lunedì 31 ottobre 2016

DIFFERENZE TRA CATTOLICI E PROTESTANTI

Separati dopo il 1517 d.C. (Martin Lutero e Riforma Protestante)

Le differenze tra queste due Chiese possono dirsi sostanziali in quanto la Chiesa Cattolica considera eretica, cioè violante alcuni cardini fondamentali della propria fede, la Chiesa Protestante e viceversa.
Le differenze tra queste due Chiese possono essere riassunte nei seguenti punti:


Salvati per grazia.  Secondo la dottrina protestante l’uomo non può, con le sue opere, contribuire alla propria salvezza. L’unico che può salvare è Dio attraverso la sua grazia.

Sola scriptura. I protestanti ritengono che l’unica fonte di Verità sia la Bibbia e che non debbano esserci ulteriori strumenti per decodificare la volontà di Dio. La dottrina cattolica invece cammina su due binari: la Sacra Scrittura e la tradizione, composta dai contributi dei Santi, dei Padri della Chiesa, delle encicliche papali.

Transustanziazione. I cattolici credono nella transustanziazione, cioè che durante la consacrazione del pane e del vino essi diventino nella sostanza il corpo e il sangue di Cristo. Nella chiesa protestante rimane invece divisione su quest’argomento: Lutero riteneva esistesse la consustanziazione: Dio c’è in presenza ma non trasforma la sostanza. Calvino, invece, credeva in una presenza di Dio solo spirituale negando, di fatto, il carattere sacrificale della messa.

Sacramenti. Nella Chiesa protestante vengono riconosciuti come sacramenti solo il Battesimo e l’Eucarestia e, parzialmente, il sacramento della penitenza (confessione).

Confessione. Nella Chiesa Protestante, in generale, non viene somministrato il sacramento della confessione in forma privata ma si recita, generalmente, un rito penitenziale interno alla celebrazione eucaristica. Eccezione viene fatta dai Luterani che la praticano più raramente dei cattolici. Usualmente, prima del rito della Prima Comunione, i Luterani prevedono una confessione privata.

Celibato per i sacerdoti. I preti Protestanti non fanno voto di celibato. Nella tradizione cattolica, invece, tale vincolo esiste anche se può essere disatteso nel caso di ordinazioni con rito Greco e nelle altre Chiese Cattoliche Orientali.
Si ricorda che questo voto, anche se si rifà al pensiero espresso dallo stesso S.Paolo alla nascita del cristianesimo, non viene codificato fino al Concilio romano del 386 d.C. Inoltre la norma fu più volte rimessa in discussione e ribadita dalla Chiesa di Roma fino al Concilio di Trento, che ne sancì definitivamente l’obbligo per tutti i sacerdoti.
Tale voto rimane tuttavia essenziale in tutti i riti per essere ordinati vescovi.



HILLARY NEI GUAI


SESSO, BUGIE E EMAIL. COSA È SUCCESSO?

La Clinton ossessionata dal segreto non è riuscita a mantenere il segreto sulle sue email e soprattutto sulla disinvolta gestione degli affari di stato (e anche privati). Alla fine, l’Fbi dopo aver chiuso il caso in estate (con una mezza rivolta al suo interno per il trattamento singolare riservato alla Clinton) ha dovuto riprenderlo in mano quando sul computer del marito sessuomane di Huma Abedin (braccio destro e sinistro, collaboratrice e confidente della Clinton) è stato trovato un pacco di migliaia e migliaia di email che riguardano l’attività della Abedin, la Clinton e molto altro ancora.

E’ un guaio? Oh sì che lo è. Domande in ordine rigorosamente sparso: qualcuno ha mentito all’Fbi? E’ stato violato il segreto? E’ stata ostacolata la giustizia? Il mancato uso di un server sicuro ha esposto gli Stati Uniti al rischio di hackeraggio di materiale sensibile da parte di stati stranieri o altre entità?

Quesiti che se trovano una risposta affermativa di solito, per le persone normali, hanno un solo the end: la prigione. Non ci credete? Chiedete lumi al marinaio Kristian Saucier, macchinista della marina militare degli Stati Uniti, condannato a un anno di prigione per aver scattato sei foto al sistema di propulsione del sommergibile USS Alexandria. Quello è segreto. Le mail classificate della Clinton no?

Vabbè, queste sono cose da Trump. A proposito, che fa The Donald? Recupera nei sondaggi. Secondo l’ultimo poll di Abc/Washington Post, il candidato repubblicano più improbabile dell’era moderna è a un punto da Hillary. Il vantaggio dei democratici nei battleground states sta svanendo. In Florida Trump secondo un sondaggio del Siena College realizzato per il New York Times ora è in vantaggio di quattro punti.
Un candidato normale contro una Clinton così debole avrebbe già vinto. Ma Trump è Trump, capace di perdere pur avendo dalla sua parte la storia.

