Francesco e quella persecuzione (religiosa) travestita
da cultura
Giorgio Feliciani
mercoledì 5 ottobre
2016
ILSUSSIDIARIO
Il giudizio di papa
Francesco sull'attuale condizione della libertà religiosa nel mondo è tanto
severo quanto preoccupato. È, infatti, costretto a constatare che essa
"non è rispettata in tutto il mondo" e non solo in pochi luoghi ma
"in tanti Paesi". Si può persino affermare che essa è "più
spesso affermata che realizzata", essendo "costretta a subire minacce
di vario tipo" che si concretano in violazioni e "gravi
oltraggi".
Soprattutto nel Medio Oriente "le
minoranze etniche e religiose sono diventate l'obiettivo di persecuzioni e
trattamenti crudeli, al punto che tali sofferenze a motivo dell'appartenenza ad
una confessione religiosa sono divenute una realtà quotidiana".
Il cavallo bianco, Cristo, primo cavaliere dell'Apocalissa Cripta della chiesa di Anagni (particolare) |
Per quanto
specificamente riguarda i cristiani si danno persino "nuove forme di persecuzione"
che "in alcuni Paesi hanno raggiunto livelli allarmanti di odio e di
violenza", a tal punto che i cristiani che "subiscono discriminazioni
a causa della testimonianza a Cristo e al Vangelo" e che "come santo
Stefano, vengono accusati ingiustamente e fatti oggetto di violenze di vario
tipo (…) sono più numerosi oggi che nei primi tempi della Chiesa".
Di più: "la persecuzione contro i cristiani oggi è addirittura più forte
che nei primi secoli della Chiesa, e ci sono più cristiani martiri che in quell'epoca".
Le preoccupazioni di papa Francesco si
estendono anche a Paesi e ambienti "che sulla carta tutelano la libertà e
i diritti umani", ma dove "di fatto i credenti, e specialmente i
cristiani, incontrano limitazioni e discriminazioni". In particolare, in una meditazione
mattutina nella cappella di Santa Marta, il pontefice avverte che oltre alla
"persecuzione esplicita, chiara" che genera i martiri, esiste "un'altra persecuzione della
quale non si parla tanto".
Una persecuzione che "si presenta
travestita come cultura, travestita di cultura, travestita di modernità,
travestita di progresso: è una persecuzione — io direi un po' ironicamente —
educata". Essa si realizza
"quando viene perseguitato l'uomo non per confessare il nome di Cristo, ma
per volere avere e manifestare i valori di figlio di Dio". È perciò
"una persecuzione contro Dio Creatore nella persona dei suoi figli"
che vengono privati della loro libertà.
Papa Francesco non si
limita a questa denuncia di carattere generale, ma, in più di una occasione, ha
cura sia di identificare la matrice
sociologica, culturale, o, meglio, ideologica di tale forma di persecuzione
sia di segnalarne le più significative manifestazioni.
Sotto il primo profilo
merita attenzione soprattutto quanto ebbe a dichiarare in un incontro con i
giornalisti, rilevando che mentalità e
metafisica post-positivista, "eredità dell'illuminismo", inducono a
"credere che le religioni o le espressioni religiose sono una sorta di
sottocultura", che si riduce a "poca cosa", estranea alla
"cultura illuminata".
Gli orientamenti
criticati, come constatato nell'esortazione apostolica Evangelii
gaudium, inducono a ignorare "la ricchezza delle tradizioni
religiose", a denunciare in modo acritico "i difetti delle
religioni", a disprezzare "gli scritti che sono sorti nell'ambito di
una convinzione credente", anche quando portatori di "principi
profondamente umanistici".
Per quanto poi concerne
i profili di carattere sociologico papa Francesco, nella dichiarazione
congiunta con il patriarca Kirill, ha osservato che già di per sé "la trasformazione di alcuni paesi in
società secolarizzate, estranee ad ogni riferimento a Dio e alla sua verità,
costituisce una grave minaccia per la libertà religiosa".
