una certezza c’è: «Se
vince Hillary Clinton», conclude l’intellettuale conservatore, «potrebbe
realizzarsi la profezia fatta dall’arcivescovo di Chicago, Francis George,
prima di andarsene: “Mi aspetto di morire nel mio letto, il mio successore
invece morirà in prigione e il suo successore morirà martire in piazza”». C’è
però anche una parte finale del ragionamento di George che spesso non viene
citata: «Ma il suo successore raccoglierà le macerie di una società in rovina e
lentamente aiuterà a ricostruire la civiltà, come la Chiesa ha fatto così
spesso lungo la sua storia».