RUINI LA MORTE E
QUELLA SCANDALOSA RAGIONEVOLE SPERANZA
Una domanda laica e perciò cristiana, un lungo confronto tra storia,
attualità, fede religiosa, indagine razionale. Camillo Ruini sfida con un libro
il mondo che chiede segni e cerca sapienza
C’è un dopo?
Quel punto di domanda che avevamo cacciato fuori dalla porta il cardinale
Camillo Ruini lo fa rientrare dalla finestra e succede qualcosa. Succede che
agli accumulatori di retorica, in un’epoca resa feroce dall’amore, dai
tribunali e dai diritti e ferma da un pezzo nella propria postura virtuosa
sulla morte quotidiana di migranti, terremotati, bambini siriani, non piaccia
prendere posizione. Succede, per esempio, che un libro intitolato C’è
un dopo? La morte e la speranza (ed. Mondadori) porti il suo autore,
il cardinale Camillo Ruini, in prima pagina sul Corriere («Questo
significa che neppure lei è assolutamente certo che “un dopo” ci sia?» è la
domanda di Aldo Cazzullo al cardinale), o che Vittorio Feltri provocato da
Renato Farina tuoni su Libero «non riesco a prendermi in giro
fingendo di credere nell’aldilà, visto che l’aldiqua lo avrebbe creato un Dio
misericordioso le cui opere tuttavia sono impregnate di crudeltà. Non mi
riferisco alle calamità provocate dagli elementi naturali, ma alla natura
stessa che è una macelleria a cielo aperto. Basta osservarla per inorridire».
Succede che
questi e altri giornali ne parlino, che un punto di domanda faccia da
detonatore nel melodramma dell’accidia collettiva che ha relegato la morte a
fatto naturale, questione da medici professionisti, oggetto di
spettacolarizzazione, indignazione o rivendicazione – è la “morte amica”:
nell’Occidente che sogna il superamento della specie umana e dei suoi limiti
c’è posto anche per la riduzione della morte a passepartout per la pace eterna.
Siamo mai stati tanto schiavi e tanto poco liberi di interrogarci sulla nostra
fine? Ha senso, in un mondo dominato dal secolarismo e dalla cultura
scientifica, sperare nell’aldilà?
È una domanda
laica e perciò profondamente cristiana quella che porta Ruini a mettere a
confronto storia e attualità, indagine razionale e fede religiosa, mettendoci
sorprendentemente la faccia e la testimonianza personale: come quella volta che
assistette alla morte di un giovane motociclista e raggiunse la sua casa per
dare l’annuncio alla madre: «La donna ha taciuto per qualche istante, mentre il
suo viso era stravolto dalla sofferenza. Poi ha detto semplicemente: “La
Madonna ha sofferto di più”. Le parole sono state esattamente queste, le sento
ancora dentro di me». Per un sacerdote la morte è di casa, ma non è mai solo un
fatto liturgico e nell’avanzare degli anni le parole di quella madre continuano
ad acquistare senso: «Mi sostiene soprattutto il dono – così lo percepisco –
della speranza che nasce dalla fede». Una speranza diversa dalle altre, non un
desiderio sospeso nel vuoto perché consapevole che alla prova dei fatti
potrebbe pur sempre rivelarsi illusorio, «la speranza che poggia sulla fede, quella
che ha reso tanti credenti, in ogni epoca e anche nel nostro tempo, capaci di
affrontare la morte piuttosto che rinunciare alla fede stessa». Per questo
scrivendo della morte nessuno può tacere un fatto accaduto oltre duemila anni
fa.
La
sorte di chi crede
«Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani», scrive San Paolo nella prima lettera ai Corinti. Prima di Gesù di Nazaret nessun maestro in Israele e nessun profeta aveva mai avanzato la pretesa di essere così decisivo per la salvezza dell’uomo ed era inevitabile che la sua morte apparisse la smentita più radicale di questa pretesa. Ma «se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede», scrive ancora San Paolo. Il mondo chiede segni e cerca sapienza: nei Vangeli al sepolcro vuoto seguono i racconti delle apparizioni a Gerusalemme, in Galilea, Gesù risorto si manifesta come un uomo tra gli altri, cammina con i discepoli di Emmaus, si lascia toccare le ferite da Tommaso, mangia pesce arrostito, si manifesta come pienamente corporeo eppure non legato alle leggi del corpo, dello spazio e del tempo.
«Proprio
questa curiosa dialettica rivela l’indole misteriosa della nuova esistenza di
Gesù: egli non è tornato alla vita terrena, come accade invece per
le altre risurrezioni narrate nei Vangeli. Vive ormai per così dire in due
dimensioni: la dimensione di Dio e la nostra, vive per non morire più». Tutti
questi elementi e gli altri bene narrati da Ruini del racconto dei Vangeli non
possono e non vogliono essere una «dimostrazione», «presi insieme, trovano però
una spiegazione davvero sufficiente solo se ammettiamo la realtà di questa
risurrezione. Non riescono invece a offrire una tale spiegazione le
numerosissime ipotesi escogitate per ridurla, se non a un mito, a un’esperienza
soltanto soggettiva che i discepoli avrebbero percepito, o interpretato, come
una realtà».