In ogni caso, mancano otto giorni al voto e la corsa alla Casa Bianca è riaperta.


30 OTTOBRE 2016


Abbiamo visto, nelle foto dopo la scossa di terremoto di questa mattina, la cattedrale di Norcia a pezzi, e sappiamo che le vittime sono state evitate per miracolo, grazie all'ora legale. Abbiamo visto la preghiera in piazza di preti, monache e persone inginocchiate e imploranti. Abbiamo il dolore dei morti e i disagi enormi delle migliaia di sfollati che hanno perso tutto.

Norcia è il cuore della cristianità europea, la patria di San Benedetto e Santa Scolastica. E' da qui che, in un mondo senza più certezze, dopo la fine dell'impero che aveva costituito il perno dell'Occidente e della sua cultura, il santo è partito per ricostruire dalle radici spirituali un'Europa smarrita, una civiltà senza più riferimenti.
Come ha scritto Papa Ratzinger: "Abbiamo bisogno di uomini come San Benedetto da Norcia, il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, fino a risalire alla luce,  ritornare e fondare Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo. Così Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli. Le raccomandazioni ai suoi monaci poste alla fine della sua regola, sono indicazioni che mostrano anche a noi la via che conduce in alto, fuori dalle crisi e dalle macerie".

La rinascita di Norcia e della sua cattedrale ci porterà fuori anche dalle macerie e dalla crisi di una civiltà smarrita.

sabato 29 ottobre 2016

NICOLA BUX: COME ANDARE A MESSA E NON PERDERE LA FEDE


Gira questa battuta, attribuita al cardinale Tomáš Špidlik: “Il motivo per cui la Chiesa ha posto il Credo dopo l’omelia è per invitarci a credere nonostante ciò che abbiamo ascoltato”. 

 Allora, è possibile andare a messa e non perdere la fede?

Riprendiamo un articolo apparso su Zenit il 21 DICEMBRE 2010
Un libro spiega le ragioni, la storia ed il senso della Messa
Con un titolo provocatorio e con un testo chiaro e brillante, don Nicola Bux, nominato dal Santo Padre Benedetto XVI tra i Consultori della Sacra Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha appena pubblicato il libro “Come andare a Messa e non perdere la fede” (Edizioni Piemme).
Don Bux spiega cosa non bisogna fare a Messa, i rimedi che il Pontefice propone per affermare la verità della liturgia, racconta di quando è nata e cos’è la Santa Messa, educa alla partecipazione all’Eucaristia e conclude con una riflessione di Vittorio Messori sul problema dell’omelia.
Nel volume il sacerdote precisa che l’ultima cena non fu la prima Messa, perchè come ha spiegato anche Joseph Ratzinger, la cena celebrata da Gesù alla vigilia della Pasqua ebraica non è ancora una liturgia cristiana. Anche se con le due benedizioni del pane e del vino si fonda quella che in greco si chiama Eucaristia.
Di cambiamenti introdotti dagli apostoli si incomincia ad aver notizia dopo il martirio di Santo Stefano, quando cacciati dal tempio e dalle sinagoghe, i cristiani si riunirono con assiduità nelle case il pomeriggio del “primo giorno della settimana” che da Gesù Dominus prese il nome di Domenica.
San Giustino nella sua “Prima apologia” spiega all’imperatore Antonio Pio come si celebrava la messa a Roma nel 155 d.C:, celebrata nel giorno del sole (domenica) con l’ascolto delle memorie degli apostoli, degli scritti dei profeti, l’omelia e la preghiera universale, il secondo, la colletta la presentazione del pane e del vino, l’azione di grazie consacratoria e la comunione.
La spiegazione del titolo si trova negli intenti che precedono lo svolgersi del libro, quando Bux sostiene che la liturgia cristiana subisce ai nostri tempi una violenza sottile.
“I suoi riti e simboli – ha scritto l’autore – sono desacralizzati o sostituiti da gesti profani. In ritardo sulle ideologie in frantumi, si ricorre a simboli fatti da mano d’uomo, idoli, come la bandiera arcobaleno usata come stola o tovaglia d’altare”.
Don Bux si chiede cosa fare per uscire da questa crisi della liturgia e della Chiesa? E risponde facendo riferimento alle soluzioni che il Pontefice Benedetto XVI sta prospettando.
“Il Papa – è scritto nel libro – ci sta richiamando in tutti i modi alla conversione, serve le liturgia perchè ‘all’inizio dell’essere cristiano non c’è decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva’” (Deus caritas est n.1).
“Pertanto – sostiene Bux – la riforma di Papa Benedetto XVI, mirante a superare le deformazioni al limite del sopportabile e l’idea che la liturgia possa essere fabbricata, deve rimettere il rito, il sacramento del sacro ristabilendo i diritti di Dio a essere adorato come lui vuole invertendo la pericolosa tendenza a creare riti contingenti che assecondano i bisogni dell’uomo o dell’assemblea”.
Nella prefazione al primo volume della sua Opera Omnia il Pontefice ha scritto: “Prima di tutto Dio, questo ci dice l’iniziare con la liturgia; là dove lo sguardo su Dio non è determinante, ogni altra cosa perde il suo orientamento”.
Bux sottolinea che “la Messa serve alla testimonianza della fede, a difenderla, a diffonderla” perchè nella Messa “avviene l’adorazione del Signore Cristo nei nostri cuori che consente di dare ragione agli uomini e alle donne del nostro tempo della speranza che è in noi con dolcezza, rispetto e retta coscienza senza vanto ma con la benignità e la pazienza dell’amore”.
Il libro di Bux ribadisce la spiegazione della Santa Messa rilevando che essa è “il memoriale incruento della Passione, Morte e Risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo”.
Nella parte finale Vittorio Messori analizza i problemi relativi all’omelia e osserva che la prima difficoltà sta nel linguaggio: termini come omiletica, carisma, catechesi, presbitero, kerigma, Kenosi, sinassi, agape, dossologia, teandrico, escatologico, penumatologico, parenetico, mistagogico, ecumenico, teurgico, esegetico, parresico, soteriologico ecc… rendono oscuro il significato delle parole.
A questo proposito Messori indica la soluzione in una regola che è quella aurea di chi scrive e cioè semplificare, che nel caso specifico significa esprimere un’idea, un concetto fino in fondo, uno solo, eliminando fronzoli, preamboli, digressioni e poi svolgerlo in forma chiara e breve.
A tal proposito Messori ricorda che San Giovanni Bosco che pure era un uomo assai colto, preparava i testi delle omelie confrontandoli con sua madre Margherita, che aveva fatto l’equivalente della seconda elementare e che parlava meglio il piemontese che l’italiano.
Preparando omelie semplici ed efficaci San Giovanni Bosco divenne un autentico leader della comunicazione e della cultura popolare.
Per questo motivo nell’ultima di copertina Bux dedica il libro “a quanti capiscono poco o nulla di quello che si dice durante la Messa, ma sono devoti, più attenti di un teologo. Quant’è santa la loro partecipazione alla Messa!”.