E, in altra occasione,
ha segnalato che non vanno comunque ignorati i deleteri effetti della "diffusa indifferenza relativista,
connessa con la disillusione e la crisi delle ideologie verificatasi come
reazione a tutto ciò che appare totalitario". E ha pure rilevato che
occorre far fronte anche alla "grande sfida del mondo globalizzato dove il
pensiero debole — che è come una malattia — abbassa anche il livello etico
generale, e in nome di un falso concetto
di tolleranza si finisce per perseguitare coloro che difendono la verità
sull'uomo e le sue conseguenze etiche".
Tutti questi fattori, secondo il
pontefice, inducono a una sorta di "privatizzazione delle religioni, con
la pretesa di ridurle al silenzio e all'oscurità della coscienza di ciascuno, o
alla marginalità del recinto chiuso delle chiese, delle sinagoghe o delle
moschee", a "ridurre la fede e la Chiesa all'ambito privato e
intimo", a spingere i cristiani "ai margini della vita
pubblica", a impedire la manifestazione della fede con segni di carattere
religioso.
Contro queste tendenze
il pontefice avverte che lo stesso "sviluppo ordinato di una civile
società pluralistica" esige "che non si pretenda di confinare
l'autentico spirito religioso nella sola intimità della coscienza, ma che si
riconosca anche il suo ruolo significativo nella costruzione della società,
legittimando il valido apporto che esso può offrire".
Una esigenza che papa
Francesco non esita a evocare espressamente nelle invocazioni conclusive della
Via Crucis al Colosseo del Venerdì Santo 2016: "O croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi in coloro che
vogliono toglierti dai luoghi pubblici ed escluderti dalla vita pubblica, nel
nome di qualche paganità laicista o addirittura in nome dell'uguaglianza che tu
stesso ci hai insegnato".
Un giudizio
indubbiamente severo che, pur nella sua sinteticità, entra nel merito di una
problematica particolarmente delicata e controversa. Come noto, la rimozione
dei crocifissi dalle aule delle scuole pubbliche è stata motivata con
l'esigenza di rispettare il pluralismo religioso e la pari dignità delle differenti
convinzioni. Una questione più ampiamente affrontata nell'esortazione
apostolicaEvangelii gaudium dove si avverte: "il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non
credenti non deve imporsi in un modo arbitrario che metta a tacere le convinzioni
di maggioranze credenti o ignori la ricchezza delle tradizioni religiose".
Tra le manifestazioni della persecuzione "educata" papa Francesco
segnala anche la negazione ai credenti del diritto di ricorrere all'obiezione di coscienza nei confronti di
leggi che si pongano in contrasto con i valori derivanti dalla loro fede.
Al riguardo le sue
considerazioni sono appena accennate ma del tutto categoriche:
"l'obiezione di coscienza è un diritto ed entra in ogni diritto
umano". Di conseguenza chi ne impedisce l'esercizio "nega un
diritto" che deve invece avere cittadinanza "in ogni struttura
giudiziaria". E nell'intervista a La Croix, alla domanda su
come i cattolici "dovrebbero difendere le loro preoccupazioni in temi
sociali quali l'eutanasia o il matrimonio tra persone dello stesso sesso"
risponde che occorre innanzitutto "discutere, argomentare, spiegare,
ragionare" a livello parlamentare perché così "cresce una
società". Una volta, poi, che la legge sia stata approvata, "lo Stato
deve rispettare le coscienze. In ogni struttura giuridica deve essere presente
l'obiezione di coscienza, perché è un diritto umano" e in quanto tale deve
valere anche per i funzionari governativi dal momento che anch'essi sono
persone umane. "Lo Stato deve anche rispettare le critiche. Questa è una
vera laicità".
In conclusione si può
osservare che nelle sue decise critiche alle degenerazioni del principio di
laicità papa Francesco si colloca nel solco degli insegnamenti dei suoi
predecessori, ma non senza privilegiare determinati profili con formulazioni
talvolta del tutto originali. Una diversità di accenti dovuta sia alla
personale sensibilità sia alle crescenti violazioni della libertà religiosa in
molti Paesi.
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