Qualcosa,
duemila anni fa, è accaduto alla morte stessa: un uomo le è stato
definitivamente sottratto, anticipando e riempiendo di senso la sorte di chi
verrà dopo di lui, un evento universale che deve esser comunicato a tutti. Il
contenuto centrale della sorte di chi crede in Cristo è dunque quello di
«essere con Cristo», vederlo «faccia a faccia», cambia pertanto il senso della
morte e della vita: i cristiani sono coloro che vivono e «hanno speranza» di
incontrare Cristo. E Cristo continua ad essere efficace nella storia: per Ruini
la santità è infatti la grande opera dello Spirito che, attraverso i suoi
martiri e testimoni, attesta la perenne fecondità della morte e risurrezione.
Chiede segni e
cerca sapienza: secondo il Vangelo di Giovanni, l’apostolo Giuda Taddeo chiese
a Gesù: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al
mondo?». Sentite come risponde Ruini: «A questa domanda Gesù non diede una
risposta diretta ed effettivamente una tale domanda conferma che la storia e la
ricerca storica, da sole, non possono darci la certezza che Gesù di Nazaret è
il Figlio di Dio risorto dai morti. Questa certezza, che viene dalla fede, alla
luce della storia appare però plausibile e profondamente ragionevole». Per
Ruini occorre superare l’estraneità tra ragione e fede che è diventata un
paradigma della cultura moderna, «la fede può collaborare con la ragione,
aiutandola a trovare pienamente se stessa: aiutandola a liberarsi dai
condizionamenti positivistici che restringono lo spazio della ragione»; a sua
volta, la ragione «è un’esigenza interna della fede stessa, che rende
autenticamente umano questo dono gratuito di Dio».
La
resurrezione di Gesù non trasforma quindi in certezza razionale la speranza
della vita eterna. Dà però a questa speranza un fondamento molto più solido di
quello che la sola indagine razionale era in grado di assicurarle: la radica
infatti nella storia e, per chi crede, le conferisce quella certezza interiore
che proviene da Dio stesso ed è a fondamento di qualunque discorso sulla morte:
«L’escatologia cristiana non può essere una cronaca anticipata di eventi
futuri, che sopprima il loro carattere misterioso: l’eschaton è infatti Dio
stesso, il mistero originario, che si comunica a noi senza perdere la sua
trascendenza. Del resto, se avessimo una conoscenza anticipata dell’eschaton, sarebbe
compromessa la nostra libertà».
Il
punto interrogativo
Ecco quindi il senso di un libro che non si sottrae dall’approfondire le ragioni a favore dell’esistenza di un “dopo”, ma anche le ragioni in contrario: «Non sono comunque arrivato ad avere del “dopo” una certezza puramente razionale. Ed è giusto che sia così, perché la salvezza eterna è un dono da chiedere con umiltà, non qualcosa da conquistare, nemmeno sul piano conoscitivo». A cose serve allora questo libro in un mondo che chiede segni e cerca sapienza? A «tenere insieme quella certezza della speranza che nasce dalla fede e un esame attento e onesto delle ragioni di tale speranza: solo così non si crea una frattura tra la nostra cultura di uomini di oggi e la parola di salvezza che è giunta a noi da Gesù di Nazaret. Già l’apostolo Pietro chiedeva ai primi cristiani di saper rendere ragione della loro speranza».
Succede allora che in un punto di domanda sulla morte si narri il compito di una vita: il privilegio di esserci e partecipare alla vittoria della passione sul tempo e sugli uomini rinnovando il miracolo continuo della speranza. Senza cui nulla, morti quotidiane, scienza, amore, diritti e tribunali, avrebbe senso nella storia.
Ecco quindi il senso di un libro che non si sottrae dall’approfondire le ragioni a favore dell’esistenza di un “dopo”, ma anche le ragioni in contrario: «Non sono comunque arrivato ad avere del “dopo” una certezza puramente razionale. Ed è giusto che sia così, perché la salvezza eterna è un dono da chiedere con umiltà, non qualcosa da conquistare, nemmeno sul piano conoscitivo». A cose serve allora questo libro in un mondo che chiede segni e cerca sapienza? A «tenere insieme quella certezza della speranza che nasce dalla fede e un esame attento e onesto delle ragioni di tale speranza: solo così non si crea una frattura tra la nostra cultura di uomini di oggi e la parola di salvezza che è giunta a noi da Gesù di Nazaret. Già l’apostolo Pietro chiedeva ai primi cristiani di saper rendere ragione della loro speranza».
Succede allora che in un punto di domanda sulla morte si narri il compito di una vita: il privilegio di esserci e partecipare alla vittoria della passione sul tempo e sugli uomini rinnovando il miracolo continuo della speranza. Senza cui nulla, morti quotidiane, scienza, amore, diritti e tribunali, avrebbe senso nella storia.
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