MONS. NICOLA BUX A CESENA APRIRA’ IL CICLO DI INCONTRI DEL PERCORSO ELEMENTARE DI CULTURA IL 25 NOVEMBRE


Mons. Nicola Bux
Mons. Nicola Bux, sacerdote dell'arcidiocesi di Bari, ha studiato e insegnato a Gerusalemme e Roma. Professore di liturgia orientale e di teologia dei sacramenti nella Facoltà Teologica Pugliese, è stato perito al sinodo dei vescovi sull'Eucaristia.   E'consultore delle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per le Cause dei Santi e consulente della rivista teologica internazionale "Communio".E' stato nominato da Benedetto XVI consultore  dell'Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice.  È stato collaboratore di don Giussani. È autore di diversi libri, fra cui “Come andare a Messa e non perdere la fede” (2010) e “Con i Sacramenti non si scherza”.

Il secondo anno del “Percorso” inizierà il 25 novembre a Cesena con l’intervento di Mons. Bux. Il tema del primo incontro:”I dieci comandamenti : la premura di Dio per l’uomo”.

Il termine “comandamenti” suona prevalentemente con il significato di “dovere”, “obbligo”, “imposizione”, anche perché il linguaggio sacro ed elementare viene fatto apparire oggi dalla cultura dominante come astratto, incomprensibile, astruso perché inusitato e “fuori moda”. I Comandamenti ci suggeriscono invece quali “necessità”, “esigenze”, “bisogni”di fame e sete di felicità siano radicati nel profondo della nostra natura umana, e sono “inviti” a rispondere alla legge Naturale, inscritta nel nostro cuore e quindi “trascendente” la nostra natura.

Ha scritto negli anni 90 il Cardinale Ratzinger: “La natura non è infatti – come afferma uno scientismo totalizzante – un’opera del caso e delle regole del suo gioco, bensì una creazione. In essa s’esprime il Creator Spiritus. Perciò non ci sono solo leggi naturali nel senso di determinismi psico-fisici: la legge naturale vera e propria è, ad un tempo (anche) legge morale. La creazione stessa c’insegna come possiamo essere uomini nel modo giusto.
La fede cristiana, che ci aiuta a riconoscere per tale la creazione, non è una paralisi della ragione. Al contrario, essa crea attorno alla ragion pratica lo spazio vitale nel quale questa può sviluppare le proprie potenzialità.
La morale che la Chiesa insegna non è un onere particolare, riservato ai cristiani, bensì la difesa dell’uomo contro il tentativo di pervenire alla sua eliminazione. Se la morale – come abbiamo visto – non è riduzione in catene, ma liberazione dell’uomo, la fede cristiana allora è l’avamposto della libertà umana”.

In questo senso i comandamenti sono la premura di Dio per l’uomo, perché sono la difesa della natura umana dal tentativo dell’autodistruzione.
Per questo l’incontro con i comandamenti come fonte della liberazione dell’uomo è essenziale per la nostra vita.
ORARIO SEDE  DELL’ INCONTRO
ORE 20,45

SALA CACCIAGUERRA 
CREDITO COOPERATIVO ROMAGNOLO
VIALE BOVIO 76


CESENA

FRANCESCO E LUTERO

“In Svezia voglio avvicinarmi ai miei fratelli. La vicinanza fa bene a tutti."
Pubblicata da ‘La Civiltà Cattolica’, l’intervista di Francesco a padre Ulf Jonsson, direttore della rivista dei gesuiti svedesi ‘Signum’
28 OTTOBRE 2016 tratto da Zenit

 “Avvicinarmi”. Sintetizza in una parola, Francesco, le sue speranze e aspettative per l’imminente viaggio in Svezia, dove parteciperà alla Commemorazione ecumenica dei 500 anni della Riforma organizzata da Federazione Luterana Mondiale e Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. “La mia speranza e la mia attesa sono quelle di avvicinarmi di più ai miei fratelli e alle mie sorelle in Svezia”, confida il Pontefice nella lunga e corposa intervista diffusa oggi da La Civiltà Cattolica. Suo interlocutore non è il direttore padre Antonio Spadaro – seppur presente al colloquio – bensì Ulf Jonsson S.I., direttore della rivista culturale dei gesuiti svedesi Signum, che spiega: “Pensavo che un’intervista fosse il modo migliore per preparare il Paese al messaggio che il Pontefice avrebbe indirizzato alla gente durante la sua visita”.
La distanza ci fa ammalare
Un messaggio di “vicinanza”, appunto, perché “la vicinanza fa bene a tutti. La distanza invece ci fa ammalare”, afferma il Papa. “Quando ci allontaniamo, ci chiudiamo dentro noi stessi e diventiamo monadi, incapaci di incontrarci. Ci facciamo prendere dalle paure. Bisogna imparare a trascendersi per incontrare gli altri. Se non lo facciamo, anche noi cristiani ci ammaliamo di divisione”. 
Parlare, pregare, lavorare insieme. Proselitismo è peccaminoso
Per questo il Pontefice incoraggia al dialogo – che “chiaramente spetta ai teologi” per poter studiare e superare i problemi, in primis quello della intercomunione – spostando il focus, o meglio “l’entusiasmo”, sulla preghiera comune e le opere di misericordia. Quindi sul “lavoro fatto insieme nell’aiuto agli ammalati, ai poveri, ai carcerati”. “Fare qualcosa insieme è una forma alta ed efficace di dialogo”, afferma infatti il Santo Padre, “è importante lavorare insieme e non settariamente”, perché “fare proselitismo nel campo ecclesiale è peccato”. Come ripeteva spesso Benedetto XVI “la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione”. Quindi “il proselitismo è un atteggiamento peccaminoso: sarebbe come trasformare la Chiesa in una organizzazione. Parlare, pregare, lavorare insieme, questo è il cammino che dobbiamo fare”.
Il demonio nemico dell’unità. Esiste un ecumenismo del sangue
“Nell’unità, infatti, quello che non sbaglia mai è il nemico, il demonio. Quando i cristiani sono perseguitati e uccisi – rimarca il Papa – lo sono perché sono cristiani e non perché sono luterani, calvinisti, anglicani, cattolici o ortodossi. Esiste un ecumenismo del sangue”. Lo si vede ai giorni nostri, basti pensare agli ortodossi o ai martiri copti uccisi Libia, dice il Pontefice. Per questo è necessario “pregare insieme, lavorare insieme e comprendere l’ecumenismo del sangue”.
Lutero ha messo la Parola di Dio nelle mani del popolo
Inoltre, attraverso il dialogo ecumenico, le differenti comunità possono arricchirsi reciprocamente con il meglio delle loro tradizioni. Ad esempio, secondo il Papa, la Chiesa cattolica dalla tradizione luterana può approfondire due cose fondamentali che sono “riforma” e “Scrittura”.“Riforma” perché “all’inizio quello di Lutero era un gesto di riforma in un momento difficile per la Chiesa”. Egli “voleva porre un rimedio a una situazione complessa. Poi questo gesto – anche a causa di situazioni politiche, pensiamo anche al cuius regio eius religio – è diventato uno ‘stato’ di separazione, e non un ‘processo’ di riforma di tutta la Chiesa, che invece è fondamentale, perché la Chiesa è semper reformanda“. “Scrittura”, perché “Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo”. 

mercoledì 26 ottobre 2016

QUATTRO CRITERI PER ORIENTARE LE POLITICHE MIGRATORIE


Giampaolo Crepaldi*



Per l'estrema attualità dell'argomento e per la chiarezza dei princìpi che devono ispirare il giudizio sul tema, pubblichiamo l'introduzione all'VIII Rapporto sulla Dottrina sociale nel mondo, curato dall'Osservatorio Internazionale Van Thuan, intitolato «Il caos delle migrazioni, le migrazioni nel caos». Il Rapporto, edito da Cantagalli, sarà acquistabile in libreria da metà novembre.

Vorrei indicare alcuni criteri che hanno guidato lo staff dell’Osservatorio, insieme con le altre Istituzioni internazionali che con esso collaborano, nella stesura di questo Rapporto. È da tutti riconosciuto, infatti, che le migrazioni sono un fenomeno stratificato e complesso. Si tratta di un mare magnum di enormi proporzioni e per inoltrarsi con efficacia in questa “foresta” occorre avere dei criteri guida, viceversa ci si perde.

Alla base ci sono gli orientamenti della Dottrina sociale della Chiesa. Bisogna riconoscere che sul fenomeno le encicliche sociali non hanno finora detto molto. Però gli insegnamenti ordinari degli ultimi Pontefici e soprattutto i Messaggi per la Giornata del Migrante e del Rifugiato contengono molte preziose indicazioni. anche gli episcopati europei – della Comece e della CCEE – hanno fatto sentire la propria voce, insieme agli episcopati nazionali sia dei Paesi di emigrazione sia di quelli di accoglienza. Ci sono allora alcuni criteri che in modo molto sintetico voglio qui ricordare in quanto hanno fatto anche da guida al lavoro di questo Rapporto.

Il primo criterio è che esiste il diritto ad emigrare, a lasciare il proprio Paese sia quando in esso la vita sia diventata molto difficile o impossibile per la persecuzione politica o religiosa che mette in pericolo la vita propria e della famiglia, sia quando esso sia devastato da una guerra, sia anche quando una situazione di degrado o di povertà endemica o di sottosviluppo impedisca la sopravvivenza o la condizioni a sofferenze sproporzionate. Ognuno ha il dovere di amare il proprio Paese, ma nessuno ha l’obbligo di diventarne schiavo. Espatriare è quindi un diritto che deve essere  riconosciuto.

Seccondo criterio. Se esiste quindi un diritto ad emigrare va tenuto anche presente che c’è anche, e forse prima, un diritto a non emigrare. L’emigrazione non deve essere forzata, costretta o addirittura pianificata. Questo principio è molto importante perché ad esso sono collegati dei doveri. Il dovere della comunità internazionale di intervenire sulle cause prima che sulle conseguenze, di affrontare i problemi che nei Paesi di emigrazione spingono o costringono persone e famiglie ad andarsene dando il proprio contributo per la loro soluzione, e il dovere  di chi emigra di verificare se non ci siano invece le possibilità per rimanere ed aiutare il proprio Paese a risolvere le difficoltà. Purtroppo, invece, le grandi potenze destabilizzano esse stesse alcune aree geopolitiche, armano e finanziano Stati corrotti e califfati. Molti episcopati africani insistentemente invitano i propri figli a non andarsene, a non farsi attrarre da proposte illusorie, ma a rimanere per contribuire al progresso del loro Paese. Del diritto a non emigrare si parla poco. Ogni situazione è un caso particolare e questi principi non possono essere generalizzati, però possono contribuite ad illuminare, appunto, la singola situazione.

Terzo criterio. Un altro principio è che se esiste un diritto ad emigrare non esiste però un diritto assoluto ad immigrare, ossia ad entrare in ogni caso in un altro Paese. In altri termini, i Paesi  di destinazione hanno il diritto di governare le  immigrazioni e di stabilire delle regole per l’accesso e l’integrazione degli immigrati nella loro società. Principi elementari di diritto umanitario dicono che chi arriva deve essere accolto e accudito, ma i governi devono anche pensare al bene comune della propria nazione nei cui confronti le immigrazioni possono diventare una minaccia. Tra i criteri per la difesa del bene comune nelle politiche immigratorie c’è anche il dovere di salvaguardare la propria identità culturale e garantire una integrazione effettiva e non un multiculturalismo di semplice vicinanza senza integrazione.

Il quarto criterio è il realismo cristiano. Da un lato non chiudersi a chiave davanti a questi fenomeni epocali, dall’altro non cedere alla retorica superficiale. L’accoglienza e l’integrazione rappresentano problemi molto impegnativi e non  è sufficiente una generica buona volontà per risolverli. Realismo significa non cedere a spiegazioni semplificatorie dei fenomeni migratori, dando colpe a destra o a sinistra. Significa vedere come il male e il bene sempre si accompagnino in questi casi: molti migranti sono senz’altro bisognosi, altri possono emigrare con obiettivi meno nobili. Significa vedere che dietro le migrazioni non ci sono solo legittimi bisogni, ma anche reti di sfruttamento delle persone e disegni di destabilizzazione internazionale. L’accoglienza del prossimo non può essere cieca o solo sentimentale, la speranza di chi emigra va fatta convivere con la speranza della società che li accoglie. La speranza va quindi organizzata, e per questo occorre realismo.

Il realismo cristiano, poi, richiede che non si faccia di ogni erba un fascio. È evidente che l’immigrazione islamica ha alcune caratteristiche proprie che la rendono particolarmente problematica. Riconoscerlo è indice di realismo e buon senso e non di discriminazione. L’islam ha a che fare con le migrazioni in due sensi: da un lato per i califfati islamici che costringono le popolazioni, specialmente cristiane, a fuggire per salvare la vita, e dall’altro perché l’integrazione di popolazioni islamiche in altre nazioni risulta oggettivamente più difficile, per alcune caratteristiche della religione islamica stessa. Non si tratta di dare colpe all’islam, ma di prendere atto che nell’islam ci sono elementi che impediscono di accettare alcuni aspetti fondamentali di altre società e specialmente di quelle di lontana tradizione cristiana.

L’accoglienza nell’emergenza va data a tutti. Quando poi invece si transita dall’accoglienza all’integrazione, è prudente non considerare gli immigrati tutti ugualmente in modo indistinto, comprese le cultura e religioni di provenienza.


* Presidente dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa, arcivescovo di Trieste e Presidente della Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE).

martedì 25 ottobre 2016

I DIECI COMANDAMENTI: LA PREMURA DI DIO PER L'UOMO

PER UN PERCORSO ELEMENTARE DI CULTURA
ANNO SECONDO

Il nostro contributo, non reattivo, ma originale e significativo a una società in cui le differenze di cultura, di identità, di professione, di fede, devono esprimere la ricchezza della vita umana.
IL CROCEVIA

 
Ambrogio Lorenzetti
Allegoria del buon governo
Dopo l’esperienza dello scorso anno riprende il percorso elementare di cultura, così come lo abbiamo definito e vissuto, nei cinque incontri fatti (CHE SONO ANCORA VISIBILI NELLA PARTE DESTRA DEL BLOG) , nei quali,  con un preciso percorso di passi collegati fra loro, abbiamo cercato di ristabilire il significato originario, elementare, dei termini che riguardano la vita umana, riscoprendo l’esattezza delle parole cultura, persona, presenza, storia e Chiesa.

Il percorso continua a svilupparsi sulla strada individuata di dare alle parole il loro significato esatto. Togliere l'esattezza alle parole è avvelenarne il significato, il contenuto, l'elemento costitutivo e perciò “adulterare” le relazioni (di amore, di verità, di giustizia e di pace).

È evidente che c’è una differenza tra due parti del nostro popolo: ci sono coloro che conservano la consapevolezza di una tradizione cristiana che li fa stare di fronte ai fatti anche drammatici della vita con un ultimo e fiducioso abbandono alla presenza di Dio, che è padre, che non mente e non compie ingiustizie. Ma è anche vero che una parte più consistente del popolo, vive la quotidianità senza riferimento alla presenza di Dio, che viene invece chiamato in causa sempre più frequentemente come il presunto o reale colpevole di tutto quello che accade.

Colpisce molto questa confusione sul termine Dio, questo Dio di cui ciascuno ha il suo, questo relativismo, come avrebbe detto Benedetto XVI. Perché questo? Perché  il messaggio fondamentale che passa attraverso l'assetto culturale attuale è che il cristianesimo è una cosa del passato, un fattore tra i tanti della nostra storia, ma non un punto di confronto particolarmente importante e attuale. La fede non c'entra con la cultura (quanto meno con la cultura attuale). Quindi non viene interpellata quando si tratta di educare alla critica, cioè al giudizio sulla realtà.

Con il cristianesimo non ci si vuole confrontare sul piano dell'intelletto, della cultura, del giudizio. Lo si tollera, ancora, sul piano dell'esperienza privata e di una certa operatività caritativa-sociale ma lo si esclude dal campo dalla cultura.

Così Dio è sempre più assente dalla vita quotidiana, e diventerà sempre più un concetto su cui si dibatte in modo artificioso e forzoso, nei mezzi di comunicazione sociale. E questo Dio di cui si discute o su cui si discute, non scalda il cuore. Mentre in Cristo Dio è venuto per scaldare il cuore dell’uomo, di ogni uomo, in qualsiasi momento e in qualsiasi circostanza. 
Questa seconda parte del percorso riprende il tema dell’esattezza delle parole  partendo da Dio, e dal dono più importante che Dio ci ha fatto e attraverso il quale manifesta la sua premura per noi: i dieci comandamenti.
“Vogliamo essere persone che, in comunione con la sua premura per gli uomini, ci prendiamo cura di loro, rendiamo a loro sperimentabile nel concreto questa premura di Dio”. (Benedetto XVI).

 
Giotto, Dio Padre in trono
I passi del percorso 2016/17 partono dai Comandamenti, dettati all’uomo dalla premura di Dio per lui. 
Il termine suona prevalentemente con il significato di “dovere”, “obbligo”, “imposizione”, anche perché il linguaggio sacro ed elementare viene fatto apparire oggi come astratto, incomprensibile, astruso perché inusitato e “fuori moda”. …. I Comandamenti ci suggeriscono quali “necessità”, “esigenze”, “bisogni”di fame e sete di felicità radicati nel profondo della nostra natura umana, e sono “inviti” a rispondere alla legge Naturale, inscritta nel nostro cuore e quindi “trascendente” la nostra natura.

Lo realtà culturale di oggi è quella di un io smarrito, solo, impotente, fragile, autosufficiente e autodeterminato, che non riconosce alcuna legge se non quella che lui si è dato, senza un punto di riferimento (Cristo nuova legge), inseguendo una “legalità” che si può trasformare in una deriva contro l’uomo.

Per questo la Chiesa si presenta ed è la salvezza. La Chiesa è l’esperienza reale dei dieci comandamenti. La Chiesa è il popolo di coloro che, attratti da questo invito, che corrisponde al loro desiderio, vi hanno aderito con libertà e gioiosa riconoscenza. La Chiesa è questo popolo salvato, questo “mondo nuovo”, dentro al mondo vecchio, che procede a vista, senza storia e senza tradizione.


Per questo ci brucia dentro una passione per ritornare agli aspetti elementari del Cristianesimo, per rivivere la passione del fatto cristiano nei suoi elementi originali, e per costruire la Chiesa. La Chiesa è la contemporaneità di Cristo ad ogni uomo e ad ogni epoca. La Chiesa è presenza, responsabilità sociale e politica, testimonianza personale e popolo, un popolo nuovo che attraverso Gesù, Legge nuova e incarnata,  salva, redime e ci spinge  alla Missione che, unica, dà speranza al futuro dei giovani e del mondo 

PERCHE’ IL PERCORSO ELEMENTARE DI CULTURA

PRESENTAZIONE DI DON AGOSTINO TISSELLI



1.  La vita delle persone si gioca sulle “relazioni” spazio – temporali e interpersonali.

2.  Le relazioni necessitano e si esprimono attraverso la “Comunicazione”.
E’ questione di “Linguaggio”.

3.  La Parola è sacra: La Parola è Dio. La Parola è Promessa. La Parola è Data.
La Parola è evidente: un “comando, un ordine che crea e ricrea”.  E’ Gesù: “Il Verbo fatto carne”.

4.  La Parola è “esatta” (= ex – acta = data)  e così diventa veramente “Giusta” (= in grado di fare giustizia). Togliere l’esattezza alle parole è avvelenarne il significato, il contenuto, l’elemento costitutivo e perciò “adulterare” le relazioni

5.  Occorre saper discernere la Parola “sacra”, vera ed esatta, dalla “parola consacrata dall’uso” (= linguaggio comune – omologazione, pensiero unico, conquistato e diffuso dal potere)

6.  “Non abbiate paura: Io ho vinto il mondo!” Siamo chiamati a “gridare nel deserto”
Noi non siamo la Parola, ma la voce a servizio della Parola sacra, esatta.

7.  Amiamo la Parola nella sua sacralità, originalità ed elementarità di significato e di verità.
Il potere è illuso di essere capace di comunicazione perché abile a nascondere la sua faccia illudendo la massa di essere disinteressato e solo intento al maggior bene della società e dell’individuo.

8.  Il linguaggio sacro ed elementare è stato fatto apparire come astratto, incomprensibile, astruso perché inusitato e “fuori moda”.

9.  Siamo convinti che “la pioggia che cade nel deserto, non ritorna al cielo senza effetto”.
Stiamo esperimentando che l’accoglienza del Magistero e la sua diffusione è acqua benedetta che scende e rende viva e feconda la nostra vita.


PERCORSO ELEMENTARE DI CULTURA ANNO SECONDO


PERCORSO ELEMENTARE DI CULTURA
2’ Edizione


I DIECI COMANDAMENTI
LA PREMURA DI DIO PER L’UOMO

“Ritornare agli aspetti elementari del Cristianesimo, alla passione del fatto cristiano nei suoi elementi originari” 
(Luigi Giussani)

 25 NOVEMBRE 2016    LA PREMURA DI DIO PER L’UOMO  
                                        MONS. NICOLA BUX

2 DICEMBRE 2016        LO SMARRIMENTO DELLA CULTURA                                                                                     PROF. IVO COLOZZI

27 GENNAIO 2017         LEGGE NATURALE E LEGGE CIVILE                                                                                        ON. ALFREDO MANTOVANO

23 FEBBRAIO 2017       EXTRA ECCLESIAM NULLA SALUS                                                                                          MONS. VINCENT NAGLE

17 MARZO 2017.            MI BRUCIA DENTRO UNA PASSIONE: 
                                        FARE IL POPOLO
                                        PROF. FRANCO NEMBRINI


SEDE E ORARIO DEGLI INCONTRI
ORE 20,45

SALA CACCIAGUERRA 
CREDITO COOPERATIVO ROMAGNOLO
VIALE BOVIO 76


CESENA


domenica 23 ottobre 2016

LA DIFFICILE SCELTA DEI CATTOLICI. PARTE TERZA. IN OGNI CASO SCEGLIERE UN CANDIDATO REPUBBLICANO AL CONGRESSO



DOBBIAMO ELEGGERE  UN PRESIDENTE, NON UN SANTO

Michael Novak  ritiene che «È chiaro che Trump non è esattamente il candidato da cui un cattolico vorrebbe essere rappresentato. Ma in politica si elegge un presidente, non un santo, né un vescovo, né il Papa». A proposito, il repubblicano è riuscito a litigare persino con Francesco sul muro da erigere al confine con il Messico. «Questo è un problema che interessa a voi italiani», taglia corto il filosofo. «Qui nessuno ci presta la minima attenzione e quello degli immigrati irregolari è un problema reale, molto sentito dagli americani, che vogliono far rispettare la legge.


Voi europei non capite queste elezioni: la verità è che se vince Clinton rischiamo di perdere la nostra libertà, perché i democratici sono sempre più illiberali con chi non la pensa come loro». Tutti i giornali, americani ed europei, presentano Trump come un mostro e i suoi elettori come persone immorali.

Ma la verità è che gli Stati Uniti non hanno improvvisamente perso il senno e se un miliardario impresentabile, che dice in modo sguaiato tutto quello che non si può dire, rischia di diventare presidente degli Stati Uniti un motivo c’è. «Trump è molto bravo a parlare alla pancia del paese e ripete sempre lo stesso concetto agli americani: vi hanno tradito, è ora di cambiare», osserva la filosofa armena Siobhan Nash-Marshall . «Ma se ha successo è perché dice in modo semplice una grande verità. Tutti gli americani sanno benissimo di essere stati traditi. Ma questo tradimento non è avvenuto in un giorno, è cominciato 60 anni fa». Lentamente, «abbiamo cominciato a dividere valori e vita, valori e legge, attraverso tanti piccoli compromessi. E i cattolici hanno una grande responsabilità in questo. L’educazione ha fallito, perché le università sono passate tutte in mano alla sinistra e abbiamo tirato su un’intera generazione, i cosiddetti millennials, in un vuoto valoriale e di significato. Quando penso che questo dovrebbe essere il tema principale in queste elezioni e che nessuno ne parla, mi vengono i brividi».

La profezia di Francis George
Per Nash-Marshall il vuoto di senso che alimenta l’affermazione del dogma individualista e progressista «dovrebbe essere il tema più dibattuto. Se io trovassi un candidato che dicesse: abbiamo sbagliato, abbiamo tutti bevuto un tè allucinogeno, ora torniamo alla realtà concreta. Ecco, io lo voterei subito. Ma il dramma è che non c’è. E non c’è perché non abbiamo insegnato ai politici a pensare, ma solo a ripetere frasi fatte. La colpa è nostra e dei nostri padri». Ancora una volta, c’è un solo motivo per cui la candidatura di Trump è importante: «Lui è l’espressione della pancia dell’America che, in modo confuso, grida: smettetela, torniamo indietro. Speriamo solo che il popolo non venga tradito di nuovo».

Chi voteranno allora i cattolici? Weigel assicura che «non assegnerò il mio voto né a Clinton, né a Trump ma solo a una persona degna della presidenza».

SCEGLIERE IL PARTITO REPUBBLICANO AL CONGRESSO

Non si sa chi sia, ma aggiunge: «In ogni caso è fondamentale scegliere il partito repubblicano al Congresso». Siobhan è convinta che «alla fine i cattolici voteranno Trump. Non per merito suo, però, ma grazie a Pence, un uomo che ha la fibra morale per mettere i soldi al posto della bocca. Cioè per fare quello che dice». Per Novak, invece, «il conflitto che dimora nella coscienza di ogni cattolico si risolverà solo all’ultimo momento. Anche per questo non ci si deve fidare adesso dei sondaggi pubblicati».


Restano quindi i dubbi, anche se una certezza c’è: «Se vince Hillary Clinton», conclude l’intellettuale conservatore, «potrebbe realizzarsi la profezia fatta dall’arcivescovo di Chicago, Francis George, prima di andarsene: “Mi aspetto di morire nel mio letto, il mio successore invece morirà in prigione e il suo successore morirà martire in piazza”». C’è però anche una parte finale del ragionamento di George che spesso non viene citata: «Ma il suo successore raccoglierà le macerie di una società in rovina e lentamente aiuterà a ricostruire la civiltà, come la Chiesa ha fatto così spesso lungo la sua storia».

tratto da TEMPI